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Da "Umanità Nova" n. 36 del 3 novembre 2002
Burocrati senza Rotta
La sinistra sindacale della Cgil
Innanzitutto va definito l'oggetto di questo modesto articoletto. La
definizione "sinistra sindacale CGIL" benché ridondante (non ci sono
più sinistre nelle altre due confederazioni dopo l'epurazione dei
residui "sessantottini" dalla FIM-CISL) è ancora poco precisa. Bisogna
distinguere, innanzi tutto, fra chi si colloca a sinistra sul piano politico,
tenendo sul piano sindacale posizioni estremamente moderate, nella logica
dell'acquisizione di cariche dirigenziali (esemplare da questo punto di vista
l'atteggiamento di Lotta Comunista, ma da non trascurare anche quello di
frazioni di Rifondazione Comunista) e chi si colloca, oggettivamente, su
posizioni di radicalità sul terreno propriamente sindacale. Assumiamo
come unico settore degno di interesse e dunque di critica questo secondo, anche
se nella storia della "dissidenza" nella CGIL, in questi ultimi anni, le due
aree si sono intersecate, sovrapposte, divise e poi di nuovo compattate. La
seconda distinzione che andrebbe fatta nell'ambito della dissidenza cigiellina
è quello tra progettualità organizzate di militanti e quadri
sindacali ed esperienze - interessanti, ma effimere - di comitati di lotta tra
iscritti e militanti di base. Anche qui una scelta va fatta e va da sé
che in questo ambito l'oggetto non possono che essere le prime, in quanto di
respiro strategico, fondate su documenti e per il peso che hanno esercitato
negli ultimi anni sulle sorti della working class. Delle seconde sarebbe
interessante ragionare nel quadro più complessivo di una ricerca sulle
esperienze autonome di classe, seppur nella limitatezza degli obiettivi e delle
forme di lotta. Ma questo, per motivi evidenti, non ci è dato fare.
Dopo aver cercato di dirimere alcune questioni filologiche passiamo al nocciolo
delle questioni. Come è noto nella storia pluriennale di quella che
d'ora in poi beneficeremo dell'appellativo di "sinistra" e che si è
autodefinita nei modi più disparati (da Essere Sindacato a Alternativa
Sindacale, per finire oggi a Cambiare Rotta e in attesa di un qualche
immaginifico Sentirsi Sindacato o Pensarsi Alternativa) ci sono alcune
invarianti che ne definiscono la natura sostanziale. In primo luogo c'è
la centralità assoluta del dibattito/scontro all'interno della struttura
sindacale (che si accentua ancora di più, se possibile,
all'approssimarsi dei congressi) rispetto alla visibilità della presunta
alternativa nei confronti di iscritti e lavoratori.
In secondo luogo c'è l'assunzione, evidente, che il segno della
battaglia vinta è nei numeri dei congressi piuttosto che nella
capacità di incidere sulle scelte dell'organizzazione.
In terzo luogo c'è la totale autoreferenzialità che porta ad
autorappresentarsi come unica opzione e ad escludere rapporti non episodici con
l'area extra-confederale (segnatamente il sindacalismo di base che dovrebbe
essere un referente del tutto naturale).
In quarto luogo e quinto luogo - e qui siamo nel contesto ideologico - ci sono
l'incapacità di sottrarsi al modello concertativo (basti considerare le
prestazioni del compagno Patta[1]) e
alla logica delle nuove compatibilità (flessibilità in primis),
come dimostrano accordi "dolorosamente" subiti, ma avallati, se non
direttamente firmati dai leader della "dissidenza".
C'è sullo sfondo di tutto questo - come giustificazione ultima - il
mito, infelice, dell'unità dei lavoratori a tutti i costi, a
prescindere, come avrebbe detto il principe De Curtis. Quanto sia costato alla
classe operaia, in altre epoche più drammatiche, questo mito che si
traduce, oggi come allora, nella ricerca di unità di apparati, è
tristemente noto. Come è altrettanto tristemente noto che da sempre la
sinistra della CGIL gioca su questo mito mentre al contempo viene giocata dalle
varie maggioranze confederali.
