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Da "Umanità Nova" n. 37 del 10 novembre 2002

La finanziaria 2003
Guerra contro i lavoratori

La finanziaria ha debuttato alla Camera lunedì 4 novembre, arricchita del maxi-emendamento approvato dal Consiglio dei Ministri l'ultimo giorno di ottobre e concordato, il giorno prima, con i più entusiasti partner del governo: Cisl, Uil e Confindustria. Neanche questa volta è stata convocata la Cgil: oramai la concertazione "macro" funziona a corrente alternata e i tempi per un riavvicinamento delle confederazioni, anche dopo lo sciopero solitario del 18 ottobre, non sembrano così accelerati. Forse la Cgil potrebbe essere "riammessa" soltanto dopo una sostanziale accettazione del proprio isolamento, se non addirittura dopo l'ammissione della sconfitta della propria strategia. Su questo terreno, chi vivrà vedrà. Per adesso proviamo a fare il punto sullo stato delle cose per quanto riguarda il procedere della politica berlusconiana.

Si può dire, schematicamente, che il governo si prefigge due obiettivi di breve termine e due obiettivi di medio termine:

obiettivi di breve termine sono l'approvazione della finanziaria ed il varo definito della legge delega sul mercato del lavoro;

obiettivi di medio periodo sono la modifica dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e la ripresa dell'iniziativa per la "riforma" delle pensioni.

Tenere insieme la coalizione al governo, maneggiando materiale altamente esplosivo, è la vera scommessa berlusconiana: perdere qualche ministro man mano che si procede è esercizio di qualche abilità negoziale, ma conservare il controllo su variabili come i leghisti, i nordisti, i sudisti, i padroni nordisti e sudisti, i piccoli e medi imprenditori, gli gnomi della finanza, i democristiani travasati, gli enti locali ribelli, i liberisti, i protezionisti, insomma tutte le "sensibilità" che albergano nel Polo è vera e propria arte, che travalica la più sperimentata delle professionalità. Come se tutto ciò non bastasse, bisogna riconoscere che la congiuntura internazionale (in generale) e i guai della Fiat (in particolare) non favoriscono certamente gli eroi al governo, cui si impedisce da più parti e con vari mezzi la traduzione concreta dalla teoria alla pratica del motto ormai famoso del "lasciateci lavorare".

Nella realtà effettuale, il governo ha cercato con il maxi-emendamento alla finanziaria di mantenere gli impegni presi con gli amici, senza peraltro indicare dove intende recuperare i denari necessari. In sostanza:

vengono confermati i benefici a fondo perduto alle imprese, come da legge 488, cancellando la precedente misura che li aveva trasformati (per meno di un mese) in finanziamenti a scadenza ventennale alle aziende del Nord che investono nel Sud;

vengono reperiti altri 500 milioni di euro come risorse aggiuntive da destinare alle imprese (250 milioni) e per favorire l'occupazione (250 milioni);

viene confermato fino al 2006 il bonus fiscale per ogni occupato (100 euro al mese ciascuno, più altri 300 se il neo-occupato è al sud, più altri 50 se ha più di 45 anni);

viene rifinanziata l'Artigiancassa e previste nuove norme che semplificano lo smaltimento dei rifiuti, significativamente definito pacchetto "lasciateci lavorare";

viene ribadito l'invito a ripresentare le richieste di rimborso per "credito d'imposta agli investimenti", sebbene le relative risorse finanziarie siano finite già a luglio.

L'insieme di questi provvedimenti comporta una bella retromarcia e rappresenta un succulento regalo alle imprese, per la non modica cifra di 2.800 milioni di euro. Ricordiamo che il presidente della Confindustria, il mitico D'Amato, aveva lamentato per il sistema delle imprese un costo di 3 miliardi di euro per le misure comprese nel decreto fiscale del 20 settembre: dunque il governo gli ha restituito quasi tutto. Resta da vedere cosa dovranno scucire banche ed assicurazioni per i provvedimenti che li riguardano: ma sono imprese che controllano meno voti e sono poco simpatiche a tutti, dunque l'effetto mass-media è molto meno pernicioso. D'altra parte, i provvedimenti del governo stanno per dischiudere ai protetti settori della finanza i nuovi e opulenti mercati delle assicurazioni sanitarie e della previdenza integrativa, al fine di tamponare gli indigesti buchi di bilancio causati dai prestiti concessi a Fiat, Enron, Worldcom, Abb, Argentina, e via discorrendo.

Contentata la Confindustria, varato il maxi-emendamento per il Mezzogiorno, soddisfatte Cisl e Uil con le risibili riduzioni di tasse ai redditi medio-bassi (come da Patto per l'Italia), al Governo resta come unico ostacolo la resistenza degli enti locali. Regioni, Province e Comuni continuano a protestare per la drastica riduzione dei trasferimenti in loro favore, che imporrà a questi enti di innalzare in modo significativo la pressione tributaria sui propri cittadini: la sanità, la formazione professionale, scuole d'infanzia, trasporti vedranno lievitare in modo esponenziale le tariffe applicate. Qui si concentrerà, in tempi brevi, un punto chiave di resistenza.

