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Inserto del n. 37 del 10 novembre 2002 di Umanità Nova, settimanale anarchico

Orizzonti di guerra
Le strategie di dominio degli Stati

Nel mio peregrinare mediatico, ho cercato, per captare sensibilità, sensazioni ed indicazioni, qualche informazione sulla situazione turistica in Indonesia, in particolar modo sulla situazione di Bali, ed allora mi sono affidato al competente sito dell'Ambasciata d'Italia in Indonesia[1], pensando che potesse essere di qualche ragguaglio per coloro che, armati di volonteroso spirito vacanziero, volessero insinuarsi in terre dilaniate da scontri politici, che vengono ammantati da battaglie tra nuovi etnicismi religiosi e fondamendalismi di ogni sorta. E una indicazione preziosa l'ho avuta: non ci sono problemi a Bali! Turisti, tranquilli: godetevi le vostre meravigliose e costose vacanze neocoloniali; i problemi ci sono, ma da altre parti! Tenete conto, poi, che queste informazioni sono state estese dopo l'11 di settembre, dal momento che il sito dell'ambasciata italiana fa riferimento a quei tragici eventi come "turning point" della situazione internazionale. Questo rassicurante trafiletto è stato naturalmente rimosso nell'arco di alcune ore per dare posto ad un più diretto: se potete non venite a Bali.

E puntuale, "inaspettato", il terrorismo internazionale, "Al Queda" in particolare, compie la sua ennesima strage civile, dilania intere famiglie e colpisce il cuore dell'"innocenza" occidentale nel profondo delle sue certezze, nella sicurezza della sua tranquillità, quella tranquillità che ogni giorno lo stesso occidente nega ai 3/4 del resto del mondo. E l'Occidente allora ha paura, un terrore profondo lo pervade: tutto ciò che si muove al suo esterno è una minaccia, lo lascia insicuro e questa minaccia rappresenta la terza arma in mano al Potere, necessaria come le altre due: le armi e i soldi.

Ogni fucile, ogni bomba in mano ad un essere vivente può essere usato da un estremista islamico: dal cecchino statunitense che sta mietendo vittime negli autogrill o nelle soste auto di anonimi benzinai agli egiziani arrestati in Italia per possesso di cinture kamikaze. Il compito mediatico fondamentale del Potere è quello di creare terrore: il suo compito specifico è quello di realizzarlo.

Il dominio capitalistico, nella sua parte vincente s'intende, ha bisogno di provare pubblicamente che la lotta che sta conducendo a livello internazionale è una lotta contro il terrorismo e per fare questo "sacrifica" alcuni dei suoi figli e delle sue figlie alla causa: vittime sacrificali predestinate alla tenuta di uno scontro epocale che non ha precedenti. La partita, quella seria ovviamente, e non mi stancherò mai di ricordarlo, perché sono loro stessi a rammentarcelo, è la battaglia per il predominio mondiale. Questo è il punto. Già ce lo avevano ricordato Paul Wolfowitz e Luis Libby nel 1992 quando scrissero che "il compito degli Stati Uniti era quello di impedire a qualsiasi potenza ostile il dominio di regioni le cui risorse le consentirebbero di accedere allo status di grande potenza ed a dissuadere i paesi industriali avanzati da qualsiasi tentativo che miri a contestare la nostra leadership o a ribaltare l'ordine politico ed economico costituito e a impedire l'ascesa di un futuro concorrente globale".[2]

Più chiari di così si muore, come dice un detto italiano: e l'Indonesia, come altri stati, fa parte delle nuove strategie imperiali degli Stati Uniti. Ci si potrebbe chiedere il perché dal momento che l'Indonesia non produce petrolio, e la risposta più facile sarebbe quella di dire che è un covo di fondamentalisti islamici pronti a colpire il cuore dell'Impero. A questo punto si potrebbe domandare, in maniera non retorica, se i fondamentalisti di ogni sorta siano mai stati un problema per gli Stati Uniti o semmai soltanto dei fedeli alleati da usare e poi da scaricare a seconda delle situazioni: Bin Laden non è stato che punta di diamante di questa strategia. Allora bisognerebbe farsi altre domande, guardare le cartine geografiche, studiare i movimenti delle merci, i passaggi delle navi e si scoprirebbe in maniera del tutto ovvia, per chi volesse allargare lo sguardo in maniera non banale, che il secondo problema fondamentale di coloro che necessitano materie prime in modo così stringente è quello di controllare i passaggi, ovvero le linee di transito delle materie stesse. Il primo problema naturalmente è quello di controllare i regimi ai quali si chiedono le materie prime. E l'Indonesia, come la Somalia, come lo Yemen per citare soltanto alcuni stati di importanza vitale hanno le coste che formano quello che gli americani chiamano bonariamente "colli di bottiglia": il loro controllo è di importanza strategica parimenti a quello della produzione, perché significa avere in mano il controllo dei prezzi del petrolio e del gas-metano. Ed è là che scoppiano bombe contro i civili - non che da altre parti non scoppino -, ma le bombe del terrore sono "più importanti" e esplodono puntualmente, su richiesta, aumentano gli share televisivi e, di rimando, sostengono attraverso la paura il partito della guerra. Anche via terra la partita è completamente aperta: Kurdistan, Iran, Kazakistan, Nord Corea non sono che nomi di possibili nuovi bersagli bellici, a cui, ma non da ora si affaccia moribondo l'Iraq del fascista Saddam.