Basti pensare al ruolo oggettivamente nefasto che ebbe il compagno Maurizio
Garino ai tempi dell'occupazione delle fabbriche nel 1920, quando inviato dalla
sua organizzazione (la CGL) ad un convegno genovese delle forze del
sindacalismo di classe (USI, Ferrovieri, Marittimi) per estendere su scala
nazionale "la presa di possesso delle fabbriche", vi svolse opera di
pompieraggio [2], esortando ad attendere la discesa in campo della sua
organizzazione, quella CGL che si apprestava a svendere il movimento operaio a
Giolitti. E Garino era un anarchico, un rivoluzionario sincero, un sindacalista
a tutto tondo, non un Patta qualunque.
Ma, ritornando dalle stelle alle stalle e dunque alle nostre miserie odierne,
c'è ancora un dato sostanziale che caratterizza l'inanità della
sinistra sindacale ed è l'incapacità di proporre, se non
addirittura di concepire, un modello di sindacato capace, non di cavalcare
l'onda delle trasformazioni sociali, ma bensì di orientarne il decorso
in senso conflittuale e unificante. In altre parole, siamo alla parodia del
sindacato anni '70 con la sua presunzione di essere una grande forza di
trasformazione sociale, che poi, caduti i presupposti dell'azione riformista,
nel declino generalizzato degli anni '80 e '90 si è tripartito nelle
diverse anime del sindacato dei servizi, in quello della concertazione e in
quello della contrattazione articolata nelle categorie e nelle vertenze
singole.
Quale di queste eredità (o quale mix di queste) sembra la sinistra
sindacale in grado di rivendicare? A spanne diremmo la terza con pesanti
compromissioni con la seconda (vero, compagno Patta?) e forse con un certo
grado di radicalità. Ma quale è il respiro nuovo che ci si
aspetterebbe da chi - orgogliosamente, ma anche un po' spocchiosamente -
rivendica l'eredità di un grande sindacato di classe? La critica alla
sua struttura verticistica e burocratica? Sembrerebbe di no, vista
l'accettazione della logica spartitoria delle poltrone. La critica della
struttura fondata sulla delega permanente e sul funzionariato di mestiere?
Sembrerebbe di no, vista la strumentalizzazione del cosiddetto movimento delle
RSU, tenuto artificialmente in vita - al di là di ogni minimo buon gusto
- anche quando questo era morto e sepolto. La critica della scarsa (se non
nulla) rappresentatività dell'organizzazione nei confronti delle nuove
categorie del lavoro precario e sommerso? Anche qui sembrerebbe di no a
giudicare dalla totale assenza della sinistra sindacale nella più
significativa lotta dei lavoratori atipici degli ultimi anni: quella degli LSU.
Ma allora, se non c'è proposizione nuova sul terreno propriamente
sindacale, c'è forse la capacità di imprimere una svolta sul
piano dell'opposizione sociale e politica alle politiche della destra al
governo? Nemmeno questo, lo strappo l'ha fatto il compagno Cofferati (in odore
di pensionamento o di carriera politica), rompendo anche con le altre
confederazioni, con una "audacia" che i sinistri della sua organizzazione mai
avrebbero avuto. E lo ha fatto - questo è certo - senza la minima
considerazione delle eventuali sollecitazioni dei suoi sinistri. Questo
è forse il segnale più macroscopico del fallimento della sinistra
sindacale: fuori dal tempo, fuori dallo spazio del conflitto sociale,
ideologica e senza idee, impotente nei grandi mutamenti di scenario che, a
parole, preconizza. L'unico ruolo certo è la funzione di contenimento a
sinistra nei confronti di settori della working class alla ricerca di
un'alternativa reale sul terreno sindacale.
Complimenti compagni, non solo la storia non vi ha insegnato nulla, nemmeno
riuscite a leggere un probabile e vicino futuro nel quale non riuscirete ad
esercitare alcun ruolo. E complimenti a tutti i compagni antagonisti,
libertari, extra-confederali, che occhieggiano a questa area, dandole una
credibilità che nemmeno i sinistri CGIL più intelligenti pensano
di avere.
Gianni Stoppardi
[1]Patta, alto dirigente nazionale della
CGIL e leader della sinistra, ha recentemente firmato un accordo a perdere, che
prevede un aumento irrisorio per tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici.
[2]Cfr. in merito la testimonianza di Alibrando Giovannetti, uno dei massimi esponenti dell'USI dell'epoca, nell'articolo "Sui moti
rivoluzionari in Italia nel 1920" ne Il Proletario di New York, organo dell'IWW
in lingua italiana, dell'agosto 1925. Ora in AltraStoria n.7 dell'ottobre 2002.
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