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Da "Umanità Nova" n. 2 del 19 gennaio 2003

Disertori di tutte le guerre di tutti gli eserciti!
Tutti a La Spezia il 25 gennaio

Aspettando una guerra annunciata. La campagna contro il regime talebano in Afganistan era ancora in corso - febbraio 2002 - e già i guerrafondai al potere a Washington ne avevano lanciata un'altra, quella contro il "nuovo Hitler" iracheno. I tempi si sono allungati più del previsto - qualche intoppo diplomatico, la necessità di preparare adeguatamente un conflitto militarmente rischioso, il tentativo di ottenere l'improbabile sostegno di Francia e Germania - ma ormai ci siamo: circa 120mila soldati americani e inglesi sono pronti all'ennesima carneficina. Per la verità la guerra ha già vissuto un sanguinoso prologo: fra agosto e dicembre si sono contate 62 incursioni anglo-americane contro obiettivi iracheni, quasi una ogni due giorni. Come sempre ci è stato detto che si trattava di incursioni mirate a colpire obiettivi strategici ma molte delle tonnellate di bombe sganciate nei mesi scorsi hanno centrato zone densamente popolate, provocando decine di vittime fra i civili.

Aspettando una guerra di cui non è facile capire i motivi economici e strategici. Nonostante l'intossicazione informativa a cui ci hanno sottoposto i servizi propagandistici del governo di Washington tutti sanno che Hussein non è un sostenitore dei terroristi fondamentalisti islamici e neppure possiede le "armi di distruzione di massa", visto che il sogno dell'atomica irachena è stato infranto oltre 20 anni fa dai bombardieri israeliani. Il regime iracheno potrebbe costruirsi armi atomiche, chimiche e batterioliogiche come qualsiasi altro Stato. La farsa dei controlli degli inviati dell'ONU, veri ispettori o spie camuffate che fossero, ha degnamente concluso una vicenda che farebbe sorridere se non fosse solo un'amara preparazione alla guerra. Diciamolo chiaramente: nei siti controllati gli ispettori avrebbero potuto trovare le armi che cercavano solo se fossero riusciti a mettercele loro! Evidentemente la potenza americana non arriva a tanto. Si tratta di uno dei numerosi fallimenti a cui ci hanno abituati i farneticanti signori della guerra con la fissazione dell'impero che comandano lo Stato più potente del mondo.

Aspettando allora la solita "guerra per il petrolio". Forse, ma è sempre meglio dubitare delle verità che ci vengono fornite su un piatto d'argento dalla grande stampa. L'Iraq è indubbiamente un obiettivo strategico dal punto di vista energetico. Controllare i pozzi iracheni vorrebbe dire ridurre il fastidioso potere dei paesi OPEC, mettere in difficoltà l'infido regime saudita, sferrare un nuovo durissimo colpo ad altri infidi alleati, i francesi e i tedeschi. Ma la guerra all'Iraq sarà estremamente costosa: le stime che hanno fatto il giro del mondo variano dai 116 miliardi di dollari nel caso di una vittoria-lampo ai 2000 miliardi di una vittoria con occupazione militare dell'Iraq. Un'economia in crisi può reggere una tale sollecitazione?

Ma forse il ragionamento ci ha portati al nocciolo della questione: la crisi economica. Nel quarto trimestre 2001, cioè nei mesi in cui si è sviluppato il maggior sforzo bellico contro l'Afganistan, la balbettante economia americana ebbe un sussulto e fu solo grazie agli investimenti militari che il 2001 si chiuse con un prodotto interno lordo non inferiore a quello del 2000. Ma la guerra all'Afganistan da sola non ha fatto ripartire l'economia, come non l'hanno fatta ripartire le ingenti risorse destinate nel bilancio 2002 al Pentagono. E allora ci vuole di più, ci vuole la guerra, una grande guerra con migliaia di soldati al fronte, migliaia di carri armati, missili, bombe, mine e, se necessario, anche qualche "piccolo" ordigno nucleare. La vecchia ricetta keynesiana della spesa militare che risolleva l'economia, insomma. E se serve una guerra indubbiamente il miglior posto dove farla è l'Iraq e non certo la Corea del Nord, tanto per capire la strana cedevolezza con la quale gli americani hanno risposto alle "provocazioni" nordcoreane.

Aspettando la guerra, dunque, un evento ormai normale in quello che migliaia di propagandisti si sforzano di farci apparire come il migliore dei mondi possibile. Una bella schifezza, invece, questo mondo, tanto dorato fuori, quanto marcio dentro.

Aspettando la guerra ma non passivamente: questo non è il miglior mondo possibile. Gli antimilitaristi e i pacifisti coerenti devono dirlo forte e chiaro: il sistema capitalistico ha bisogno della guerra per sopravvivere. Dobbiamo dire pure che non diventeremo mai complici dei guerrafondai, americani come europei, e faremo di tutto per sviluppare un forte movimento antimilitarista, antistatalista, anticapitalista e antiautoritario con tutti coloro che non si illudono che un mondo migliore si costruisca verniciando di rosso vecchi e sputtanati leader sindacali.

Un mondo migliore è necessario e possibile e noi lo costruiamo anche attraverso l'opposizione alla guerra.

A. R.

 


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