Il secondo obiettivo su cui il governo ha segnato un punto è la legge delega sul mercato del lavoro,

passata alla Camera e destinata ora alla terza e definiva lettura del Senato. Escludendo il controverso provvedimento di abolizione dell'art. 18, tutta la materia sta per diventare legge. In pratica viene introdotto, tra le altre cose, il concetto di "staff leasing" (ogni azienda potrebbe evitare per sempre di assumere a tempo indeterminato), il "job-on-call" (il lavoratore deve attendere la telefonata che lo fa lavorare in cambio di una indennità di disponibilità), il "job sharing", lo straordinario per i part-time, ecc. ecc. In sostanza viene completato il lavoro cominciato nel 1998 con il pacchetto Treu, un naturale proseguimento della politica del lavoro dei governo Prodi, D'Alema e Amato. Maroni sta completando l'opera, proponendo tra l'altro l'abolizione del contratto nazionale di lavoro per incrementare (va da sé...) la flessibilità del mercato del lavoro.

Gli obiettivi su cui si concentrerà il governo, dopo novembre, hanno invece il respiro del progetto strategico: abolire l'art. 18 significa decretare sul campo una sconfitta importante del movimento sindacale per la difesa dei diritti, un evento dal grande significato simbolico; arrivare alla riforma delle pensioni può rappresentare il punto d'arrivo di una strategia mirata alla riforma strutturale dei meccanismi di spesa. A quel punto non resterebbe da fare altro che terminare il processo di privatizzazioni e poi completare l'opera con la definitiva attuazione della riforma fiscale, in modo da abbassare le tasse dei molto ricchi, prelevando un po' di più a tutti, con la scusa di aiutare i poveri.

Per quanto riguarda l'art. 18, si tratta di riprendere in mano quello che è diventato il disegno di legge 848 bis, uno stralcio del provvedimento complessivo sul mercato del lavoro. Il governo intende presentare un emendamento che recepisca il Patto per l'Italia: deroga sperimentale per 3 anni all'art. 18 applicato alle imprese con meno di 15 addetti che decidano di assumere nuovi lavoratori. Insieme a questo provvedimento centrale, si discuterà di riforma degli ammortizzatori sociali, con il varo definitivo delle nuove norme su licenziamenti, collocamento, formazione, indennità di disoccupazione. Prosegue senza soste il disciplinamento della forza lavoro.

Infine le pensioni: anche qui il governo non intende perdere tempo. È suo obiettivo affrontare il problema a livello comunitario, con il vertice europeo di Copenhagen. Subito dopo, e comunque entro il primo semestre 2003, il governo vuole arrivare ad una sessione sulla previdenza, riprendendo in mano la legge delega attualmente arenata: obiettivo principale arrivare ad un allungamento di almeno cinque anni dell'età pensionabile entro il 2010, possibilmente sotto l'ombrello protettivo delle indicazioni in sede UE. Naturalmente tutti i sindacati, compresi quelli concertativi, negano che esista una simile ipotesi: ma sappiamo bene che si tratta di prese di posizioni tattiche per rafforzare il proprio ruolo negoziale.

Possiamo concludere con alcuni punti ferni:

il contesto economico comporta una forte erosione degli spazi disponibili necessari a "comprare" il consenso: la crescita è ridotta nel 2002 a meno dello 0,5% e nel 2003 non andrà oltre l'1,5%; gli investimenti sono crollati del 5,8% nel primo semestre e addirittura dell'8,7% al netto dell'edilizia;

la competitività dell'azienda Italia è in forte calo e in un mercato mondiale dove il commercio estero è salito del 4,2% nel primo semestre, l'export italiano ha avuto una flessione del 2,4%.

Le entrate preventivate nella finanziaria 2003 sono in gran parte frutto di ipotesi fantastiche (condono fiscale, scudo per il rientro di capitali, privatizzazioni), mentre sarà probabilmente necessario, per fronteggiare le uscite, varare misure straordinarie (una tantum, inasprimenti fiscali, ulteriori tagli di spesa).

Di fronte ad un governo che non si ferma mai e che non ha soldi da investire, anche Cisl e Uil potrebbero avere problemi di consenso nel continuare a collaborare con il governo; questo a prescindere dal confronto frontale con la Cgil, per cui il contenzioso non può che allungarsi.

L'opposizione sociale, in generale, ed il sindacalismo di base, in particolare, hanno davanti compiti molto superiori alle reali possibilità di adempierli e, per contralto, occasioni molto favorevoli che sarebbe interessante poter sfruttare per crescere.

Il nostro principale obiettivo è quello di conquistare un ruolo visibile e concreto nella difesa delle condizioni di vita di settori ampi del lavoro e della società, facendo subentrare il protagonismo alla delega, sfruttando e ampliando tutte le contraddizioni dell'avversario.

Renato Strumia

 



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