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Inserto del n. 37 del 10 novembre 2002 di Umanità Nova, settimanale anarchico

I crimini della globalizzazione
Stato e Capitalismo sono irriformabili

Globalizzati e globalizzatori

I fautori della globalizzazione concentrano la loro attenzione sul supposto ruolo inclusivo che la mondializzazione del mercato economico e commerciale esercita sul benessere delle popolazioni. Più risorse, più scambi, più opportunità di lavori, e quindi di reddito, consentono a numerose famiglie dei paesi non certo agiati di assaporare per un po' una minima parte del benessere di cui godono ristrette minoranze del pianeta, allungando così la soglia di vita, entrando nel circuito dell'alfabetizzazione e dell'acculturazione, usufruendo di più sicuri strumenti sanitari, e via dicendo. In tal modo, sostengono i cantori dell'attuale assetto sociale ed economico, ampie masse di popoli asiatici e latino-americani sono uscite dal triste destino della sopravvivenza e dell'ignoranza per accedere ai benefici di una ricchezza planetaria mai così ampia e disponibile. Il passaggio dalla dignitosa povertà rurale alla dinamica vita delle metropoli industriali - che nel mondo occidentale è stato compiuto lungo l'arco di un paio di secoli - è avvenuto negli ultimi cinquant'anni, con traumi e scossoni ma comunque consentendo l'incremento demografico (anche troppo, secondo alcuni), l'allungamento della speranza di vita, nonché il godimento di luce, acqua, telefono e apparecchi tecnologici impensabili solo alcuni decenni orsono.

È tutto oro, allora, quel che luccica sotto il segno della globalizzazione?

Che la popolazione presente sulla terra sia cresciuta a dismisura, rispetto alla capacità di sostenere un ritmo dissipativo imposto da una impatto aberrante del consumo energetico e tecnologico sui limiti della "natura", è un fatto che non deve occultare la questione discriminante dell'assetto globale: e cioè l'assoluta apertura della forbice di diseguaglianze e iniquità che i processi di globalizzazione hanno spalancato, specialmente in alcune aree tra le più popolose del pianeta, prima fra tutte l'Africa.

È vero che alcuni paesi si sono agganciati alla locomotiva dell'economia globale, arricchendosi nell'arco di un ventennio, a spese di una discriminazione ripiegata, da una parte, verso l'interno, ossia le classi sfruttate di quelle Tigri asiatiche (è di loro che testimoniano i pro-global), e dall'altra verso l'esterno, ossia l'intero pianeta assoggettato e ridotto ad un gigantesco mercato del lavoro a basso costo, a tutela nulla delle condizioni lavorative, a orari infernali, a luoghi inenarrabili (le maquiladoras al confine americo-messicano, le industrie chimiche dismesse in Europa e negli Usa e trapiantate a Bhopal in India, tanto per fare due esempi tipici).

La globalizzazione acuisce la forbisce della diseguaglianza interna e esterna ai singoli paesi-nazioni, e tutto lo spazio pubblico diviene una sorta di mercato dove vige la legge del più forte, colui (individuo o più spesso impresa) che cerca con maggiore cinismo profitto utilizzando tutta la gamma di risparmi possibili sulla superficie terrestre, ovviamente comprimendo diritti, salari, tutela sanitaria, costi di formazione e di istruzione, e via di seguito.

Il fatto che la popolazione sia cresciuta, ma la ricchezza disponibile sulla terra altrettanto di più per tre volte, senza che ciò abbia comportato una distribuzione simmetrica a quest'ultimo dato, la dice lunga su chi si è appropriato di cosa: una parte ristretta del mondo ricco e potente ha centuplicato i propri standard di benessere, mentre la maggioranza galleggia tra una vita a mala pena decente come poteva essere l'inferno vittoriano nelle miniere inglesi del XIX secolo, ed una vita magra e vorticosa protesa a non scivolare sotto i livelli di sopravvivenza; in genere gli africani sono retrocessi rispetto alle speranze della decolonizzazione degli anni sessanta, peggiorando i loro parametri esistenziali e finendo nel buco nero della contemporaneità - tranne se nel sottosuolo non c'è petrolio, diamanti, tungsteno, bauxite e altre risorse preziose per il benessere dei pochi privilegiati locali e mondiali.

