unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 43 del 22 dicembre 2002

Anarchici a congresso a Imola
Un incontro per la libertà

Per gli anarchici un congresso non è mai un momento rituale, dove la forma determina la sostanza e in cui un assise di schieramenti precostituiti avvalla decisioni prese in altra sede. E non è nemmeno il momento nel quale convergono, in modo "democraticamente rappresentativo" tutte le espressioni che si riconoscono nell'organizzazione federale. Senza tessere, né deleghe in bianco, con la limitatezza dei propri mezzi finanziari che provengono dall'autofinanziamento e dall'autotassazione (contrariamente alle ricche dotazioni di cui dispongono i partiti  di Stato), i congressi anarchici affermano orgogliosamente la propria visione antiautoritaria, basata su libero accordo e rifiuto di ogni imposizione.

Coscienti che i propri congressi possono essere difficilmente (e solo in particolari condizioni) pienamente rappresentativi - in quanto ad essi partecipano, in pratica, sia chi esprime solo se stesso o un piccolo gruppo di compagni, sia chi è portatore di deliberati di una collettività ampia e numerosa; come pure solo chi ha i mezzi sufficienti per le spese necessarie e non è svantaggiato dalle lontananze geografiche o dagli impegni del lavoro salariato - gli anarchici si sono piuttosto impegnati affinché i congressi servissero: "a mantenere ed aumentare i rapporti personali fra i compagni più attivi, a riassumere e fomentare gli studi programmatici sulle vie e i mezzi d'azione, a far conoscere a tutti le situazioni delle diverse regioni e l'azione che più urge in ciascuna di esse, a formulare le varie opinioni correnti tra gli anarchici e farne una specie di statistica - e le loro decisioni non sono regole obbligatorie, ma suggerimenti, consigli, proposte da sottoporre a tutti gli interessati, e non diventano impegnative ed esecutive se non per quelli che le accettano e finché le accettano". (1)

Se i fondamenti stessi dell'essere e dell'agire anarchico (la piena autonomia e quindi la piena responsabilità dei singoli come del gruppo; l'accordo libero; il dovere morale di rispettare gli impegni presi come pure il programma sottoscritto) mantengono inalterato il loro valore ai fini della costruzione di una società a carattere autogestionario, ne consegue che gli stessi organismi (commissioni, gruppi di lavoro, redazioni, ecc.) nominati dai congressi conservano questa caratteristica pienamente antiautoritaria , rifuggendo funzioni direttive e poteri censori. La libertà di espressione e di azione, all'interno del programma altrettanto liberamente accettato, di ogni singolo componente viene quindi naturalmente esaltata a vantaggio di un agire collettivo che più sarà in grado di far maturare livelli superiori di affinità, più renderà l'organizzazione in grado di aumentare la propria influenza nel sociale, proponendola come laboratorio della pratica sociale anarchica.

Certo, il congresso non può venire inteso semplicemente come una palestra di idee e di utopie velleitarie, poiché l'impegno militante che ci contraddistingue - sui terreni della lotta sociale contro lo sfruttamento e l'oppressione per la giustizia sociale - necessita di un confronto serrato, della conoscenza puntuale dell'orientamento collettivo dell'organizzazione, orientamento che su singoli temi può anche sfociare in pareri discordi, pur all'interno del programma generale. Si può in sostanza dare la situazione nella quale si formi una maggioranza e una, o più, minoranze. E a volte può accadere che il tema in discussione sia così importante da far preferire il raggiungimento di un orientamento da portare all'esterno come espressione dell'organizzazione piuttosto che limitarsi alla statistica a fini interni. Rifiutando il principio maggioritario non bisogna cadere nel nullismo. Partendo dal concetto che la realizzazione del sistema sociale anarchico deve passare necessariamente per il rifiuto dei mezzi coercitivi ed autoritari (la violenza soprattutto quando esula dalle necessità naturali dell'autodifesa) e per l'affermazione dell'eguaglianza, si può facilmente comprendere che dando per scontato l'impossibilità, sempre e comunque, di un accordo generale che soddisfi pienamente i desideri dei vari soggetti coinvolti, tale sistema sarà più facilmente operante nella misura in cui la distanza dialettica tra maggioranze e minoranza/e sarà ridotta ed il loro rapporto basato sulla spontaneità e l'intercambiabilità. In sostanza più il senso di appartenenza, lo spirito di tolleranza, la volontà di accordo, il rigetto di ogni forma di prevaricazione, sia materiale che intellettuale, caratterizzano i membri dell'organizzazione, più l'eventuale formarsi di "schieramenti" sarà frutto dell'ordine naturale delle cose, e quindi non traumatico per l'organizzazione ai fini della salvaguardia delle sue caratteristiche antiautoritarie. Nemici dichiarati del sistema democratico rappresentativo, forma politica odierna della dittatura della borghesia, dobbiamo lavorare in questa direzione per dare maggiore concretezza alle nostre proposte organizzative, evitando scorciatoie apparentemente efficientiste che ci porterebbero su tutt'altre strade.

