Da "Umanità Nova" n. 36 del 3 novembre 2002
Ecuador: povertà, disoccupazione, emigrazione
A Quito contro l'ALCA
1535, Ecuador. Rumiñahui combatte l'invasione spagnola guidata da
Francisco Pizarro e dal traditore Atahualpa. Dopo lunghe battaglie
Rumiñahui viene catturato, torturato e infine bruciato, senza
però svelare il nascondiglio dei tesori degli Incas.
"Il fuoco non cancella la memoria... la ravviva, la fa camminare nel vento
degli anni... la fa rinascere nelle ribellioni che verranno."
1578, Ecuador. Jumandi il grande cacique (leader) non accetta di sottomettersi
ai conquistatori che vogliono usurpare il suo mondo. Catturato dagli spagnoli,
viene esposto per le strade di Quito, torturato per essere poi impiccato.
1872, Ecuador. Fernando Daquilema forma un esercito di almeno 300 uomini e
donne per combattere le ingiustizie che subisce il proprio popolo. Viene
catturato e poi ucciso.
1944, Ecuador. Transito Amaguaña, donna indigena del nord di Quito,
contribuisce alla fondazione del primo sindacato agricolo e del primo sciopero.
Viene incarcerata e accusata di traffico di armi.
1945, Ecuador. Dolores Cacuango non accetta di sottomettersi ai maltrattamenti
e alle imposizioni che subiscono i bimbi indigeni da parte di professori
meticci. Fonda quattro scuole bilingue (kichwa-spagnolo). Nel 1963 una giunta
militare chiude le scuole e proibisce l'insegnamento del kichwa nelle scuole.
1990, Ecuador. Gli indigeni ecuadoriani realizzano la maggiore mobilitazione
della storia. Occupano strade, entrano in latifondi, sequestrano soldati, non
vendono i propri prodotti al mercato, occupano edifici pubblici. La reazione
dell'esercito non tarda, reprime, picchiando selvaggiamente e incarcerando i
vari leader della rivolta.
Fine ottobre 2002. L'Ecuador è una delle nazioni latinoamericane
maggiormente colpite dal processo di globalizzazione economica.
Povertà, disoccupazione, emigrazione, privatizzazione, rimborso del
debito estero, saccheggio delle materie prime, instabilità politica e
violenza stanno mettendo in crisi grande parte del paese.
Da novembre del 1998 a febbraio del 1999 cinque colossi bancari dichiarano
bancarotta. Lo Stato, guidato dal presidente Mahuad, ne assume i debiti
sborsando più di 1500 milioni di dollari. Nei mesi seguenti la crisi si
fa più profonda. Mancando liquidità, il presidente dichiara lo
stato d'emergenza nazionale, blocca i conti bancari e alza notevolmente il
prezzo del combustibile. Il valore del sucre (moneta nazionale) passa in pochi
mesi da 4000 a 25.000 sucre per un dollaro. Si comincia ad ipotizzare il
passaggio dal sucre al dollaro, unico rimedio individuato dalla classe politica
neoliberista per combattere l'enorme inflazione.
Per far fronte a questa nuova imposizione del Capitale, durante il mese di
gennaio del 2000, l'intero paese viene paralizzato da una moltitudine di
proteste organizzate da movimenti indigeni, contadini e sociali che si
oppongono al processo di dollarizzazione e di privatizzazione dei servizi
(elettricità, petrolio). Inoltre ribadiscono il proprio rifiuto al piano
statunitense che vorrebbe appropriarsi della base militare di Manta per
intensificare il Plan Colombia e consolidare la propria potenza militare nella
regione, controllando un'intera zona ritenuta possibile focolaio di ribellioni.
Questa alleanza di forze sociali esige il rispetto della madre terra, della
propria identità, della propria autonomia e autogestione.
Il 21 gennaio 2002 indigeni, contadini, movimenti sociali e parte dell'esercito
occupano il Congresso Nazionale e formano una giunta di "Salvacion Nazional"
(governo d'emergenza). Ne fanno parte un dirigente indigeno, un colonnello
militare e l'ex presidente della Suprema Corte di Giustizia. Il nuovo governo
durerà tre ore. La parte militare si dissocerà dopo pressioni
dell'ambasciata statunitense e degli ambienti finanziari, lasciando via libera
alla soluzione degli interessi neoliberisti.
Come capo del governo subentrerà infatti il vicepresidente del "vecchio"
governo che proseguirà coi programmi di dollarizzazione e di
privatizzazione di ampi settori.
