Da "Umanità Nova" n. 40 del 1 dicembre 2002
Pensieri pericolosi
Sull'ordinanza dei magistrati di Cosenza
Una pessima sceneggiatura
Una ordinanza come quella dei magistrati di Cosenza, simile alla sceneggiatura
di una pessima farsa, porterebbe inevitabilmente a prediligere una spiegazione
complottista, sia perché negli anni ci siamo abituati alla costruzione
di "teoremi" polizieschi e giudiziari che poi crollano miseramente, sia
perché dalla lettura del documento di 359 pagine quello che viene fuori
è davvero poco.
Ma, in casi del genere, il ragionamento del "a chi giova" non funziona in
quanto gli arresti ed il successivo cancan mediatico hanno danneggiato in primo
luogo proprio chi ha prodotto e sostenuto quel cumulo di improbabili accuse.
Il documento è, comunque, una lettura interessante perché
fornisce, oltre che a diversi momenti di nausea, anche qualche spunto di
riflessione. Proviamo allora a riassumere, con tutti i rischi del caso, le
accuse mosse agli indagati, partendo in primo luogo dalla genesi
dell'inchiesta.
I numeri tra parentesi quadre si riferiscono alla pagina del documento
così come pubblicato su Internet.
Tutto sarebbe iniziato con un volantino di rivendicazione di un attentato
recapitato ad una RSU di Rende, che viene seguito da una impressionante serie
di intercettazioni telefoniche, informatiche e ambientali a carico di non si sa
bene quante persone. In base a questo lavoro di spionaggio, viene formulata una
accusa che si può riassumere citando direttamente dal testo: "il 19
maggio 2001" veniva costituita a Cosenza una associazione denominata "Rete
meridionale del Sud Ribelle (...) che unisce numerosi soggetti e gruppi
antagonisti del meridione." [2]. Questa associazione avrebbe avuto lo scopo di
commettere delitti contro la personalità dello Stato e precisamente i
suoi scopi sarebbero stati quelli di: "1)turbare l'esercizio delle funzioni del
governo; 2) effettuare propaganda sovversiva; 3) sovvertire violentemente
l'ordinamento economico costituito nello stato" [2].
Questo sia "organizzando e provocando scontri di numerosi manifestanti contro
le forze dell'ordine" [2], sia creando un sito web [3], sia producendo e
diffondendo un "manuale di autodifesa" [3].
Il tutto si sarebbe concretizzato nel periodo che va dal Global Forum OCSE di
Napoli (marzo 2001) al vertice del G8 a Genova (luglio 2001).
Siamo tutti controllati
Che il controllo, anche grazie alla enorme diffusione dei computer e dei
telefoni cellulari, fosse giunto a livelli quasi orwelliani, lo sapevamo
già e quindi non ci meraviglia che la totalità delle "prove"
portate a documentare la "cospirazione" derivi da microfoni nascosti
dappertutto.
Le pagine e pagine di trascrizioni di telefonate, messaggi di posta
elettronica, di conversazioni in automobile, di chiacchiere in sede non sono
che una minima parte di tutte quelle registrate e, cosa intollerabile, vengono
valutate - a seconda della convenienza - a volte in modo letterale ed altre in
modo metaforico, trasformando i magistrati in esperti di comunicazione
piuttosto che di giurisprudenza.
Uno dei (tanti) esempi: in una conversazione telefonica, a proposito degli
scontri di Napoli, uno degli arrestati affermerebbe a proposito della causa
degli incidenti: "Ma che hanno attaccato, ma dove hanno attaccato, ma[nome] ma
se io ero li ero proprio li" [39].
Per gli "esperti" giudiziari questa affermazione diventa: "la tendenza del
[nome] a sostenere dinanzi al suo contraddittore una versione delle violenze di
Napoli utile alla propria tesi (...) che solo con la violenza sia possibile
raggiungere gli obiettivi del movimento" [42].
Davanti ad una logica (si fa per dire) dove le affermazioni vengono
interpretate a seconda che collimino o meno con una tesi precostituita
c'è ben poco da ribattere.
Uno dei capi di accusa che pendono sugli arrestati è quello di aver
partecipato agli scontri di Napoli. A questo proposito vengono proposte pagine
piene di intercettazioni, ore ed ore di filmati [27-33] e chissà quante
fotografie, ma non se ne trova segnalata una, una sola, che mostra qualcuno
degli indagati mentre si comporta in modo violento. La montagna del controllo
totale partorisce un topolino.
Genova
Stesso discorso per Genova. Decine di pagine di intercettazioni telefoniche fra
compagni che chiedono e danno notizie in mezzo ad una confusione che chi ha
vissuto quelle giornate ben ricorda: informazioni su chi è stato
arrestato, su cosa sta facendo la polizia e su quello che si vede o che si
sente.
Gli inquirenti accusano una degli indagati di aver partecipato alla creazione
di "Radio Gap" a altri due di aver costituito una specie di quartier generale
che servisse da centro di comunicazione per coordinare gli scontri di piazza.
Questo anche se le intercettazioni sono piene di tutto meno che di informazioni
utili alla guerriglia urbana.
Le telefonate sono piene di prevedibili "che fine ha fatto tizio?", "hanno
arrestato Caio", "hai il numero di Sempronio?", "papà non ti
preoccupare", "la polizia sta caricando", "i Black Bloc stanno sfasciando..." e
via dicendo.