Ciò non avviene per particolare malvagità dei ricchi e dei potenti, già di per sé abbastanza cinici che le responsabilità loro imputabili di sterminio vanno coniugate con il sistema globale messo in piedi per utilizzare l'intera superficie del mondo quale spazio ristretto di cattura e depredazione. Rappresenta infatti un mito l'elemento virtuoso del capitale, prima locale e poi globale, secondo il quale il mercato lasciato libero a se stesso esalta le doti imprenditoriali che apportano beneficio per tutti: la secolare questione femminile e la più recente questione ambientale fanno giustizia di tale mito per cui il capitalismo è fonte di ricchezza pubblica, magari da correggere con un sistema fiscale progressista che corregga le disfunzioni patologiche e devianti. Invece la triste e dura realtà è che il capitalismo in genere, e quello globalizzato a maggior ragione, produce fisiologicamente sfruttamento inarrestabile e irreversibile, con sciupio di risorse (che siano rinnovabili o meno, poco importa), di vite umane, con inefficienza e inefficacia nel risolvere i problemi di convivenza pubblica o di legami sociali, che anzi si impoveriscono perché perdono altri strumenti culturali di risoluzione per affidarsi interamente alla quantificazione parificata del calcolo economico dei costi-benefici, come se un amore perduto o guadagnato potesse essere pareggiato con un servizio quantificabile di denaro.

Miseria del capitalismo e capitalismo della miseria - intendendo per miseria, nel primo caso, un vizio morale frutto della cattura politica dell'economia come sfera separata dell'esistenza associata ad opera di una élite che prima di essere economicamente ricca è politicamente forte perché si appoggia alla sete di potere e di dominio; mentre nel secondo caso, per miseria si intende letteralmente la spoliazione di intere regioni del pianeta ricche di materie prime a cui vengono sottratte attraverso meccanismi di scambi ineguali nei rapporti commerciali e, soprattutto, finanziari, impostando il rapporto sud-nord sotto l'egida del ricatto politico e militare, da un lato, e sotto la ghigliottina del debito estero e dell'insufficienza di sbocchi alle proprie ricchezze, dall'altro, inclusa la discriminazione ai limiti razziale nei confronti della forza lavoro migrante che da quei lidi giungono disperatamente sino ai nostri ove possono morire davanti agli occhi acquiescenti di una società moralmente ingiusta e vuota.

Economia virtuale, economia materiale

L'egemonia finanziaria dell'economia virtuale su quella materiale che produce beni materiali e servizi a persone e imprese, con ciò alimentando i consumi, l'output produttivo, i redditi e in ultima istanza le casse del fisco nazionale, esercita una prelazione di diritto sui canali di indirizzo delle risorse monetarie, investimenti inclusi. Ciò dilatato su scala globale, indebolisce il ruolo dello stato come dispensatore di risorse economiche attraverso le politiche governative. Dal controllo pubblico della realtà economica, mediato dalla rappresentanza delle democrazie parlamentari, si arriva all'opacità privatizzata delle leve economiche sottratte agli stati per essere consegnate nelle mani di imprese transnazionali private e addirittura di burocrazie economiche come le agenzie di rating, il cui certificato di credibilità finanziaria assolve o condanna interi paesi decretandone la morte economica, cosa che non fanno nei confronti delle imprese che le assoldano con indubbia complicità ai fini di frodare il fisco, le regole nei confronti dei piccoli azionisti, nonché l'opinione pubblica in senso lato (casi Enron, Worldcom, Andersen, ma anche i casi di conflitto di interesse tra politica e affari di cui Berlusconi è solo un piccolo epigono locale, vedasi Bush, O'Neill, Cheney e Rumsfeld, ossia il "meglio" del governo Usa).

Ciò che lo stato sembra perdere quanto a controllo monetario - del resto in Europa già svincolato dai governi ben prima del caso burocratico dell'euro: il potere sulla divisa nazionale già da tempo non era più del Tesoro bensì dell'autorità (relativamente) indipendente delle Banche centrali - continua comunque a persistere, oggi più saldo che mai, ad esempio nei trasferimenti in direzione pubblico-privato in occasione di salvataggi da crack in borsa o nell'economia reale (a partire dalle casse di risparmio americane salvate dal liberista Reagan negli anni ottanta in seguito all'esposizione bancaria col Messico, sino ai finanziamenti di Bush ai farmer locali o dell'Unione Europea alla Politica Agricola Comunitaria, per non parlare di vere e proprie regalie come la rottamazione pro-Fiat di alcuni anni orsono, grazie ad un governo progressista di centro-sinistra).