Dal 1996 ad oggi l'Ecuador ha cambiato sei presidenti. Il paese vive
un'instabilità politica estrema, la ricchezza é concentrata
sempre in meno mani, la gente è vieppiù sfiduciata, il potere
d'acquisto interno è bassissimo, l'inflazione, nonostante la
dollarizzazione, rimane la più alta dei paesi dell'America Latina (10
volte più alta di quella negli Stati Uniti), i servizi pubblici sono
sempre più deteriorati. Buona parte delle risorse naturali sono
controllate da potenti multinazionali senza scrupolo che le saccheggiano,
inquinano e commerciano, tra le altre cose, in geni umani rubati alle varie
etnie indigene per le loro sperimentazioni e soprattutto per i loro guadagni.
La disoccupazione è alta, 31,4%, il precariato altissimo 59,4%, mentre
il 75% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. L'indice di
povertà é cresciuto come in nessun altro paese latinoamericano in
maniera drastica: dal 1995 al 2000 é passato da 3,1 a 9,1 milioni di
persone (dal 34 al 73 %) su 12 milioni di persone che vivono nel paese!!
Il cambio dal sucre al dollaro ha incrementato notevolmente questo aspetto
coinvolgendo una parte della borghesia e dei piccoli commercianti che si
trovano confrontati con una situazione di perdita di potere d'acquisto notevole
rispetto al periodo del sucre.
Il gran mercato internazionale senza frontiere e senza leggi che il
neoliberismo sta modellando si appresta a mietere un'ennesima vittima, che si
troverà, o meglio che già si trova, sotto la sua dipendenza
totale.
In questo quadro di povertà, corruzione e sfruttamento, emerge
drammaticamente la problematica dell'emigrazione di una buona parte della
popolazione ecuadoriana. Dal 1996 al 2001 il numero di persone emigrate in
cerca di una possibilità di sopravvivenza è di 2,5 millioni, la
maggior parte negli Stati Uniti e in Spagna (ma questo dramma tocca in modo
particolare anche il cantone Ticino!), ed è considerevolmente aumentato
in questi ultimi due anni di dollarizzazione. Solo durante il cambio di secolo
emigrarono dal paese tra le 700.000 e 800.000 persone. In alcune regioni del
paese 6 persone su 10 hanno almeno un familiare all'estero.
Nel processo di fuga dal paese assumono una grande importanza i fondi che gli
emigranti mandano alle proprie famiglie e che garantiscono un'entrata basilare
per ridare vitalità all'economia del paese. Nel 2001 la cifra inviata
dall'estero (1364 milioni di dollari) fu superiore alle entrate della vendita
di banane, cacao, gamberoni e caffè, preceduta solamente dai ricavi
dell'esportazione del petrolio.
Queste forti entrate sono indubbiamente un grande beneficio per le casse dello
Stato, per il quale il processo di emigrazione diventa una risorsa inaspettata.
Già in molti paesi latinoamericani toccati dall'emigrazione di massa,
questo circolo vizioso diventava un'arma per tentare di combattere la
povertà, sicuramente più efficace delle politiche dei governi e
degli aiuti che provengono da paesi "amici". Ad esempio nell'ultimo anno si
é registrato un abbassamento degli indici di disoccupazione ma questo
non é dovuto alla creazione di nuovi posti di lavoro, bensì alla
stessa corrente inarrestabile di emigranti e alla diffusione del precariato.
Purtroppo, nella realtà, dell'"inaspettata" liquidità non
beneficiano le classi più povere, viene bensì utilizzata per
pagare il debito estero o per proseguire con gli accordi presi con FMI e Banca
Mondiale. Il lato positivo é che questa situazione permette un aumento
dei livelli di consumo e un piccolo incremento della capacità di
acquisto. Inoltre non bisogna dimenticare i lauti guadagni delle ditte che si
assumono il compito del trasferimento del denaro, le quali incassano
commissioni altissime arricchendosi alle spalle di questa immensa onda di
disperazione.
Durante l'ultima settimana di ottobre si svolgerà a Quito l'ultimo
incontro dei vari capi di governo e dei ministri dell'economia di tutta America
per definire l'approvazione dell'ALCA (trattato di libero commercio che
coinvolge tutti i paesi del continente americano ad esclusione di Cuba).
L'accordo, negoziato in segreto, voluto dagli Stati Uniti per imporre la libera
circolazione di merci e capitali secondo le loro regole del loro gioco,
andrà sicuramente a peggiorare le condizioni di vita dei popoli
latinoamericani.
Il popolo ecuadoriano scenderà nelle strade per ribellarsi a questo
nuovo tentativo di colonizzazione, che é all'origine della forzata
migrazione di milioni di persone. Il loro destino sarà quindi quello di
continuare ad errare alla ricerca di condizioni di vita migliori in paesi che
impostano le loro politiche sul rafforzamento delle frontiere e sulla sicurezza
interna, quando di fatto la loro economia beneficia e necessita di questa
manodopera a basso prezzo, sfruttata, repressa e costantemente isolata per i
rigurgiti razzisti del cosiddetto mondo industrializzato.
Afroditea, Ecuador, 10 ottobre 2002
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