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Da "Umanità Nova" n. 42 del 15 dicembre 2002
L'ultima nuvola
Marghera: ad un pelo dalla catastrofe
Marghera, caserma dei vigili del fuoco. Sono le ore 19,40 di giovedì 28
novembre; il turno C parte a sirene spiegate per spegnere un incendio al
serbatoio di peci clorurate della Dow Chemical - Poliuretani Italia,
all'interno dell'area del Petrolchimico. I pompieri arrivano sul posto
esattamente 15 minuti più tardi, proprio mentre una volante della
Polizia di Mestre arriva ai cancelli dello stabilimento. Agli ignari agenti
viene subito imposto di allontanarsi in tutta fretta, di non toccare niente con
le mani, di non grattarsi. "Andate via" urla uno degli ingegneri "È
tutto tossico".
Pochi metri più in là, immobile nel silenzio ovattato della
città di metallo, l'impianto TD145 per la produzione di
Toluendiisocianato. Dal TDI si ottengono schiume isolanti per frigoriferi e
materiali utilizzati per riempire divani e poltrone delle auto. Si tratta un
liquido incolore, vagamente visibile in forte concentrazioni perché
tendente al giallo, dall'odore pungente. In caso di incendio libera fumi che
definire tossici è quasi un eufemismo. Le conseguenze negli esseri umani
si manifestano immediatamente all'inalazione anche di quantità minime:
dolori addominali, tosse, nausea, respiro affannoso, vomito, mal di gola,
offuscamento della vista, diarrea; a contatto con la pelle, in aggiunta,
provoca arrossamento, sensazione di bruciore, dolore diffuso sulla cute.
Volendo fare dell'ironia, si potrebbe dire che il TDI ha alcuni piccoli effetti
collaterali.
A un certo punto prende fuoco anche un tubo dell'impianto nel quale scorreva
questo tremendo prodotto della modernità industriale. Nel giro di cinque
minuti il tubo esplode con un fragore assordante. Le fiamme, raccontano i
vigili del fuoco, sono alte dai sessanta ai settanta metri e vengono viste in
un raggio di parecchi chilometri intorno. Quattro operai che transitano vicino
sono investiti dall'onda d'urto e restano feriti. Vengono ricoverati d'urgenza
al più vicino pronto soccorso, perché per quei poveri disgraziati
si teme addirittura un cedimento dei timpani. L'esplosione, in realtà,
ha distrutto la tubazione, ha spento l'incendio e salvato la vita di qualche
decina di migliaia di persone, compresa, con ogni probabilità, anche
quella di chi vi racconta in questo momento, tra l'angosciato e il rassegnato,
come sono andate le cose.
Accanto al TDI, a non più di una ventina di metri, trovano collocazione
depositi ben più temibili, quelli del fosgene, già nota arma
chimica utilizzata dall'esercito americano in Vietnam, tanto per darvi l'idea
di cosa sto parlando. Il fosgene, se liberato, provoca la morte istantanea; non
esiste esperto al mondo in grado di sostenere il contrario. E infatti gli
esperti, dopo l'incidente dei giorni scorsi, hanno parlato poco, perché
non c'è niente da dire in questo caso. Tutt'al più si può
appena constatare e convenire.
Convenire sul fatto che siamo stati ad un passo dalla tragedia. Le immagini che
la televisione, ai primi notiziari speciali, hanno rovesciato in casa nostra
sembravano uscite da una produzione hollywoodiana. Automobili con lampeggianti
furiosi, uomini in tuta bianca e maschere antigas della speciale unità
per i disastri chimici, ambulanze.
Il sindaco di Venezia, accorso quasi subito sul luogo dell'incidente, decide di
lasciar suonare le sirene per l'allarme chimico predisposte nella zona di
Marghera (in realtà una di esse risulta addirittura non funzionante); ai
cittadini del comune è stato chiesto di rimanere chiusi in casa,
barricandosi letteralmente dentro dopo aver sigillato porte e finestre e
lasciando libere le linee di comunicazione telefonica. Alle 21 e 32 minuti
circa il cessato allarme, giacché il pericolo appare scongiurato.
