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Da "Umanità Nova" n. 38 del 17 novembre 2002

La memoria divisa
4 novembre: le esternazioni revisioniste di Ciampi

La memoria conta veramente solo se tiene insieme l'impronta del passato e il progetto del futuro.
Italo Calvino

Quella tremenda strage che fu la Prima Guerra Mondiale, sul fronte italiano si concluse con l'armistizio firmato il 4 novembre 1918 e fin dall'anno successivo tale ricorrenza divenne "festa" della Vittoria ed in seguito delle Forze Armate e dell'Unità nazionale, puntualmente commemorata in chiave patriottica dai regimi che si sono succeduti, prima liberale poi fascista ed infine democratico.

Per questo, per decenni gli antimilitaristi vi si sono puntualmente opposti denunciando che in realtà quella era una giornata di "lutto proletario", la cui retorica nascondeva immutate tendenze belliciste.

Quest'anno però le consuete celebrazioni militari sono state occasione per le esternazioni revisioniste del presidente della Repubblica Ciampi secondo il quale la storia non divide più gli Italiani in quanto "stiamo ritrovando in noi le ragioni profonde di una memoria condivisa" e che "sappiamo che sono più forti le cose che ci uniscono".

Non casualmente tali parole hanno incontrato l'apprezzamento del "postfascista" Fini, ossia l'erede politico di quel Giorgio Almirante, ex-sottosegretario della Repubblica di Salò, che nel dopoguerra portò avanti la parola d'ordine della pacificazione nazionale con l'evidente fine di riabilitare la destra fascista e legittimare il MSI.

L'affermazione di Ciampi, sgradevolmente declinata al plurale maiestatis, già apparirebbe quanto meno discutibile ed azzardata se riferita all'immane primo conflitto mondiale, ma è risultata ancor più fuori luogo dato che l'ha voluta ricollegare alla Seconda Guerra Mondiale, citando indistintamente El Alamein, Tambov, Cefalonia, Porta San Paolo e Marzabotto.

Alcuni anni fa, persino un politico certo non di sinistra quale era Scognamiglio, allora Ministro della Difesa, in un'analoga ricorrenza a Padova osservò che, a distanza di quasi di un secolo, sarebbe stato doveroso ricordare oltre ai combattenti della Grande Guerra anche le migliaia di disertori e insubordinati finiti sotto i plotoni d'esecuzione.

Tale discorso, nonostante tutto, era storicamente interessante e politicamente coraggioso, infatti suscitò subito veementi polemiche e rimase lettera morta.

Oggi invece non solo si archivia ogni "altra" interpretazione sul piano storico della Prima Guerra Mondiale che fu a tutti gli effetti una guerra imperialista costata immani perdite umane, e dell'interventismo italiano che portò all'aggressione contro l'Austria, ma vediamo il presidente della Repubblica associarvi eventi della Seconda Guerra Mondiale in modo del tutto discutibile, eludendo peraltro le responsabilità del regime monarchico-fascista in tale tragedia, nonché quelle dirette dei Savoia e di Mussolini.

Così anche gli eventi più diversi per contesto e distanti nel tempo diventano parte della cosiddetta storia patria, in antitesi ad ogni serio tentativo di comprensione storica ma in sintonia coll'opera portata avanti dal governo di centro-destra per annullare la memoria collettiva in un periodo in cui si torna a fascistizzare persino la toponomastica delle nostre città.

Ecco perché quest'anno il 4 novembre Ciampi, invece di parlare delle tragiche battaglie sul Piave o sul Monte Grappa combattute dai nostri nonni durante la guerra '1915-18, ha scelto di fare un salto temporale nella Seconda Guerra Mondiale unendo in un grande abbraccio nazionalpopolare tutti gli italiani "caduti per la patria", compresi i soldati morti ad El Elamein e i civili massacrati dalle truppe tedesche nei paesi intorno a Marzabotto.

Ovviamente nessun accento critico sul regime criminale che mandò intere divisioni dall'Africa alla Russia ad uccidere e crepare, così come si è voluto dimenticare che con i reparti nazisti responsabili degli eccidi a Marzabotto vi erano anche repubblichini della GNR e SS italiane.

Nel discorso presidenziale è mancato soltanto il consueto riferimento parallelo alle foibe "comuniste" contrapposte alla Risiera di S. Sabba, ma le intenzioni appaiono fin troppo scoperte.

Niente, teoricamente, impedirebbe ad una società di voltare pagina e persino di liberarsi del proprio passato, ma quello a cui stiamo assistendo rientra in un'operazione politicamente ben più ambigua, perché certe pagine non possono essere chiuse finché non vi è un'effettiva presa di coscienza collettiva e fin quando non si affermi almeno una inequivocabile verità storica in grado di fare giustizia nei confronti di quanti furono vittime di un sistema di dominio che perseguì ferocemente la discriminazione e l'annientamento di ogni dissenso, diversità e resistenza.

Il recentissimo libro di Mimmo Franzinelli su "Le stragi nascoste" ben documenta quale rapporto hanno avuto con la storia i governi italiani che si sono succeduti dalla fine del fascismo ad oggi: 695 circostanziati fascicoli riguardanti crimini di guerra nazi-fascisti compiuti contro le popolazioni inermi sono stati sepolti per oltre cinquant'anni negli armadi della Procura generale militare "per ragioni di Stato": lo stesso Stato di Ciampi.

emmerre

 



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