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Da "Umanità Nova" n. 38 del 17 novembre 2002

Un popolo in marcia
Da Quito: i cortei, la repressione, la lotta

Vi prego di leggere questo scritto ancora inedito, che viene dai limiti dell'incoscienza. Non so se sto piangendo perchè sono così commosso da quello che ho visto oggi, o perchè i miei occhi sono irritati dalla grande quantità di gas che ho respirato, o semplicemente perchè sono esausto. Ma lo voglio descrivere adesso che è ancora fresco dentro di me perchè poi domani potrebbe essere un altro giorno da pazzi.

Questa notte ho visto alcuni dei popoli più oppressi di questa terra alzarsi in piedi e confrontarsi con alcuni tra i più potenti. Questa notte ho visto un gruppo di poveri agricoltori, indigeni, e lavoratori parlare, gridare, e infine cantare la verità al potere. Questa notte penso che, anche se non lo sapremo che tra pochi giorni, ho visto il terreno della politica dell'emisfero dividersi davanti ai miei occhi. Mi sento così ispirato e corrucciato.

All'alba, ero a 20 km da Quito (la capitale dell'Ecuador) insieme a circa 300 indios, con una delle due carovane di protesta che avevano attraversato il paese per diffondere la protesta contro il vertice della Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA- FTAA in inglese) che si doveva svolgere a Quito. Appena saliti sugli autobus per partire verso il nord, chiamai l'altra carovana, che era composta da altri 80 indios. "E questa è la conclusione" pensai, quattro mesi di lavoro, mobilitazione, sforzi, promesse di articoli, di fondi, di arrivare con migliaia di attivisti dal Nord America per contrastare il vertice ministeriale dell'ALCA-FTAA. E alla fine ci andavamo al vertice, ma solo con 500 indios che avrebbero fatto un comizio in un parco. Ma appena scesi dagli autobus, per cominciare l'ultimo pezzo della marcia, i 15 km verso Quito, il corteo cominciò a crescere come se la gente spuntasse dal nulla e altri autobus arrivassero dal Sud per scaricare manifestanti, nuovi e freschi.

Il corteo era un fiume di colori, pieno dei ponchos rossi e blu e delle bandiere arcobaleno (simboli degli indios andini e del movimento contadino). La gente riempiva il bordo delle strade per guardarci passare. E un negoziante mi spiegò che gli indios erano come un asino che portava su di sé il resto del paese che con loro si opponeva all'ALCA-FTAA perché avrebbe devastato l'economia dell'Ecuador, ma che avrebbe lasciato al movimento indio il compito di portare la torcia dell'opposizione. Le anziane indie cantarono senza sosta per ore "No queremos, y no nos da la gana, ser una colonia, norteamericana," (Non vogliamo e non ci guadagniamo nulla ad essere una colonia nordamericana). Un gruppo di Boliviani, capeggiati da Evo Morales, il coltivatore di coca quasi diventato presidente della Bolivia, marciava con incollate alle fronte foglie di coca.

Quando finalmente arrivammo a Quito, ad aspettarci non trovammo gli 80 compagni ma un altro corteo tra le 2000 e le 6000 persone. Quando i due gruppi cominciarono ad avvicinarsi, sui volti stanchi cominciò ad affiorare il sorriso e molti cominciarono a correre gli uni verso gli altri. A questo punto, dopo quattro mesi di frenetico impegno organizzativo, la mobilitazione era una realtà: qualsiasi cosa succedesse avevamo già vinto, perché migliaia ci contadini e di indios erano venuti a Quito per respingere senza incertezze il libero commercio di marca USA. E semplicemente ho cominciato a piangere.

Non ci fermammo ma continuammo verso l'hotel Marriott, dove erano riuniti i 34 ministri del commercio dei paesi delle Americhe per negoziare un trattato che avrebbe consentito di espellere i piccoli agricoltori e lasciato alle grandi corporation le mani libere per evadere le leggi a favore dell'ambiente, di tutela dei consumatori e di difesa dei diritti dei lavoratori, che avrebbe forzato verso la privatizzazione delle risorse idriche, della sanità, dell'educazione della cultura, e della biodiversità. In poche ma drammatiche parole un trattato di merda.

Da quel momento si unirono a noi grossi gruppi di studenti, contadini, lavoratori, attivisti sindacali e internazionalisti, che già da ore si stavano scontrando con la polizia che voleva ributtarci tutti a chilometri dal vertice.

