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Da "Umanità Nova" n. 36 del 3 novembre 2002

La crisi della sinistra
Un Partito del Lavoro?

Io non dirigo niente. Parlo da militante. E vorrei un'opposizione più forte, più battagliera. Sono convinto che come me la pensi tanta, tanta gente.

Riformista è una parola malata. Persino Berlusconi e Fini si sono dichiarati riformisti. Quanto a me, il riformismo si misura sui fatti. Parla la mia storia. Quanto agli altri, non vedo in giro veri progetti riformisti, ma solo leader che parlano d'altro, alludendo di volta in volta a posizioni sempre più moderate.

Su un tema fondamentale come la guerra si può anche cadere. Non stiamo parlando di tasse, ma della questione più importante che esista, che riguarda la politica estera, i rapporti politici, quelli economici e soprattutto la coscienza delle persone: un tema che non si risolve a colpi di maggioranza.

Sergio Cofferati, intervista a "La Repubblica" del 23 ottobre

È opportuno ricordare sempre, quando si ragiona sul rapporto fra mobilitazioni sociali e sistema dei partiti, che il ceto politico è solo in senso lato una rappresentanza delle diverse componenti della società civile e che costituisce un vero e proprio sottosistema con risorse, logiche, dinamiche interne che, certo, sono in relazione con quanto avviene nell'assieme del corpo sociale ma che vanno comprese nella loro, relativa, autonomia.

Che vi sia, e non da ieri, una crisi significativa nel rapporto fra CGIL e Ulivo è sin troppo noto. Che effetti avrà questa crisi sull'assetto della sinistra è decisamente meno facile da valutare. Per chi, come noi, assegna un primato significativo al sociale, sembrerebbe, ad una prima lettura dei fatti, scontato che, quando il maggior sindacato italiano scende in campo e costruisce rapporti significativi sia con il movimento borghese dei girotondi che con quello new global, la sinistra parlamentare dovrebbe prendere atto della rilevanza di un fatto del genere e dare "rappresentanza" istituzionale alla "sua gente", a coloro che soli possono salvarla da se stessa, dalla sua insipienza, dalle sue evidenti miserie.

Appare, invece, evidente che la prima preoccupazione della sinistra parlamentare o, se si preferisce, dei suoi attuali gruppi dirigenti è quella di ridimensionare un pericoloso concorrente e salvaguardare gli equilibri faticosamente costruiti negli anni passati. Sembrerebbe confermata la tesi secondo la quale gli dei conducono alla follia coloro che vogliono perdere.

Ma andiamo per ordine. Mentre le divisioni epifaniane con il consueto corteggio di fanteria leggera disobbediente, social center, società civile ecc., riempivano le piazze, mentre l'impiegato della Pirelli più famoso del mondo sfilava a Milano, la sinistra parlamentare ha inventato una bizzarria straordinaria e ha ipotizzato di imporre la disciplina di maggioranza ai gruppi parlamentari dell'Ulivo. Che si tratti di una novità assoluta nella storia del sistema dei partiti è evidente al punto che Sergio Cofferati ha potuto affermare, in un'intervista a "La Repubblica" del 23 ottobre che:

"...Ho letto cose incredibili: persino il richiamo alla "disciplina" dei gruppi parlamentari. Provo tristezza e anche un po' di pena, soprattutto per quelli che nel mio partito, ai tempi del vecchio Pci, sono stati più volte umiliati proprio in nome della 'disciplina'..."

D'altro canto, il tentativo aveva un obiettivo evidente: blindare la sinistra, mettere ai margini la sinistra DS filocofferatiana, accelerare la costruzione dall'alto di un partito democratico costituito dalla Margherita e dalla destra DS.

A quanto pare, l'operazione non è riuscita ma lo scontro fra le due anime della sinistra, quella liberal e quella laburista, ha subito una secca accelerazione. Sergio Cofferati, dopo un mese di relativo silenzio, ha aperto il fuoco e lo ha fatto in maniera decisamente pesante su almeno tre punti importanti.

Vale la pena di riassumerli, facendolo parlare direttamente.

La questione sindacale

"...l'opposizione dovrebbe stare in campo con le sue proposte, a sostenerle e difenderle con forza in Parlamento. E invece siamo arrivati al punto che un gruppo di parlamentari dell'opposizione ha diffuso un documento, poi penosamente smentito, per sostenere le ragioni contrarie allo sciopero della Cgil... io pretendo anche un po' di coerenza. Quei parlamentari appartengono a un'opposizione che ha definito la Finanziaria "una stangata". Se è così, allora di sciopero generale non ne basta uno, ma ne servono altri due".

"L'unità sindacale sta a cuore a tutti. Ma anche quella si misura dal merito. Se Cisl e Uil pensano che non siano necessarie forme di lotta contro l'azione del governo, le condizioni per iniziative unitarie non ci sono, punto e basta. Questo è un problema, ma si deve sapere che la Cgil non sta ferma, ha la forza per stare in campo da sola.

Io vorrei che nell'opposizione non ci fosse tanto scarto tra le parole e i comportamenti. Meno male che ci sono i movimenti, che si mobilitano e tengono alta l'attenzione su certi temi".