E questo sia detto per la cronaca dei fatti. Restano altri dettagli sui quali
vale la pena di soffermarsi brevemente. L'allarme: arriva ufficialmente 52
minuti dopo l'esplosione per la città di Mestre, in sostanza quando
l'emergenza era, dal punto di vista tecnico, ampiamente superata; tenuto conto
che la nube sprigionata (secondo elemento della nostra disamina, sul quale
tornerò) si sarebbe mossa in presenza di vento alla velocità di
circa sette chilometri l'ora, nella zona urbana di Mestre e territorio
limitrofo praticamente tutti avrebbero respirato i gas velenosi sprigionati dai
silos del TDI senza nemmeno sapere da dove arrivavano. L'evento chiave, in
questa ecatombe sfiorata, è rappresentato proprio dall'assenza di vento,
che per altro verso spirava, quella sera, esattamente in direzione del centro
abitato mestrino. La nube: è rimasta sospesa sul Petrolchimico, per una
singolare alchimia del destino, e poi, come di consueto ci raccontano, si
è dispersa in atmosfera. Ne siamo davvero sicuri? Quali concentrazioni
minime possiede il TDI per non generare visibile disagio ma depositarsi
ugualmente nei nostri polmoni? Ancora: abbiamo respirato diossina, sostanza
cancerogena prodotta dalla combustione del TDI? Quanta se n'è depositata
dentro e fuori lo stabilimento di Porto Marghera?
Viene fatto di pensare, ma ne siamo certi se soltanto consultiamo la casistica
relativa agli incidenti non denunciati degli ultimi, diciamo, quattro anni, che
anche giovedì 28 novembre l'allarme sia scattato esclusivamente
perché l'incendio era sin troppo visibile e l'esplosione successiva
innegabile.
Come ho già avuto modo di sottolineare su queste pagine, Porto Marghera
è una caldaia in ebollizione, seminata di impianti vetusti e senza
alcuna sicurezza. Gli ultimi brandelli del colosso chimico che ha scritto
intere pagine di storia industriale nazionale sono in frizione tra loro e
sempre più spesso, ormai, minacciano l'incolumità dei siti urbani
che fanno loro da triste cornice.
Di recente è stato distribuito, prima di quest'ultimo, gravissimo
incidente, in poche migliaia di copie (non è mai arrivato in Venezia
centro storico per esempio), un opuscolo curato dal Comune di Venezia,
Direzione centrale ambiente e sicurezza del territorio, Servizio Protezione
civile e rischi industriali, in collaborazione con l'ente provinciale e la
municipalità di Marghera, dal titolo emblematico: Il rischio industriale
a Porto Marghera, Come comportarsi in caso di incidente. È tutto
talmente chiaro, anche per i cosiddetti amministratori, che nella cartina
riprodotta a pagina 3 che ripropone l'area industriale di Marghera, si
mostrano: "...le conseguenze ipotizzate per alcuni incidenti. Il cerchio
rosso delimita la prima zona di rischio". La fuoriuscita di TDI (cerchio rosso
in pianta) è annoverata tra i possibili incidenti. Ma c'è di
più. "Si ipotizza che possano verificarsi tre tipi di incidenti, la cui
gravità viene valutata in base a parametri specifici:
Rilascio di sostanze tossiche: il rischio si determina in base alla
quantità di sostanza tossica presente nell'ambiente.
Incendio: il rischio è quantificato misurando il calore (irraggiamento
termico) provocato dall'incendio stesso.
Esplosione: il rischio si quantifica valutando la variazione della pressione
(onda d'urto) conseguente al rilascio di energia."
Mettiamoli nell'ordine esatto: incendio, esplosione, gas tossici. Tombola.
Mario Coglitore
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