Secondariamente, interesse degli Stati Uniti è quello di controllare in che direzione non debbano dirigersi i flussi di gas-metano e del petrolio. E due sarebbero gli stati non graditi: la Russia e la Cina. La prima sta lavorando, paradossalmente contro le sue stesse compagnie nazionali (Lukoil, Yukos e Gazprom) a cui interessa il passaggio dei corridoi petroliferia href="#fn3">[3] sul proprio suolo, ad aumentare l'appetibilità sul mercato occidentale del prodotto petrolifero russo, da cui il maggiore pompaggio e la diminuzione secca dei prezzi in concorrenza con l'OPEC. La seconda, ovvero la Cina ha interrotto almeno momentaneamente il progetto del gasdotto lungo oltre 4000 km che transiterebbe attraverso lo stato dello Xinjiang per poi sboccare a Shangai, che avrebbe non solo il compito di rifornirla di materie prime, ma anche quello di riavvicinare strategicamente Cina, Giappone e Corea.[4] Ricordo inoltre che lo Xinjiang è attualmente attraversato da una durissima opposizione separatista di matrice islamica che vorrebbe staccare questo stato dalla Cina e non sarebbe del tutto improbabile che gli Stati Uniti stessero giocando anche su questo fronte, in funzione filoislamica ed anti-cinese: "Dopo l'11 settembre 2001, l'amministrazione Bush e il Congresso sono impegnati a incrementare in misura eccezionale il budget militare. Nel 2001 esso ammontava a 307 miliardi di dollari, nel 2002 è salito a 339 miliardi e nel suo discorso sullo stato dell'Unione del febbraio 2002 Bush ha proposto di portarlo nel 2003 a 379 miliardi, pari (in dollari costanti) a quello del 1967, momento di massimo coinvolgimento nella guerra del Vietnam. Bush ha anche proposto di raddoppiare le spese per la "sicurezza nazionale" portandole a 37,7 miliardi di dollari nel 2003. Si tratta quindi di un aumento delle spese militari del 26% tra il 2001 e il 2003 con l'obiettivo di arrivare a 451 miliardi di dollari nel 2007; tra il 2002 e il 2007 dovrebbe essere investita a scopi militari la somma gigantesca di 2.144 miliardi di dollari. L'aumento deciso dopo l'11 settembre era in realtà già programmato: durante la campagna per le presidenziali del 2000 gli "esperti" del sistema militare-industriale valutavano in 50-100 miliardi di dollari l'importo supplementare da spendere negli anni successivi: e così è stato. Infine va ricordato che la tendenza ad aumentare il bilancio militare è iniziata nel 1999 sotto l'amministrazione Clinton che nel 1998, alcuni mesi prima dell'intervento della Nato contro la Serbia, annunciava un aumento di 110 miliardi di dollari delle spese di armamenti tra il 1999 e il 2003. Pur senza sottovalutare le differenze tra i due grandi partiti statunitensi, non bisogna neppure credere che vi siano così grandi diversità fra i loro programmi."[5]

Proviamo allora a puntualizzare alcuni concetti che mi paiono fondamentali:

Lo scontro aperto è tra diversi imperialismi, di cui quello più forte sul piano militare, a cui nessuno è in grado di opporsi, almeno al momento, è quello statunitense.

Questo significa che i contendenti sono costituiti fondamentalmente da tre assi: USA - paesi del Commowealth e Sud America, Europa (asse franco-tedesco) - Russia e Cina-Giappone-Sud Est Asiatico. Gli stati sotto minaccia di bombardamenti, già bombardati o in via di distruzione non sono altro che tappe intermedie e periferiche di questo conflitto per l'egemonia nel nuovo millennio.

L'Europa e la Cina non sono strutture di governo a valenza positiva all'interno di questa contesa, come vorrebbe farci credere una sinistra buonista ed europeista, ma sono parte integrante del dispiegamento bellico attuale e delle dinamiche imperialistiche.

Gli stati, al contrario di quanto sostenuto da Negri e soci, non solo non sono scomparsi ma si rafforzano nelle forme di controllo e nelle funzioni repressive interne ed esterne: migranti, lavoratori..., militarizzazione delle frontiere e delle coste, missioni "umanitarie" e per finire le guerre.

Se quanto affermato in precedenza trova una corrispondenza nella realtà dobbiamo aspettarci la continuità dell'intervento bellico sia interno che esterno (limitazioni ulteriori delle libertà, politiche antioperaie ed antisociali per passare attraverso attentati, cecchini, stragi, guerre), sia continuità nelle ragioni propagandistiche a sostegno degli interventi bellici.

Nel nuovo documento strategico[6] degli Stati Uniti, tanto per capirci, si ribadisce che la proprietà privata dei mezzi di produzione equivale ad un diritto umano. Noi, quindi, anarchici e comunisti saremmo contrari ai diritti umani.

Se c'è qualcuno che fa paura, ma sul serio, sono proprio loro.

Pietro Stara

Note

[1]http://

[2]Cfr Philip Golub, La nuova strategia imperiale, Negli USA un governo da guerra fredda, in "Le Monde Diplomatique", luglio 2001

[3]Sembra che al momento sia caduta l'opposizione storica della Russia all'oleodotto (il più caro) Baku (Azerbaijan) - Tiblisi (Georgia) - Ceyhan (Turchia)

[4]Cfr. Vladimiro Giacchè, Fermate il soldato Ryan! La guerra ltre la crisi: il sonno della valorizzazione genera bombe, in "Dalla morte della politica alla politica della morte", Vis-à-Vis, uaderni per l'autonomia di classe, collana i karletti, Bolsena (VT) 2002

[5]Claude Serfati, L'imperialismo Usa dopo l'11 settembre, in "Guerre &Pace" n. 93, ottobre 2002

[6]La strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America, in "Liberazione" quotidiano comunista di giovedì 10 ottobre 2002

 



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