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Da "Umanità Nova" n. 1 del 12 dicembre 2003

Il Sig. G.

In arte Giorgio Gaber. Me lo ricordo ai tempi degli "urlatori", dei "molleggiati". Prima aspiranti cantanti, poi, in uno dei "covi" dell'epoca (metà anni sessanta) da cui sono usciti fior di autori. Poi, piano piano, un progressivo cambiamento: una serie durata anni di spettacoli e testi sempre più puntuali e graffianti, con quei personaggi quasi surreali ma anche così simili al costume perbenista di una piccola (e grande) borghesia che progressivamente perdeva i pezzi delle maschere sotto cui si nascondeva. Una vera invettiva libertaria e liberatoria che metteva alla berlina la sicumera (perdo i pezzi...) o i self made man (mi sono fatto tutto di m...), la famiglia o il conformismo perbenista di una sinistra sempre più ingessata. Poi, più recentemente, un'eclissi, un escludersi dalle frequentazioni libertarie degli anni precedenti. Ragioni di salute? Forse. Ragioni di Famiglia? Certo. Ed è finito in chiesa, come quegli antireligiosi ed iconoclasti cui i parenti regalano un saluto insultante. Con gente come Albertini e Berlusconi. Un suo personaggio avrebbe chiuso: Poveraccio... che brutta fine.

C. S.

 


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