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Da "Umanità Nova" n. 1 del 12 gennaio 2003

Dalla padella nella brace
La Fiat alle banche, a Colaninno, o a tutti e due?

 

Non passa giorno senza che appaia qualche nuova incognita sul futuro della Fiat. L'ultima doccia fredda è arrivata subito dopo Natale, con il temuto declassamento da parte di Moody's, che ha portato il giudizio sul rating creditizio dell'azienda al livello dei "junk bonds", i titoli spazzatura che vengono acquistati solo dagli investitori più speculativi e che non possono comparire nei portafogli dei fondi obbligazionari internazionali. Per la Fiat si è trattato dell'ennesima mazzata, arrivata come degna conclusione di un anno orribile, cominciato con le dimissioni di Testore il 10 dicembre 2001 e finito con le dimissioni di Galateri il 12 dicembre 2002. Adesso si teme che anche Standard & Poor, a fine gennaio 2003, emetta lo stesso giudizio liquidatorio sul debito Fiat, compromettendo ulteriormente lo sforzo dell'azienda per uscire da una pesante situazione debitoria, frutto delle dissennate scelte finanziarie e industriali dell'epoca Fresco. L'abbassamento del rating provoca un innalzamento dei costi per il finanziamento, o il rifinanziamento, dell'attività corrente e quindi aggrava la situazione del gruppo. Un gruppo che non si è neanche preoccupato di fare una trattativa vera con governo e sindacati, dando per scontato che la collettività dovesse farsi carico di gestire la pesante ricaduta sociale di scelte aziendali sbagliate, e che puntualmente è riuscito ad ottenere dal governo i 110 milioni di euro che servivano per buttare sulla strada oltre 8.000 lavoratori e provocare il licenziamento di almeno 25.000 altri operai. Si è assistito così ad un gioco delle parti in cui le decisioni vere venivano prese dalle banche e dalle agenzie di rating, mentre i politici si limitavano a fare folklore e la famiglia Agnelli (tuttora azionista di riferimento dell'azienda) appariva in modo sempre più marcato ostaggio nelle mani di soggetti altrui. Il silenzio pesante che arriva da Detroit sembra molto denso di significati: la Fiat è così mal messa che alla General Motors non interessa più. Si è parlato di una lauta ricompensa per potere uscire dall'opzione put, quell'accordo che a partire dal 2004 permetterebbe agli Agnelli di vendere Fiat Auto e costringerebbe GM a comprare. Stando a questa ipotesi, GM sarebbe disponibile a rilevare tutti gli stabilimenti Fiat al di fuori dell'Europa, in cambio di 1,5 miliardi di euro, e contestuale rinuncia alla "put" da parte di Fiat.

Intanto è tramontata l'ipotesi Mediobanca di fondere Ferrari-Maserati-Alfa, scorporandola da Fiat e stringendo un accordo industriale con Volkswagen: la casa tedesca si è dichiarata per nulla interessata, avendo già la Lamborghini nella propria scuderia ed una serie di problemi da risolvere anche a casa propria. L'aut-aut che le banche hanno dato alla proprietà ha provocato, nell'ultima fase dell'anno, una violenta accelerazione del processo di dismissioni: Fiat deve reperire mezzi freschi in breve tempo, in modo da scongiurare la trasformazione in azioni del prestito convertendo da 3miliardi di euro, cosa che diluirebbe il controllo sull'azienda da parte delle finanziarie di famiglia ed estrometterebbe sostanzialmente gli Agnelli dalla plancia di comando. La necessità furibonda di fare cassa ha portato in pochi giorni all'accordo per la cessione alle banche del 51% di Fidis (la società di credito al consumo), alla cessione di Fraikin (società francese di leasing di mezzi industriali, comprata tramite Iveco nel 1999) nonché alla messa in vendita di Toro Assicurazioni e di Fiat Avio. La Toro potrebbe valere sul mercato 2,5 miliardi di euro, Fiat Avio attorno a 1,5 miliardi di euro. Sono i gioielli di famiglia che vengono messi all'asta, per salvare la casa che brucia. Rischia di finire in mani estere un altro pezzo della struttura finanziaria e industriale italiana, dato che interesse per la Toro è stato manifestato dalla tedesca Munich Re, mentre Fiat Avio difficilmente può trovare un compratore italiano (solo Finmeccanica potrebbe provarci, ma sarebbe davvero insolito, in questo clima, vedere crescere un'azienda di stato a scapito di una privata).