Il corteo aveva alla sua testa dei cordoni di leader ("dirigentes") contadini e indios, che camminavano a braccia unite gli uni agli altri, preceduti da uno Sciamano, che compiva riti per assicurare il successo dei nostri sforzi. Presto fummo fermati da centinaia di poliziotti in assetto antisommossa. I "dirigentes" chiesero la possibilità che una delegazione di esponenti dei gruppi della società civile potesse portare al vertice una lettera gigante che conteneva le domande e le proposte delle migliaia di cittadini che ci avevano sostenuto durante il percorso. La proposta fu decisamente respinta.

Allora i dirigentes decisero di puntare ad ovest verso il vulcano Pichincha. Arrivati all'Avenida Colon, una delle strade più larghe di Quito, vedemmo migliaia di persone davanti a noi, almeno 15000 persone, che la occupavano; c'erano pupazzi, anarchici vestiti di nero, un numero sorprendente di internazionalisti, e tanti tanti contadini: anziani, bambini, giovani che non avevano nulla da spartire con gli abiti tradizionali, madri e giovani figli che protestavano insieme. E tutti erano esaltati.

Appena la testa del corteo si avvicinò all'Avenida Amazonas, la polizia iniziò un intenso e senza fine sbarramento di gas lacrimogeni. Spararono sulla folla, sopra la folla, in modo che ogni via di fuga si concludesse comunque in una nuvola di gas. Camminai finché riuscii a vedere e respirare poi cominciai a correre. Finché qualcuno mi prese per mano e mi condusse via. Il presidente del Sindacato Nazionale dei Lavoratori della Giustizia colpito da tre candelotti fu ricoverato in ospedale. Alcuni bambini svennero arrivando ai limiti dell'asfissia, una donna cadde sul suo bambino che schiacciato finì all'ospedale. Tutto per ricordare come il libero commercio passi solo attraverso una brutale repressione, unico tratto comune dei vari vertici, che sembrerebbe inutile parlarne.

Il corteo si ritirò verso sud per riorganizzare le fila e alle 18 ci fu un nuovo tentativo di consegnare la lettera gigante al Suiss hotel, dove i ministri stavano incontrando delegazioni di grandi industrie al 7deg. Forum Americano degli Affari. Tentando una strategia di acquisire legittimità e di calmare le proteste, il governo aveva già offerto di ricevere una coppia di delegati da presentare ai ministri. Proposta respinta dai leader del movimento indio e contadino. Ma quella sera 2000 persone si diressero verso le barricate della polizia per ottenere almeno una delegazione più ampia.

Il governo per riuscire ad evitare il tipo di scontro già visto, acconsentì l'ingresso ad una delegazione di attivisti di tutto l'emisfero, composta da 40 persone.

Corsi all'albergo, e grazie alle credenziali della stampa, riuscii ad entrare facilmente, e seguendo le grida arrivai alla sala dell'incontro. Qui una trentina di ministri erano seduti scomodamente mentre 40 contadini gli cantavano che non volevano diventare una colonia americana. Peter Rossett di Food First (Prima il Cibo), si alzò con il braccio avvolto in una benda color arcobaleno per coprire una ferita dovuta agli scontri. Gridò a Bob Zoellick, ministro del commercio Usa, che doveva vergognarsi di favorire un trattato che avrebbe impoverito gli abitanti dell'America latina per non parlare di molti cittadini americani. Il ministro taceva, mentre si guardava fisso le scarpe. Una scena sicuramente non comune in una trattativa commerciale tra stati.

Immediatamente cominciò la presentazione della società civile. Una fila di persone aperte a ventaglio di fronte ai ministri e alle telecamere, con cartelli che dicevano "Si a la vida, No al ALCA" (Si alla vita No all'ALCA). Dietro il podio un rappresentante indio in piedi alzava un sole inca con il Nord America e il Sud America e le parole Si Una Integracion Solidaria Con Respeco a la Soberania de los Naciones (Si ad una integrazione solidale rispettosa della sovranità nazionale).

Il primi oratori erano rappresentanti di un incontro tra parlamentari dell'emisfero, condannavano il processo ALCA-FTAA, e invitavano ad una integrazione alternativa, che rispettasse bisogni e situazioni particolari delle popolazioni di ogni paese.

Dopo parlarono i rappresentanti di alcune associazioni non governative di un forum pro-liberal le cui proposte tiepide furono generalmente soffocate dagli slogan, fino alla richiesta di aprire il processo ALCA-FTAA ad osservatori della società civile sommersa dal canto Plebiscito! Plebiscito!