Un esempio: "Il papà di [nome] preoccupato per la sorte dei figli chiama
la figlia per sapere la situazione. [nome] gli risponde che [nome] si trova in
radio, perché aveva un po' di influenza, mentre [nome] si trova in un
altro spezzone di corteo dove non ci sono incidenti. Quest'ultima gli racconta
degli incidenti e le scorribande del Black Block." [155]
Ancora, come nel caso di Napoli, ore di intercettazioni che possono solo
servire a dimostrare (forse) che gli indagati erano a Genova, insieme a
centinaia di migliaia di altre persone, ma non un riscontro - che sia meno che
risibile - di altro, come del resto sono costretti ad ammettere anche gli
inquirenti: "A nessuno dei predetti viene contestato il concorso materiale in
episodi di saccheggio e devastazione" [302].
La comunicazione sovversiva
La (deliberata?) sciatteria degli investigatori e dei magistrati, presente in
tutto il documento, si descrive bene con un altro esempio.
Nelle tre pagine con l'elenco delle "armi improprie sequestrate" [293-5]
aGenova, compaiono, accanto ad oggetti prevedibili (fionde, bastoni, ecc...)
anche "nr.3 confezioni marca "Giotto" di colori da muro" e "nr.1 macchina
fotografica modello "Fuji Film"" [294]. Per gli inquirenti, è la
comunicazione ad essere un'arma impropria. Assunto confermato anche dalle
diverse pagine dedicate a quello che riguarda la creazione e gestione di un
sito web e l'uso della posta elettronica.
La propaganda politica fatta attraverso la comunicazione elettronica diventa
infatti "strumento di lotta fondamentale" [307], e molto pericoloso in quanto
"grazie alla rete può essere portata agevolmente a conoscenza di un
numero indeterminato di persone suscitandone i consensi e l'adesione" [308]. Da
questo deriva l'accusa per gli indagati che si sarebbero occupati della
gestione del sito web e della lista di discussione usati per il coordinamento
di questa improbabile banda di eversori.
I comunicati, anche se firmati collettivamente o frutto di assemblee, diventano
"proprietà" di chi usa quell'indirizzo di posta elettronica: "del
delitto p. e p. dall'art. 272 c.p. per aver fatto propaganda per il
sovvertimento dell'ordinamento economico costituito nello stato (...) inviando
al sito (...) un comunicato tramite l'account (...) intestato a [nome], dal
titolo (...) a firma delle 'Realtà Antagoniste della Calabria'" [6].
Evidentemente l'accusa ritiene la stessa espressione del pensiero dissidente un
reato e la vuole perseguire anche in assenza di qualsiasi prova di concreta
rilevanza penale. Progetto reso più facile dal codice penale fascista
attualmente in vigore.
Teoremi e complotti
A questo punto, anche se si potrebbe proseguire ancora per molto nell'analisi
dell'ordinanza [*], occorre fermarsi per
qualche riflessione.
Come scritto all'inizio la tentazione di leggere l'accaduto in un'ottica di
teoria del complotto è forte ma esistono anche spiegazioni più
semplici.
In più di una occasione, gli estensori del documento ricordano che nel
"movimento" convivono, ma in contrasto, due anime [42, 51] quelle buone,
formate dai Social Forum e dalle Tute bianche (o disobbedienti) e quelle
cattive individuate ovviamente negli "anarchici ed anarchici insurrezionalisti"
del "Black Bloc" e nei suoi emuli della "Rete meridionale del Sud Ribelle",
accusati addirittura di voler organizzare un "Blocco rosso".
Tale tesi è stata successivamente ribadita, in una intervista televisiva
dal capo della Procura di Cosenza, che ha chiaramente affermato la
volontà dei magistrati di difendere il movimento dagli infiltrati
violenti.
Come è evidente un teorema del genere ha buone possibilità di
essere supportato da uno schieramento politico molto ampio, lo stesso che ha
garantito politicamente e materialmente che la manifestazione di Firenze si
svolgesse senza problemi nonostante le premesse catastrofiche, mettendo - in
tal modo - un cappello pesantissimo su tutto il movimento.
Questo naturalmente non significa che l'inchiesta sia partita con questo
obiettivo in quanto potrebbe essere stata anche una iniziativa autonoma di un
apparato separato dello Stato volta, per prima cosa, a giustificare la sua
esistenza e magari a far dimenticare i suoi fallimenti rispetto ad episodi
più seri che la rottura di qualche vetrina. Ma sicuramente essa viene e
verrà usata contro quella parte di movimento che non si riconosce nei
progetti di un ceto politico intenzionato ad indirizzare i no-global verso una
deriva istituzionale.
Questa ipotesi sembra avvalorata anche dal fatto che lo stesso magistrato che
aveva firmato gli arresti ha, dopo una settimana, scarcerato solo 3 persone e
ne ha messo altre 4 agli arresti domiciliari, a seguito di una presunta "abiura
della violenza" (vedi "la Repubblica" e "L'Unità" del 22/11/2002),
circostanza fermamente smentita dagli interessati, lasciando ancora in carcere,
alla vigilia della manifestazione di Cosenza, tutte le altre.
Un tentativo che, già messo in crisi dalle numerose manifestazioni che
si susseguono dal giorno degli arresti e che si svolgono all'insegna del
"libere/i tutte/i", può essere battuto solo con la mobilitazione.
Pepsy
[*] Una versione più completa di questo articolo comparirà sul prossimo numero di "rAn"
|