![]() Da "Umanità Nova" n. 1 del 12 gennaio 2003 Mr. Bush ammassa le truppeOltre 11.000 soldati Usa si preparano a partire per il Golfo, mentre il vice premier iracheno accusa Washington di preparare un'invasione nonostante l'assenza di armi di distruzione di massa. Sul fronte diplomatico, intanto, un giornale iraniano ha scritto di un piano Usa-Russia per convincere il presidente dell'Iraq Saddam Hussein a lasciare il potere e andare in esilio a Mosca. Ma il ministero degli Esteri russo ha declinato ogni commento. L'invio degli 11.000 e di altre truppe già in stato di allerta raddoppierebbe la presenza militare Usa nella regione, che consta già di 60.000 soldati, nel caso in cui il presidente George W. Bush dovesse dare corso alla minaccia di attaccare l'Iraq. Bush non vuole la guerra, ma manda nel medio oriente svariate migliaia di persone in abito kaki ed armate di tutto punto per fare una gita scolastica: "la prepara" soltanto, la guerra s'intende, come dice lui stesso. Nel frattempo la Corea del Nord, caccia gli Ispettori dell'ONU, riprende i suoi programmi atomici e minaccia di uscire dal trattato per la non proliferazione nucleare, ma Bush, candidamente, afferma: "Non credo che si tratti di un confronto militare, quanto piuttosto di un confronto diplomatico". Alla faccia del confronto diplomatico! Devo ammettere che sono un po' stanco di ripetermi, di ripetere quello che è sotto gli occhi di tutti, senza dubbi, senza mistificazioni alcune: quello che aggiunge disgusto a disgusto è che qualcuno, pure a "sinistra", continua ad attendere una fatidica risoluzione ONU, magari pro conflitto, ed in tal caso sarebbe disposto a concedere merce umana, armi, transiti, soldi. Soldi appunto, parliamo di un argomento che dovrebbe interessare a chiunque, anche se per ragioni diverse quando non ancora opposte: William D. Nordhaus docente a Yale ha costruito una forbice di costi totali della guerra, indicativi, che dovrebbero variare dai 100 miliardi di dollari, nel caso "migliore", a 2000 miliardi di dollari, nel caso "peggiore". Ad esempio le "sole" operazioni belliche costeranno, come minimo, 50 miliardi di dollari, nel caso in cui la guerra "lampo" trovi piena dispiegazione al suo corso e se si tiene conto che in Afganistan, per le stesse operazioni, si spesero circa 13 miliardi di dollari, provate un po' a fare la differenza nel caso in cui le cose vadano male. Poi ci sono i costi e naturalmente i guadagni della ricostruzione: dai 100 ai 600 miliardi di dollari, costi in cui è stato già calcolato un bonus di 57 miliardi nel caso in cui cali il prezzo del petrolio: gli economisti sono spesso molto più scaltri e sicuramente meno "etici" di molti altri studiosi e politicanti, ma hanno l'indubbio merito di parlare una lingua accessibile ai più: i verdoni. Ma leggiamo il commento sincero di un giornalista de "Il Sole 24 ore": "Quindi chi baderà all'Iraq del dopo Saddam (lui la guerra la dà per scontata)? Nell'ipotesi migliore toccherà agli USA nel caso vogliano farne la base del loro potere strategico mediorientale. Ma se la guerra comportasse un nuovo shock petrolifero e una recessione globale, le risorse disponibili per la rinascita dell'Iraq saranno molto scarse. Il che crea un altro quesito cruciale. Gli scenari da 100 a 2000 miliardi di dollari riguardano solo la guerra all'Iraq. Ma l'ipotesi che il conflitto resti limitato all'Iraq, senza causare altre guerre in Medio Oriente, appare fin da ora troppo ottimistica. E così tra costi militari, distruzioni materiali, emergenze umanitarie e recessione globale, il conto finale della guerra potrebbe superare di gran lunga le previsioni oggi più sfavorevoli. E la ricostruzione dell'Iraq sarà solo uno dei tanti problemi del dopoguerra."[1] Anche l'Italia investe in questo inesorabile processo di morte e concede a prezzi stracciati, ovvero al costo di 1,5 milioni di euro all'anno, un collegamento telefonico punto-punto tra la base di Sigonella e Napoli-Bagnoli con una capacità equivalente se non addirittura superiore a quella dell'intero traffico civile tra Napoli e la Sicilia. Lo stesso è stato fatto con la base di Aviano. Ma il business delle telecomunicazioni è appena al principio: "la prova più concreta (e costosa) è il programma Global Information Grid-Bandwidth Expansion, meglio noto agli addetti ai lavori con il nomignolo Gig-Be, un'iniziativa pochissimo pubblicizzata, con cui il Pentagono conta di creare un suo network in fibre ottiche ad altissima capacità (10 gigabit al secondo) che collegherà 87 basi e centri di comando e controllo (...) Il programma Gig-Be inizierà sul territorio Usa, ma verrà esteso al Pacifico ed all'Europa (...) Laddove possibile useremo fibre già esistenti, ma non esiteremo a posare cavi laddove mancano e a fare forti investimenti in energia ottica come amplificatori e commutatori".[2] E sentite ancora: "Indipendentemente dal loro utilizzo, condotti telefonici affittati dal Pentagono renderanno a Telecom svariati milioni di dollari poiché gli americani hanno voluto firmare contratti per un minimo di un anno, estensibili fino a tre."[3] Le morali di questo incubo sono tante, ma se provassimo a riassumerle potremmo almeno elencare queste: Guerre esterne permanenti. Costi finanziari bellici sottratti a spese di utilità pubblica elevatissimi. Guerre interne devastanti: restrizioni di libertà, aumento della repressione poliziesca, blindatura delle frontiere, diminuzioni delle garanzie sociali, criminalizzazione del dissenso politico e sociale... Controlli telematici, telefonici ed informatici: tutto potrà essere controllato, vagliato e schedato. Tutte le informazioni passeranno sotto controllo militare diretto ed indiretto in quantità e qualità mai viste in precedenza. Peggioramento radicale delle condizioni di vivibilità dell'ecosistema. Un ultimo costo, che magari non interessa a troppi, ma a noi anarchici sicuramente sì: esseri umani annientati (letteralmente) dalle logiche di un sistema che per quanti appellativi gli si possano attribuire rimane, in perenne mutazione e trasformazione, quel sistema di dominio e di sfruttamento che già conobbero i nostri avi con il nome di Capitalismo. Pietro Stara
Note [1] Giorgio S. Frankel, Iraq, ecco quanto costerà agli Stati Uniti, in
³Il Sole 24 ore², di lunedì 23 dicembre 2002, p. 2
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