Anche questo 24° congresso della Federazione Anarchica si presenta come un momento di elaborazione e di orientamento dell'azione collettiva, in una situazione però in cui più forte si presenta la domanda del "che fare". Da parte dei lavoratori schiacciati tra le famigerate "compatibilità" di sistema ed un'opposizione strumentale, di facciata; di chi si vuole opporsi alla guerra, ma è cosciente dei limiti delle azioni fin qui condotte; dei migranti alle prese con l'infamità di un sistema di ricatti e di esclusioni e le carità pelose delle moderne Dame di s.Vincenzo; della gioventù sacrificata sull'altare della flessibilità e della precarietà per un futuro sempre più incerto; di quanti vedono attaccate le loro possibilità di cultura e di cura della salute nel degrado dei servizi pubblici; degli espulsi dalle città conquistate dalla speculazione edilizia; di quanti hanno lottato per un mondo più giusto ed ora si sentono abbandonati e traditi da una sinistra di potere, imbelle, guerrafondaia e sostanzialmente collaborazionista; di quanti e soprattutto quante sono alle prese con un revanscismo culturale che sulla retorica della famiglia vuole tornare ad imporre modelli patriarcali; di quanti vivono nelle galere la giustizia di un sistema ingiusto; di quanti non sopportano il revisionismo parafascista e l'oscurantismo culturale; di quanti ci fanno giungere la loro voce dai paesi più poveri, violentati dalla rapacità del neocolonialismo e dal suo sistema di guerre che sul sangue di milioni morti garantisce i livelli di vita del "primo" mondo; di quanti soprattutto non hanno più voce per farsi sentire ma che chiusi nelle stamberghe, nelle baracche delle periferie metropolitane, o trascinatisi per le strade alla ricerca di qualche androne per ripararsi dal freddo, invisibili per la ricchezza opulenta e sfacciata dei nuovi speculatori, pongono con la loro esistenza una domanda di giustizia non più eludibile. Troppe domande, forse, per una piccola organizzazione militante come la nostra, con molti percorsi localistici e molte scelte soggettive. Ma, come sempre, non è tanto il numero che conta come pure la crescita quantitativa della FAI, ma quanto questa crescita è conseguenza e riflesso della qualità di una nostra proposta che sappia misurarsi e coinvolgere altri soggetti, altre situazioni. Una proposta che, pur mantenendo viva la capacità critica in grado di graffiare a fondo l'oscenità del sistema di potere, sappia attrarre gli elementi vitali, i militanti generosi, le coscienze ribelli, gli oppositori coerenti, dando risposte concrete, possibilità di percorsi attualizzando e rivitalizzando il gradualismo rivoluzionario.

Certo nei confronti di uno scenario quotidiano di guerra, di una repressione (e di una provocazione) montante, di un riacceso conflitto di classe, di un disgregarsi del tradizionale tessuto del lavoro salariato, di un attacco alle libertà individuali e collettive, di una ripresa dell'attività razzista e fascista, molti sono i problemi da affrontare e da risolvere, ma la loro risoluzione può essere facilitata in un dibattito che tenga anche conto dell'esperienza del movimento nel suo complesso, sia su scala "nazionale" che su scala internazionale. Un movimento in crescendo che ha ormai conquistato la sua visibilità e con cui "altri" ormai devono fare i conti, magari mistificandolo o tentando manipolazioni nei suoi confronti, oppure ricorrendo a strategie di pura e semplice provocazione come si è già verificato nei momenti di storia recente, a Piazza Fontana nel 1969 o con l'attentato al teatro "La scala" di Barcellona del 1976, quando le bombe di Stato hanno spezzato l'ondata crescente del movimento costringendolo sulla difensiva.

I tempi in cui ci troviamo ad operare non ci consentono viaggi eterei né autoreferenziali. La concretezza dello scontro sociale e della guerra internazionale ci chiamano, una volta di più, ad un'azione ferma e coerente. Dopo aver dimostrato con le iniziative di questi ultimi anni, con le manifestazioni "nazionali" contro la guerra, con la partecipazione ai principali momenti di opposizione di piazza alle moderne forme internazionali dello sfruttamento capitalista, con il lavoro a sostegno degli scioperi generali indetti dal sindacalismo di base, con le numerosissime iniziative locali, di essere "in piedi" e di essere in grado di dare un nostro contributo alla lotta per la liberazione umana, oggi dobbiamo essere in grado di dimostrare di essere capaci di formulare proposte per tutta l'opposizione sociale, per impedire un suo scivolamento su derive prettamente socialdemocratiche, cogestive e di rappresentanza. L'opera di demonizzazione degli anarchici, che passa con le accuse di terrorismo, scatenata dai media su chiara indicazione degli organi repressivi dello Stato, vuole proprio impedire che i movimenti di opposizione siano influenzati dalle metodologie e dalle proposte anarchiche. Opera senz'altro vana in quanto le idee di libertà vanno ben oltre le nostre modeste persone, ma comunque capace di ritardare processi di maturazione in chiave chiaramente libertaria. E sarà soprattutto su questo terreno che il congresso potrà dare un suo importante, anche se non definitivo, contributo.

Buon lavoro compagne e compagni!

Massimo Varengo

(1) È un'opinione di Errico Malatesta che faccio mia.

 




Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org