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Inserto del n. 37 del 10 novembre 2002 di Umanità Nova, settimanale anarchico

Stati leggeri? Manganelli pesanti

Uno dei luoghi più comuni dell'epoca della globalizzazione è quello che registra un declino dello stato nazionale come forma politica di accentramento del potere legittimo e dell'autorità materiale delle élite politiche. Come ogni luogo comune, c'è parte di verità in queste affermazioni, specie se colte dalla prospettiva di una relazione tra apparato statale e imprese transnazionali le quali, nella sfera economico-finanziaria, oggi hanno conquistato un rilievo nella gestione e accumulazione di risorse monetarie spesso superiori alla disponibilità fiscale degli stati, anche di quelli ricchi. Inoltre, attraverso un processo di concentrazione sovranazionale dei poteri (come nel caso dell'Unione Europea, sia pure ambiguamente), talune prerogative dell'autorità nazionale di fatto sono passate ad autorità, anche non elettive, regionali, pur dietro esplicito consenso autorizzativo del governo nazionale.

Tuttavia, anche in era di globalizzazione, la legittimità è tuttora una prerogativa del potere politico statuale, che è all'origine delle forme di interiorizzazione dell'autorità da parte dei singoli individui che ne replicano nella propria sfera di pertinenza lo stile di condotta. Infatti la legittimità dell'autorità statuale offre la chiave di lettura del "mistero" dell'obbedienza politica.

L'accentramento del potere politico in capo ad una forma-stato è ancora oggi un trend diffusissimo: negli ultimi decenni, anche dopo il fatidico 1989, anzi proprio soprattutto dopo quella data cruciale per gli esegeti della globalizzazione, gli stati venuti al mondo sono innumerevoli, sia per secessione (area sovietica e balcanica), sia per nuova formazione (da ultimo Timor est, per non parlare della Palestina in statu nascenti). Parlare di declino quando il pianeta registra quasi duecento forme statali e nessuna altra forma alternativa legittimamente presente nel panorama mondiale sembra alquanto strano.

Senza dubbio, i processi di globalizzazione giocano con le frontiere nazionali su più livelli: demografico, culturale, economico-finanziario come si è detto, e ciò comporta un duplice rimbalzo tra dimensione locale sovrastata da flussi incontrollabili (migrazioni, informazioni, penetrazione di culture altre), ma altresì da un certo spirito di revanscismo locale che a fronte della propria evanescenza vissuta come perdita angosciante, si lascia andare a fenomeni inquietanti di nazionalismo tribale, di discriminazione sciovinista (come in ogni patriottismo, secondo la lettura di un insospettabile Karl Kraus).

Ma da ciò a pensare che lo stato stia contando le sue ultime ore ce ne corre. Innanzitutto perché sono stati i governi, dietro pressioni più o meno disinteressate e dietro processi più o meno disciplinabili, a cedere poteri ad altre élite, dismettendo proprie funzioni sovrane verso l'alto, in un percorso di sovrapposizione con inedite forme statuali su scala dilatata, o verso l'esterno, in un percorso di affiancamento con altri poteri forti (le élite economiche e finanziarie che consentono alle élite politiche di finanziarsi le costosissime campagne elettorali).

In secondo luogo, perché anche il complesso rapporto tra élite necessita ancora del luogo di legittimità dell'agire pubblico per definizione, che è sempre lo stato, cui si ricorre per ogni qualsivoglia necessità nel momento in cui occorre dirimere qualche problema reale, persino nelle politiche economiche che dovrebbero essere quelle maggiormente erose dai processi di globalizzazione: indubbiamente i margini di intervento legale sono ridimensionati dalle autorità sovranazionali e i costi di intervento pubblico a sostegno del privato - banche o imprese in difficoltà - sono ridotti a causa della diversa modalità di accumulazione e redistribuzione della ricchezza su scala globale.

Infine, proprio dopo l'11 settembre, ma non solo con tutta evidenza dato che quaranta conflitti preesistevano all'attacco del Bin Laden di turno, il ruolo che la guerra gioca, anche nella sua variante asimmetrica - uno stato contro il simulacro del terrorismo internazionale - è di prerogativa statuale senza possibilità di alternativa, poiché solo lo stato può permettersi il controllo dei sistemi d'arma C4I con i quali è necessario operare su vasta scala in un campo di battaglia dilatato al pianeta ed all'atmosfera terrestre. La mutata scenografia dell'evento bellico e della militarizzazione sociale esige una forte autorità centrale che si chiama ancora oggi stato.

Se è plausibile ritenere che lo stato non sia più l'unico ed esclusivo attore sulla scena politica nazionale e internazionale (ma poi, lo è mai stato, unico?), in quanto accanto ad esso vediamo una miriade di ong, associazioni, imprese, media, che concorrono a surrogarlo in alcune sue funzioni tipiche, come ad esempio quella della mobilitazione popolare, della formazione di opinione pubblica e di consenso, è altrettanto plausibile ritenere che fin quando tali formazioni sociali manterranno un immaginario che stilizza una pratica legata alla forma statuale di potere, lo stato non si indebolirà ma anzi si rafforzerà dilatando le proprie maglie disciplinari e di controllo (come peraltro sta già facendo nella sfera virtuale, con il controllo elettronico, con la censura su internet, con il monopolio del controllo sulle dorsali comunicative satellitari), finendo con integrare nella propria forma, magari subdolamente, forse con qualche scarto rispetto alla tradizione, non solo le formazioni prestatuali con le quali nuove élite riformiste intendono sostituirsi alle vecchie, ma anche quelle formazioni apparentemente e dichiaratamente antagoniste e ostili le quali, però, si ostinano a non voler risolvere i loro conti con la questione del potere nel loro stile di prassi politica quotidiana e strategica, adottando un immaginario statuale senza accorgersene e replicando così una forma statuale di cattura dei processi associativi diffusi e acefali nelle varie sfere di cui si compone una società.

Salvo Vaccaro

Commissione Faiglobalaffairs

Gli Stati, lungi dall'indebolirsi, stanno rafforzando le proprie maglie disciplinari e di controllo

 



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