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Da "Umanità Nova" n. 43 del 22 dicembre 2002

Le forbici di Garagnani
Libri di testo: nostalgia del Minculpop?


Fortunosamente scampato ai terrificanti gulag della bassa modenese e delle valli ferraresi ("questa cultura comunista mi ha massacrato fin da bambino, a me che vengo da una regione rossa come l'Emilia Romagna"), l'onorevole di Forza Italia, Fabio Garagnani, ha deciso che è ora di finiamola, e che è giunto il fatidico momento di mettere una pietra (tombale) sull'egemonia culturale della sinistra. Famoso per l'impostazione rigorosamente democratica e rispettosa dei diritti civili di ogni sua iniziativa (sua, ad esempio, l'idea del numero verde bolognese a cui denunciare, anonimamente, gli insegnanti che non parlano bene del governo Berlusconi), anche questa volta, mosso da un insopprimibile afflato illuministico, si è buttato a corpo morto in una battaglia di libertà. Finendo così agli onori della cronaca. E, almeno per il momento, anche a quelli del ridicolo.

È sua, infatti, la proposta di istituire una commissione governativa per il controllo dei libri di testo di storia delle scuole superiori e sua è stata l'efficace opera di convincimento sui colleghi polisti della Commissione cultura della Camera. I quali, evidentemente commossi per il massacro giovanile di cui sopra e desiderosi di impedire nuove sevizie alla disgraziata gioventù non solo emiliano romagnola ma dell'Italia tutta, hanno ritenuto di appoggiare tale proposta. Senza porre condizioni e in entusiastica unanimità. Il fatto che il suo progetto sia stato poi bocciato, non solo dall'opposizione ma anche da numerosi esponenti della maggioranza, tra i quali (e questo la dice tutta) si è distinto l'on. Giovanardi, nulla toglie, comunque, alla grottesca gravità di ciò di cui stiamo parlando.

Che la cultura reazionaria, incapace di dare senso razionale e nobiltà intellettuale alle proprie mene oscurantiste, possa ragionare solo in termini di censura e controllo, non è una novità. E se questa è stata una costante di tutti i fascismi del secolo scorso (in Italia c'era il Minculpop e in Germania c'era Goebbels), anche i regimi profondamente autoritari del cosiddetto socialismo reale, non si sono tirati indietro. Non occorre nominare il mitico Zdanov, per capire di cosa si stia parlando. Laddove le coercizioni economiche e sociali non riescano a comprimere compiutamente la libera espressione intellettuale, ogni residua manifestazione di libero pensiero rappresenta un pericolo. E a questo pericolo si è risposto, si risponde, e si intende continuare a rispondere non con gli strumenti della dialettica e della cultura, ma con l'unico arnese rassicurante per il potere: le forbici della censura. Quelle forbici, tanto per intenderci, che in modo strisciante già stanno funzionando, in questo regimetto in sedicesimo, nei giornali e sugli schermi televisivi, e che ora si vorrebbero usare sui testi scolastici non allineati.

È davvero una profonda miseria morale e intellettuale il tratto caratteristico di questa "nuova" classe dirigente!

Pochi movimenti hanno goduto di cattiva stampa come il nostro. Non solo nelle cronache dei quotidiani usi a riportare le veline della questura, ma anche, specularmente, nelle pagine dei libri di storia.
Che la scuola storiografica italiana, soprattutto in questo secondo dopoguerra, sia stata profondamente segnata dalla cultura marxista, non è certo una scoperta dello scampato ai gulag emiliani. Del resto, per onestà, si deve riconoscere che nessuna autorità esterna ha imposto il prevalere del marxismo nella storiografia, ma questo è diventato egemone, tra i tanti motivi, anche perché ha saputo offrire agli studiosi chiavi interpretative e metodi di ricerca credibili. E più che legittimamente gli storici marxisti hanno riportato nelle loro pubblicazioni le istanze ideologiche a cui si richiamavano.

Di questa impostazione, ripeto, più che legittima anche se non seria scientificamente, noi anarchici abbiamo fatto, pesantemente, le spese. Basta sfogliare uno qualsiasi dei testi pubblicati fino agli anni novanta, per rendersene conto: il movimento anarchico delle origini composto da spostati e piccoli borghesi falliti, un distacco sostanziale dalle istanze delle classi lavoratrici, un'azione impostata unicamente su bombe e attentati, un'adesione di massa al fascismo (confondendosi volutamente il sindacalismo rivoluzionario con l'anarchismo), un velleitarismo ideologico imparagonabile con la disciplina comunista, l'assenza totale dalla resistenza antifascista, ecc. ecc. Tutte balle, tutte clamorose mistificazioni che ben conosciamo. Per non citare poi quello che si è scritto sul ruolo degli anarchici nella rivoluzione spagnola; sarebbe fin ingeneroso riportare alla luce le colossali stronzate dell'accademia stalinista.

Eppure, in quanto anarchici, nessuno di noi ha mai ipotizzato una qualsiasi soluzione censoria. Anzi, rimboccandoci le maniche, abbiamo cercato di rispondere sullo stesso terreno. Nonostante il profondo isolamento a cui erano consegnati, i vari Pier Carlo Masini e Gino Cerrito hanno ribattuto colpo su colpo, ricerca su ricerca, ai travisamenti storici dell'ideologismo marxista, e hanno buttato le basi per creare una scuola storiografica libera da preconcetti e da tesi da dimostrare. È stato un lavoro lungo e non facile, condotto da un gruppo di studiosi ai quali l'appartenenza al movimento non ha impedito lo studio obiettivo delle fonti. E che ha trovato nella Rivista storica dell'anarchismo e nei vari Centri studi libertari, gli strumenti per esprimersi. Alla resa dei conti, nessuno studioso serio, oggi, può più permettersi di affrontare con superficialità la nostra storia. Che è quanto ci si era proposto. Senza censure, senza abusi.

Massimo Ortalli

 




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