unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 41 dell'8 dicembre 2002

La guerra sta iniziando...

Ci siamo. Sembra proprio che ci siamo. I consueti bombardamenti, ormai di routine, che gli aerei americani e inglesi scaricano quotidianamente sulle no-flying zones dell'Iraq, sembrano aver cambiato di segno per acquistare tutt'altro significato. E anche l'improvviso risalto che ne danno i media, abituati a relegare queste operazioni di morte nei più reconditi recessi delle pagine interne, lasciano pensare che la grande battaglia per la libertà e la sicurezza della civiltà occidente stia per cominciare.

Da pochi giorni, per la prima volta dopo anni, si ricomincia a parlare di vittime civili irachene; ed è dell'altro ieri la notizia che Raf e Usaf hanno colpito basi antiaeree, per rispondere al fuoco delle contraeree del rais. E chissà cos'altro registreranno le cronache dal momento in cui stiamo scrivendo a quando questo giornale sarà stampato. Ma non lasciamoci impressionare. Siamo troppo allenati a non credere alla patacche angloamericane, per prendere sul serio la pericolosità dei cannoncini iracheni, e siamo altrettanto vaccinati rispetto agli intossicanti fumi mediatici, per prestare attenzione alle noiose banalità da salotto vespasiano, su colpe, concorsi di colpe, su chi ha cominciato, su chi non ha cominciato, su chi è buono, su chi è cattivo.

La verità è talmente nuda, che sembra perfino offensivo riproporla all'attenzione dei lettori.

Gli Usa e i loro alleati da tempo stanno preparando la guerra per il controllo del petrolio iracheno e per dare un segnale forte, fortissimo, di supremazia non solo militare, ma anche culturale, al resto del mondo. Le ispezioni dell'Onu sono fumo negli occhi dell'opinione pubblica per far credere che si seguono, diligentemente, le regole del diritto internazionale. Dei risultati di dette ispezioni, coscienziose o da operetta che siano, si farà strame per i maiali. L'invasione dell'Iraq (e cos'altro ancora non è dato sapere) è solo questione di giorni, com'è questione di giorni, stavolta sicuramente, la caduta di Saddam Hussein. E ancora una volta, a farne le spese non saranno quei bastardi che schiacciano i bottoni di comando ovunque essi siano o che costruiscono nuovi capitali speculando su morte e miseria, ma un'infinità di vittime civili che dopo la dittatura di Saddam dovranno ora affrontare i "liberatori" occidentali. Come diceva Freak Antony, una volta toccato il fondo, si comincia a scavare!

Del resto, non è che quella che scoppia oggi sia una guerra nuova. Non è nuova la guerra che si combatte, non ci sono stati armistizi o interruzioni, nessuno ha mai deposto le armi nell'eterno conflitto fra oppressi e oppressori, fra sfruttati e sfruttatori, fra paesi poveri e paesi ricchi. In Afganistan, dopo che la guerra era "finita" da mesi con la liberazione di Kabul, oggi i B52 riprendono a scaricare le loro bombe miliardarie sulle casupole di fango di interi villaggi. E anche in Iraq gli imminenti bombardamenti saranno solo un episodio, un episodio in più che registrerà, come sempre, morte, fame e distruzione per intere popolazioni colpevoli di sedere su un mare di petrolio. E qualche bara di qualche assassino di professione, coperta da qualche bandiera a stelle e strisce, con qualche politicante in doppiopetto e qualche arlecchino impettorito e medagliato che spargeranno su di essa, tentando di nascondere un ghigno di soddisfazione, le loro lacrime di repertorio.

È un episodio, come tanti, drammatico, luttuoso e funereo. Un episodio che rispecchia, nella sua assurda ineluttabilità, l'unica logica che un potere affannato, ma ancora onnipotente, vorrebbe imporre. Quella che pretende di identificare il profitto capitalista con il progresso sociale. Quella che pretende di risolvere le contraddizioni di un sistema economico di rapina con fatiscenti dichiarazioni di diritti e democrazia. Quella che porta "ordine e libertà" sulla punta delle baionette. Quella talmente sicura di sé, e della forza dei propri "valori", che si interroga incredula se qualcuno resiste per non lasciarsi omologare. Quella che accumula ricchezze nelle società dei grandi valori occidentali, impoverendo e depredando tutti i sud del pianeta. Quella che crea masse di disperati inseguiti da fame e carestie, ma poi offre loro sontuose crociere sulle carrette del mare. Quella... che ci fa schifo!

E anche l'Italia farà la sua parte. Questo governo, ma un altro non avrebbe fatto diversamente, manderà i suoi uomini e i suoi mezzi a fianco degli alleati. E burattini in divisa, più o meno gallonati, ma tutti ugualmente esaltati, cercheranno i loro miserabili scampoli di gloria nei deserti arabi. A noi italiani, in sovrappiù, toccheranno dosi massicce dell'insopportabile riso dell'ometto coi rialzi nelle scarpe, quando annuncerà, esaltato come i suoi soldatini, la vittoria del Milan... oops, volevo dire del bene sul comunismo. E anche se non è più il comunismo, non importa.

Noi anarchici, che di antimilitarismo ne capiamo come pochi, abbiamo una straordinaria parola d'ordine: la guerra ha bisogno di noi, noi non abbiamo bisogno della guerra! Oggi, a gridarlo, non siamo più pochi come una volta. Facciamola diventare un'acquisizione collettiva.

Massimo Ortalli

 



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org