Finalmente parlò la rappresentanza del movimento di protesta, Leonidas Iza presidente della federazione india dell'Ecuador (CONAIE), ribadì la totale contrarietà del movimento dell'ALCA-FTAA e del neoliberismo in genere. "Siamo disperati" disse ai ministri "Voi non potete assolutamente capire, siete nati in culle d'oro e non avete mai sofferto" (a questo punto i ministri sembravano ancora più scomodi) "Ma noi non abbiamo cibo per sfamare i nostri figli. I nostri mercati sono inondati da importazioni a basso costo, il latte importato è venduto in Ecuador alla metà di quanto ci costa produrlo, ma le transnazionali (Nestlè) ce lo vende a 1,8 dollari al litro, Non possiamo vivere, e ALCA-FTAA non farà che peggiorare le cose. Quando protestiamo il governo USA ci chiama terroristi. Non stiamo minacciando nulla, ma siamo affamati, stanchi e le cose devono cambiare". Questo messaggio non andrà perso nell'allargarsi delle proteste che stanno iniziando in tutta l'America latina.

Poi una lavoratrice del Nicaragua parlò delle privatizzazioni e dei processi di esclusione sociale e impoverimento che l'ALCA_FTAA porta con sé soprattutto per le donne. "Non pensate di poterci fotografare e spingerci via" disse ai ministri "Noi fermeremo l'ALCA"

Non riuscii a trattenermi e prima in spagnolo poi in inglese gridai a Zoellick che non avrebbe più potuto dichiarare che i latino americani volevano il libero commercio, le proteste avevano dimostrato che non era vero. Subito dopo Rossett dichiarò che i sondaggi dimostravano chiaramente che la maggioranza dei cittadini Usa respingevano il concetto liberista del libero commercio, e che quindi l'amministrazione Bush non aveva né diritto né mandato di continuare a spingere per l'Alca-FTAA. Ci furono applausi e slogan e il moderatore annunciò che l'incontro era finito, i ministri se ne dovevano andare, avremmo dovuto sederci per consentirne l'uscita. Ma i rappresentanti della società civile gridarono no all'unisono e spingendo le porte abbandonarono la sala, lasciando i ministri sul palco.

In quel momento, ho sentito qualcosa rompersi. Realizzai che (nonostante i media avrebbero nascosto tutto l'accaduto, qualsiasi cosa facessimo) ALCA-FTAA in 24 ore è diventata da qualcosa all'attacco in qualcosa che si deve difendere. Come l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO in inglese) prima è diventata un trattato che va venduto ad una popolazione americana che non lo vuole comprare. O così almeno spero, spero con tutto il cuore. Così almeno si sente qui, ma chissà se è lo stesso altrove.

Se ho ragione, la resistenza dell'emisfero al libero commercio e all'ALCA-FTAA ha fatto un grosso passo avanti, anche se questo è solo un giorno in una lunga guerra, in cui molte battaglie andranno combattute. La dimostrazione di forza di stanotte potrebbe rafforzare il desiderio di resistere delle nazioni povere nei successivi negoziati, questo infastidirebbe gli USA e renderebbe più difficili gli accordi. In ogni caso è stato un bellissimo giorno per i movimenti sociali di alcune delle più povere nazioni del globo. E un giorno di merda per i ragazzi del ministero del commercio USA.

Uscimmo dal Suisshotel, fino alle barricate della polizia, salutati da centinaia di manifestanti, che avevano ballato al suono delle danza tradizionali Quechua mentre noi stavamo all'interno. E la festa cominciò e prosegue tutt'ora 5 ore dopo la fine dell'incontro. Ho appena salutato una compagna di una delle provincie rurali della Sierra, che ho incontrato mentre facevo conferenze sull'ALCA-FTAA alcuni mesi fa. Le ho chiesto cosa pensasse di quella giornata e mi ha risposto "Sono felice. Veramente felice. È la prima volta che faccio queste cose, e penso che oggi abbiamo ottenuto qualcosa di importante, qualcosa che migliorerà le nostre vite. E ora posso tornare dai miei bambini."

Sono così orgoglioso, e divertito dall'incredibile lavoro che la gente ha fatto qui negli ultimi mesi, così commosso dal loro impegno in questa lotta, così coinvolto dalla generosità, pazienza, tolleranza e fiducia che mi hanno mostrato. Sono fiero di aver fatto parte di questo movimento emisferico che sta aggregandosi così velocemente, e che punta ad un nuovo ordine politico ed economico, basato sulla reciprocità e sulla giustizia sociale, sulla vera democrazia e sul rispetto per la diversità naturale e umana. E sono felice di poter andare a dormire.

Solidarietà.

Justin Rubin

attivista USA che ha collaborato con i gruppi contadini che si stavano mobilitando contro l'ALCA-FTAA a Quito in Ecuador Traduzione di DDT

 



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