In questo clima da ultima spiaggia, è spuntata a Capodanno l'ipotesi Colaninno. Si tratta di una possibilità concreta, che può mettere a posto parecchi pezzi del puzzle. Innanzitutto il soggetto ha della liquidità da spendere: pare che abbia 1 miliardo di euro, frutto delle fortunate scorribande borsistiche della vicenda Telecom. Come molti ricorderanno Colaninno e soci lanciarono a febbraio 1999 un'opa monstre su Telecom Italia (contro il nucleo societario di controllo, diretto, tra gli altri, dall'Ifil), con l'appoggio determinante del governo D'Alema-Bersani, e il sostegno finanziario di Mediobanca, Unipol, Monte Paschi e Capitalia. L'opa vittoriosa consegnò Telecom al tandem Colaninno-Gnutti, che dopo due anni rivendette tutto a Pirelli, incassando una plusvalenza di svariati miliardi di euro, non senza essersi riempiti le tasche di soldi ottenuti speculando privatamente (tramite società estere rimaste a tutt'oggi un mistero) sulle notizie da insider trading relative all'operazione Seat-Tin.it.

Adesso Colaninno ha molti soldi, solidi appoggi politici (da entrambi i Poli), una fama di industriale con il bernoccolo degli affari, ampie possibilità di ottenere credito bancario per operazioni "coraggiose". Dall'altra c'è un'azienda come la Fiat che non sa più dove andare a parare. Gli ingredienti ottimali per una rentree alla grande nel giro giusto. Dapprima si era parlato di un interesse specifico limitato all'Iveco. Ora si vocifera di un ingresso societario in Fiat Holding, una volta ottenuto l'assenso preventivo degli Agnelli, delle banche e di GM. Il socio americano potrebbe in questo modo defilarsi alla chetichella (o prendersi ancora qualche anno per studiare il dossier), il governo sarebbe felice di poter dire che l'auto rimane italiana, gli Agnelli potrebbero finalmente avere un po' di ossigeno e, perché no, trovare qualcuno che gli tolga le castagne dal fuoco una volta per tutte. Il piano industriale dovrebbe confermare tutte le cessioni già annunciate e mantenere dentro il perimetro del gruppo auto, camion, trattori ed energia. In pratica mezzi di trasporto e il nuovo business relativo ad Italenergia: via la finanza e le attività estranee al "core business".

Se effettivamente Colaninno entrasse con le modalità preannunciate, potremmo essere in presenza di una svolta. Questo non deve far dimenticare i precedenti, e quindi non si possono alimentare illusioni: Colaninno riuscì a ristrutturare Telecom, un'azienda che produceva utili, adottando la cassa integrazione, riducendo l'organico, sostituendo molto personale anziano con pochi giovani ad occupazione precaria e flessibile, per venderla poi al miglior offerente entro un lasso di tempo molto breve. Le sue chance attuali non sono molto diverse da allora: la sua intenzione è entrare a poco prezzo, valorizzare nel breve periodo, uscire con il massimo del risultato possibile. Nessuna intenzione è ancora stata resa pubblica su stabilimenti, livelli occupazionali, garanzie produttive. Se questa appare un'alternativa valida, è solo perché lo sfascio è così profondo che soltanto un cambiamento radicale può essere, o sembrare, risolutivo. Un cambiamento che si deve concretizzare, ormai anche nel senso comune, in almeno due passaggi: l'estromissione degli Agnelli dalla gestione diretta dell'azienda e la ripresa delle vendite di auto Fiat almeno in Europa. È molto poco, ma su questo riposano le scarse speranze di vedere un futuro per i lavoratori della Fiat e delle aziende collegate.

Renato Strumia

 


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