Ma è sul piano strettamente politico che lo stato mantiene tuttora il pallino nelle proprie mani, attuando una politica di vita e di morte sui propri cittadini, e anche su quelli non propri ma che capitino a tiro, come gli extracomunitari disprezzabili del sud (non certo extra- quali americani e giapponesi, beninteso). La bio-politica di cui parlava Foucault oggi trova conferma nella massima esemplarità dell'agire statuale: il potere di dare la morte, non solo nelle esecuzioni giudiziali sempre in crescendo, ma anche e soprattutto nelle inquietanti guerre umanitarie che hanno solcato e solcano il nostro pianeta da una dozzina d'anni in qua come movimento di assestamento di un equilibrio geopolitico andato in implosione con la scomparsa dell'Unione sovietica e dei suoi satelliti tra il 1989 ed il 1991, cui sta seguendo una transizione micidiale (letteralmente) dato l'alto numero di conflitti ora dislocati non solo ai margini della faglia di contrapposizione, come un tempo le guerre per procura dei due contendenti compari, ma anche nel cuore dell'Europa nei Balcani, e addirittura nel cuore dell'impero statunitense, a Manhattan per un verso, ma in qualsiasi liceo americano dove avviene una strage, tanto per fare un esempio del conflitto armato su grande e piccola scala, tanto i produttori ed i commercianti di armi e armamenti provengono da quei cinque paesi ricchi e potenti che sono deputati ai sensi della carta delle Nazioni Unite a prevenire la guerra e perseguire la pace e la convivenza tra popoli e nazioni all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, per di più con il diritto di veto perché potenze (un tempo in esclusiva, oggi in condominio) nucleari.

La Cupola globale: World Bank, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio

Se nella sfera della politica tout court, ciò avviene attraverso la riemersione dell'uso della forza statuale, oggi preventiva, come strumento di risoluzione della conflittualità internazionale, costringendo la diplomazia (o le relazioni culturali) come arte del governo ad abdicare ingloriosamente, i processi di globalizzazione in senso lato viaggiano su istituzioni forti che riescono a imporre la legge del privilegio di chi detiene risorse, anche culturali, per poter piazzare pedine proprie nello scacchiere globale. Intendo riferirmi alla triade World Bank, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio.

Il famigerato ruolo di questa Cupola globale non è mai denunciato abbastanza, anche da parte di affidabili "pentiti", tuttavia più o meno sinceri, provenienti dalle loro fila. La micidiale imposizione del modello di sviluppo "neo"-liberista trascura il rilievo sulla sua sostenibilità, non solo ambientale, energetica e dissipatrice di risorse astrattamente disponibili per tutti poiché di proprietà di nessuno, quanto e soprattutto sociale, civile e forse addirittura umana, che alimenta rancori e vendette solamente sul piano della ritorsione sul medesimo livello di arroganza e di spadroneggiamento, secondo un effetto di riproduzione mimetica che garantisce nei secoli la perpetuazione delle istanze di dominio.

La Banca Mondiale notoriamente finanzia le mostruose mega-infrastrutture spesso responsabili di disastri naturali e di eccidi clamorosi: il progetto di dighe nella Narmada Valley in India, di cui ci parlano con preoccupata inquietudine la scrittrice Arundhati Roy e la scienziata militante Vandana Shiva, sono esempi replicati in Turchia col Gap e in Cina sul fiume Yang, ove milioni di persone sono costrette a lasciare tutto per trapiantarsi altrove, come se si trattasse di una gita fuori porta per un fine settimana.

Il Fondo Monetario Internazionale è tristemente famoso per i suoi Programmi di aggiustamento strutturale con cui impone ai governi bisognosi delle sue risorse monetarie, garantite da un board di amministratori occidentali (anni fa guidato proprio da Carlo Azeglio Ciampi) il cui primo azionista sono gli Usa, ricette drastiche di impoverimento crescente, nell'illusione di equilibrare pareggi di bilancio con redditi diffusi: l'Argentina che era allieva diligente ringrazia ancora oggi del baratro in cui è precipitata.

