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Da "Umanità Nova" n. 39 del 24 novembre 2002
Fiat in Sicilia
Termini. Ultima stazione
Ad oltre un mese dall'inizio dei sommovimenti operai alla Fiat, su e giù
per l'italico stivale, ancora nulla è stato approntato per la soluzione
del problema occupazionale, l'unico che riguardi i diretti interessati. Il
piano industriale è notoriamente fasullo in quanto da una decina d'anni
si sa già dell'imminente scomparsa della Fiat, che verrà sancita
l'indomani dei funerali in magna pompa dell'Avvocato. Del resto, o venduta o
dissolta, il futuro dei suoi operai è già segnato, in quanto non
si capisce perché ciò che è avvenuto nel resto del mondo,
con i processi di delocalizzazione e di relativa scomparsa di manodopera, che
rispunta altrove peggio pagata, peggio tutelata e peggio flessibilizzata di
quanto non lo sia in occidente, non debba capitare anche in Italia: la logica
divoratrice della globalizzazione ha fatto già una illustre vittima in
occidente, e precisamente l'Argentina, e risalendo nella piramide del
sacrificio duraturo a cui i ricchi-e-potenti invitano i poveri, potremmo
trovare l'Italia.
Le ipotesi di salvataggio occupazionale messe in campo dagli esperti del
governo gareggiano con quelle messe in campo dagli esperti dei sindacati: zero
assoluto, come se la fantasia al potere avesse azzerato, appunto, decenni di
ristrutturazioni pagate dal fisco, decenni di sovvenzioni ai padroni, cig
inclusa, e la ricetta unica avesse ormai ottenebrato anche i difensori per
antonomasia degli operai. Il governo, centrale e decentrato, al pari dei
sindacati, arranca dietro a balzane idee (Toyota, nazionalizzazione) senza
alcun riguardo alla fine di un modello di sviluppo nazionale che ha
caratterizzato il XX secolo: auto e gomma, autostrade e inquinamento,
Agnelli-Pirelli insomma.
Addirittura la Sicilia ha trasformato la propria economia secolare - il granaio
di Roma caput mundi - eliminando con la protervia della mafia dei latifondi e
della mancata riforma agraria che il Pci negò ai contadini che
occupavano le terre, per inseguire il mito del proletariato industriale, ossia
la chimica di Mattei e Moratti e la Fiat degli Agnelli (la mafia è
rimasta tetragona da parassita di qualsiasi modello di desviluppo, per dirlo
meglio).
Questo problema ritorna drammaticamente oggi che tremila operai e duemila
occupati dell'indotto vedono crollare le speranze di un lavoro, senza che
nessuno muova un dito per inventare un sussidio, un assegno, un reddito
garantito, una condizione occupazionale alternativa. Non è facile,
sempre meglio puntare a dividere e creare sacche di precariato a rate da
controllare elettoralmente, come è stato fatto, da destra e da sinistra,
per gli lsu e simili.
Forse è tardi per una riflessione sull'economia di un paese allo sfascio
- intendendo per paese l'occidente che delocalizza lavoro altrove ma si ritrova
sempre con manodopera in cerca di reddito - costretto a redistribuire ricchezza
verso le proprie clientele e verso l'alto: peccato che poi gli operai blocchino
i trasporti, isolino l'isola e annuncino ulteriori forme di lotta senza
eleganti preavvertimenti di sorta.
Calano a Termini Imerese Moretti e i girotondisti, politica spettacolo per non
scomparire dalla scena, come se i riflettori sempre accesi siano garanzia di
una soluzione al modello di sviluppo da inventare e praticare in corso d'opera
senza mettere mano al portafogli dei ricchi. Sarebbero dovuti calare pure i
Disobbedienti, ma le note vicende repressive forse rinvieranno il sostegno di
solidarietà promesso, che per adesso è ancora esteriore, senza
quella saldatura possibile e auspicabile tra operai e fautori di una
globalizzazione differente. L'apporto che una cultura non operaia potrà
fornire ai lavoratori Fiat ed ai sindacati industriali (ma è anche la
cultura rifondarola dei comunisti in genere) offrirà una gamma di
ipotesi che vanno in direzione di una lotta sociale tesa, da una parte, al
conflitto tutto politico sulla redistribuzione delle ricchezze, e dall'altra
verso la liberazione di spazi di vita nei quali creare zone autonome di reddito
sottratto ai ricatti ed alle compatibilità del sistema vigente.
Certo, più facile da dire che da fare, ma se non se ne parla nemmeno,
tutto diventerà, prima o poi, questione di ordine pubblico, con la
gente, per ora solidale a sopportare disagi, che con un venticello diverso
potrebbe esigere una lotta morbida e anestetizzata in partenza, indirizzando al
limite una tolleranza anticamera del qualunquismo sociale del genere: mors tua,
vita mea, dati i tempi grami.
Se mettiamo che la polveriera Fiat si somma alla guerra duratura e alla prova
di una repressione globale dei movimenti, a costo di inaugurare una ennesima
stagione di fascismo dal volto umanitario, ci accorgiamo come le manovre per
evitare trasversalismi e saldature siano già sul tavolino (inchieste di
Cosenza e di Genova) mentre la politica statale torna prepotentemente in campo
proprio quando alcuni ne avevano prematuramente cantato un inopportuno de
profundis, salvo ora a ricredersi sugli apparati di repressione non certo
deviati - e sarebbe interessante conoscere il parere dei girotondini sui
magistrati e sulla magistratura a servizio del codice Rocco e dei reati
associativi così tanto lodati per affossare quel minimo di garantismo
penale esistente (cosa ben diversa dalle norme varate a difesa dei privilegi di
una élite), così tanto riesumati per contrastare Cosa Nostra e di
recente proposti su scala europea per mettere fuori legge Harri Batasuna e le
frange del nazionalismo destrorso nei paesi Baschi.
Fino ad oggi le famiglie operaie della Fiat siciliana hanno messo in atto una
lotta continua a più livelli con il sostegno pressoché unanime
delle istituzioni di vario ordine e grado, ma domani quando si accorgeranno che
tutto ciò non apporterà risultati tangibili? Saranno capaci di
spostare il piano da vertenza economica a lotta politica di delegittimazione
del potere? E come reagirà quel potere oggi tanto condiscendente verso
le famiglie? Interrogativi che si potranno porre solo i protagonisti di un
conflitto su un modello sociale in via di dissoluzione, che in ultima istanza
non riguarda solo gli operai Fiat ma già riguarda ciascuno di noi.
Salvo Vaccaro
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