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Da "Umanità Nova" n. 42 del 15 dicembre 2002

Rottamati ed impoveriti
La Fiat guadagna dal disastro del lavoro vivo

I punti di vista da cui si può analizzare un fenomeno sono molteplici. Ciò vale anche per la crisi Fiat e in questi giorni si sono sprecate e ancora si sprecheranno le analisi economiche, sociologiche, storiche e chi più ne ha più ne metta. Giornalisti, politici, sindacalisti, sociologi, economisti, opinionisti si sgolano e riempiono pagine di giornali e ore di programmi televisivi per spiegare il perché di ciò che sta succedendo, le radici storiche, economiche, sociali, le prospettive di questa crisi. Vogliamo essere minimalisti e terra terra e proviamo (indegnamente) a ragionare dal punto di vista del singolo lavoratore che si trova a sbattere in questa burrasca che ha investito la sua vita. Ci sembra giusto scegliere questo punto di vista, perché il resto è chiacchiera, e pensiamo che, solo dal basso più basso, di chi questa sera, 6 dicembre 2002, sta aspettando di vedere se il suo nome esce alla roulette della cassa integrazione straordinaria (cigs), si possa abbozzare una riflessione. Proviamo a pensare cosa significa aspettare domani mattina il postino che porterà i telegrammi con cui l'azienda comunica che da lunedì 9 dicembre 2002 saremo in cigs a zero ore, cioè avremo da questo mese lo stipendio dimezzato. La prima cosa da pensare è che lo stipendio dell'operaio metalmeccanico che sta aspettando la lettera non è, di per sé, stratosferico: si viaggia ben sotto i duemilioni di vecchie lire al mese. Si vuol dire che già adesso non c'era da stare allegri e da scialare. Ma da lunedì potrebbe essere peggio, molto peggio. Si aspetta il postino e non si può fare nulla. La vita di un lavoratore dipendente non è nelle sue mani: non è una riflessione scontata, perché non deve essere necessariamente così, non è stato sempre necessariamente così. È scontato che sia così se il lavoro è una merce passiva, oggetto di processi altrui. Non è scontato che sia così se quel grumo di energie che è l'uomo lavoratore si rivolta al destino scelto da altri, prende atto che è dal suo sfruttamento o dalla sua rottamazione che nasce il profitto, e rivendica la decisione sul suo futuro. Davanti alla prospettiva di perdere la metà di quel reddito miserabile che serve a campare è giusto battersi in primo luogo per mantenere la totalità di quel reddito già di per sé da fame. Quindi è sacrosanto spendersi nella lotta contro questa cassa integrazione e pretendere che nessuno esca dalla fabbrica. I lavoratori sanno benissimo cosa fare e lo stanno facendo, con gli scioperi e i blocchi di strade e ferrovie, con la lotta quotidiana per infastidire il manovratore. Ma il singolo lavoratore non vale solo quei due milioni scarsi di vecchie lire per cui ha venduto fino a ieri i suoi mesi di vita. È dalla rottamazione dei lavoratori che oggi nasce il profitto delle aziende. Se la Fiat deve diminuire la produzione per recuperare reddittività, perché a pagare deve essere il reddito dell'operaio Fiat? Quale ineguale scambio c'è tra la compressione del reddito del lavoratore e il recupero di redditività dell'impresa? Quanto vale allora la soppressione di un singolo posto di lavoro in termini di redditività aziendale? Quanto profitto nasce dalla distruzione di posti di lavoro? Una traccia la troviamo riflettendo sul fatto che il "piano industriale" Fiat non è niente altro che un elenco di tagli all'occupazione: dalla distruzione di lavoro vivo nasce il recupero di reddito per l'impresa. In più, è in atto da tempo una eliminazione di posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, scambiati almeno in parte con posti di lavoro part-time, precari e con aumento del lavoro straordinario. È in atto da tempo nel mercato del lavoro un gigantesco riciclo di manodopera e un aumento della produttività e redditività per addetto. Quanto vale allora un posto di lavoro tagliato? Il valore della perdita economica per il lavoratore rottamato o l'aumento di reddito per l'azienda? In un'economia negativa (profitti dalla distruzione anziché dalla creazione di posti di lavoro), quanto vale un posto di lavoro? Il plusvalore di questa economia negativa è più o meno di quello tradizionale? A chi aspetta la lettera di messa in cassa integrazione da lunedì 9 dicembre 2002 è stato ripetuto fino alla nausea che la Fiat nel 2002 perderà 2 miliardi di euro. Se sarà il taglio di 5.600 addetti a risollevare le sorti aziendali, vorrà dire che ogni posto di lavoro soppresso renderà oltre 350.000 euro: basta fare la divisione. Oppure ragioniamo sul costo lordo di ogni posto di lavoro per l'azienda. Stiamo larghi e calcoliamo 30.000 euro all'anno. Moltiplichiamo anche per dieci anni: farà sempre 3 milioni di euro contro il buco odierno di 2 miliardi di euro. C'è proporzione? Lasciamo storcere il naso agli economisti per i nostri calcoli paradossali. Ma resta la sostanza. Non c'è proporzione tra il risparmio in costo lordo del lavoro vivo e il buco nei bilanci che richiede i tagli. Certo il risparmio soprattutto verrà dalla contrazione della produzione e dai costi relativi (materie prime, energia, ecc.). Azzardiamo: se i 5.600 che stanno aspettando la lettera di messa in cassa integrazione restassero a casa da lunedì e ricevessero lo stesso lo stipendio per i prossimi dieci anni, che succederebbe ai bilanci Fiat? Se è dalla non-produzione che viene il guadagno in questa fase per l'azienda, i lavoratori contribuirebbero con il loro non-lavoro a produrre il reddito aziendale. E quindi dovrebbero essere pagati come produttori di reddito per la loro inattività. Al punto in cui è arrivata l'economia, è sufficiente lottare per il posto di lavoro o non bisogna ragionare sul fatto che l'impresa guadagna dal disastro del lavoro vivo, rottamato e impoverito?

Simone Bisacca

 



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