La World Trade Organization, infine, regola gli scambi commerciali tra gli oltre 150 paesi aderenti (buona ultima la Cina) obbligando ognuno di essi a tarare le norme interne sui principi del libero scambio, ossia del protezionismo sussidiato dai governi occidentali a tutela delle proprie nicchie di vantaggio competitivo, mentre si predica una inclusione di tali principi che quantificano e mercificano ogni cosa anche nel campo della produzione intellettuale, della comunicazione, dei frutti dell'ingegno, della formazione e dell'istruzione, mentre nessun controllo è diretto a arrestare il traffico proliferante di armi e armamenti con cui il connubio capitale-stato opprime buona parte delle popolazioni del pianeta.

L'aguzza piramide planetaria

Il processo di globalizzazione può trovare una immagine congruente per una raffigurazione corretta: una immensa piramide, oltremodo slanciata verso l'alto, con una punta piccola in relazione al corpo della piramide stessa. In cima ad essa, stanno pochi che già confliggono elegantemente per non farsi buttare giù, stringendo alleanze di ogni genere per non tradirsi reciprocamente. L'immensa base è popolata da quel miliardo e duecento milioni di individui che sopravvive con 1 dollaro al giorno, priva di accesso all'istruzione, all'acqua, alle cure sanitarie; mezzo gradino più su vive oltre un miliardo di individui che sopravvive con ben 2 dollari al giorno, semi-analfabeta, con lavori precari, in cerca di fortuna migrando verso strade più accoglienti, senza avvertire il peso della massa di ceti medi, che sgomitano a metà piramide per non precipitare in basso (come in America latina) o per innalzarsi un po' a vedere la luce, agganciandosi al folle treno della globalizzazione (come in Asia orientale).

La cattura delle risorse da parte di élite private non legittimate se non dalla canna del fucile e dal mito della ricchezza facile e vistosa (le nuove mafie dappertutto) sposta i canali di redistribuzione delle ricchezze, attuate dalle politiche riformiste e socialdemocratiche del mezzo secolo dorato (almeno in Europa), dalle normative pubbliche tese a tutelare una cittadinanza dotata di diritti conseguiti anche attraverso il conflitto parlamentare e extraparlamentare (il welfare state), ad una "guerra duratura" sul modello bellico in cui tutti confliggono con tutti per accaparrarsi posizioni migliori e bottini più lucrosi (il warfare state).

Se ciò dovesse comportare una pratica di sterminio permanente - economico non meno che fisico - proseguendo il secolo dei genocidi (il XX appena trascorso: dagli armeni ai tutsi, passando per gli ebrei e i timoresi, e senza bisogno di riandare agli indios latino-americani di 500 anni fa), un ferreo quadro culturale xenofobo, razzista, reazionario troverà modo di giustificare politiche assassine non meno che contesti insoliti in cui si smarrisce addirittura ciò che distingue l'umanità dalla specie animale e vegetale: la dimensione morale che ossessiona il nostro agire conscio e il nostro buco nero inconscio, proprio quando la tecnologia criminale di cui dispongono gli stati ricchi e potenti (comprese formazioni prestatuali che quanto a sterminio non sono seconde a nessuno, quali i taliban contro le donne, incluso l'"eroico" bin Laden con i dollari della Cia e dei sauditi sfruttatori dei lavoratori non arabi nei pozzi di petrolio loro assegnati dalla divisione geopolitica delle grandi potenze imperiali di inizio secolo) riesce a smarrire il nesso di imputabilità tra azione criminale e responsabilità personale e politica, come nel caso dei bombardamenti intelligenti a 5mila metri di altezza in cui la differenza tra la morte reale e il videogame manipolato dal pilota del cacciabombardiere consiste tutto nel sangue vero ma invisibile a quell'altezza, che nessun media andrà a rivelare se non nell'ottica saltuaria e spettacolare di uno scoop all'ora del prime time televisivo.

Salvo Vaccaro, FAI - Globalaffairs

 



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