Sin qui, Cofferati, non fa che ribadire la centralità della CGIL per la sinistra. Ma lo fa con forza crescente, è infatti evidente che l'apparato della CGIL ha un peso sociale che i DS non possono ignorare pena il suicidio in diretta. Il modello inglese, che tanto piace all'onorevole D'Alema, ha una precondizione che in Italia manca e cioè la sconfitta frontale del sindacato, i lunghi anni di governo di una destra liberista, la distruzione della composizione di classe che rendeva efficace il legame organico fra Trade Unions e Labour Party. Inoltre la CGIl ha una capacità di manovra a tutto campo che alle Trade Unions è, con ogni evidenza, mancato.

La CGIL e i movimenti

"Dai girotondi arrivano input che la classe politica non sembra capace di raccogliere. Al contrario, di fronte ai movimenti l'opposizione ha un atteggiamento schizofrenico: c'è un fastidio e un'ostilità di fondo, salvo poi accodarsi quando li scopre consistenti. È un comportamento ancillare, che alla fine si trasforma in un danno per la politica".

"Il problema non può essere il radicalismo dei movimenti, che sono radicali per definizione. E poi alla distanza i movimenti hanno dimostrato di non nutrire nessuna propensione per l'antipolitica. Il vero guaio è che l'opposizione non sa rispondere alle istanze della società e arriva sempre dopo i girotondi. Su tutti i grandi temi: dalla globalizzazione alla pace, dall'economia alla giustizia".

L'apertura della CGIL ai "movimenti" non è, ovviamente, una novità. Tutti ricordano l'abbraccio che vi è stato a Genova quest'estate fra Sergio Cofferati e il padre di Carlo Giuliani.

Abbiamo già avuto modo di notare come questa apertura ha trovato molti ed autorevoli interlocutori. Il mediocre regista e pessimo politico Nanni Moretti ha già consegnato lo scettro al cinese mesi addietro, i disobbedienti sono pronti ad obbedir tacendo e tacendo seder (sulle poltrone), la sinistra cattolica, i vetero comunisti del buon Armando Cossutta, i verdi di sinistra ecc. sono già in fila.

In altri termini, la CGIL fa già politica in proprio e ha, in gran parte, posto le condizioni per la costruzione del Partito del Lavoro del quale si ragiona da un anno.

Naturalmente, alcune tristi esperienze di sindacalisti passati in politica inducono alla prudenza i cofferatiani. Nella stessa CGIL un progetto del genere non potrebbe che creare tensioni fra i diversi segmenti dell'apparato. Vi è una destra cigiellina che continua a non trovarsi a suo agio nella svolta laburista.

Non a caso, il partito del lavoro non è ancora nato. Sembra però, che la destra DS quasi lo evochi e che punti su di un asse privilegiato con la Margherita per anticipare le mosse dei cofferatiani.

In questa come in altre vicende nessuno dei soggetti in campo decide da solo, la scissione dei DS non è, ovviamente, scontata ma è meno impensabile che un mese addietro. La sua fattibilità aumenta il potere contrattuale della sinistra DS, come questo potere verrà giocato è ancora da vedersi.

La CGIL e la guerra

"Io lo dico e lo ripeterò fino alla fine: alla guerra all'Iraq sono e sarò sempre contrario... E comunque distinguo sempre i popoli dai loro governi, e questo vale tanto per Israele che per gli Stati Uniti. Ma dire che chi è contro la guerra è anti-americano è diventato ormai un modo furbesco per aggirare il problema".

"...Ora per molti sono diventate dirimenti le decisioni dell'Onu. Eppure non dimentico l'afasia e l'inefficienza dell'Onu, che fu alla base degli argomenti con cui si giustificò l'intervento militare nei Balcani. Allora si disse: così l'Onu non serve più a nulla, e va riformato. E poi basta guardare a quello che è accaduto in Afganistan: c'è stata la guerra, ma Al Qaeda e Bin Laden sono ancora lì... Ero contrario allora, resto contrario oggi all'intervento a Kabul: il terrorismo non è debellato, si continua a morire come prima e le vittime dei bombardamenti sono state tante, ma non ce le hanno fatte vedere in tv".

Ci troviamo, a questo punto, di fronte ad un Cofferati estremista e radicale in maniera inusitata. Forse qualcuno lo ha dimenticato ma la CGIL, con CISL e UIL, la guerra nei Balcani l'ha considerata una "dolorosa necessità".

Non sta, ovviamente, a noi il giudicare la buona o cattiva fede di Sergio Cofferati. Il fatto è che una presa di posizione del genere non può che portare al calor bianco lo scontro con quella componente liberal della sinistra che è tanto più filoamericana quanto più ha un passato "antiamericano" da farsi perdonare.

In sintesi, lo scontro interno alla sinistra istituzionale sembra giunto a maturazione. Dico che sembra perché sono ragionevolmente convinto che, in situazioni del genere, come può capitare che il piede scappi sul pedale e che si determini un'accelerazione irreversibile, possono darsi svolte ad U di straordinaria eleganza.

Se, comunque, pensiamo, come almeno io penso, che Sergio Cofferati non abbia parlato per dare aria ai denti dobbiamo aspettarci interessanti cambiamenti dello scenario politico che, se nascesse il partito del lavoro, porterebbero o alla fine o alla marginalizzazione del PRC, inevitabilmente mangiato dal fratellone cofferatiano o, almeno, privato della sua ala destra ed ad un ridisegnarsi della stessa sinistra radicale e dello scenario sindacale.

È, di conseguenza, opportuno che seguiamo questa deriva con l'attenzione critica che merita.

Cosimo Scarinzi

 



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