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Da "Umanità Nova" n. 2 del 19 gennaio 2003

La mossa del cavallo
La complessa partita del cinese

"Se Cofferati vuole rendersi utile, venga a tirare la carretta insieme a noi".
Massimo D'Alema da "La Repubblica" del 12 gennaio 2002

"Fa comodo dire che ho ambizioni politiche, che sto facendo un partito, che guiderò una mia 'lista del lavoro' alle europee. Tutte sciocchezze, che servono solo a descrivermi come uno che punta a una scissione nei Ds. È lo stesso giochino umiliante che fecero al congresso di Pesaro: ma oggi come allora ripeto che non voglio dividere niente, non farò mai una scissione".
"Dappertutto migliaia di persone, interessate, attente: chiedono di 'partecipare'. Io mi limito a rispondere a questa loro domanda di partecipazione. Non mi pongo, e non mi sono mai posto, l'obiettivo di partire da qui per diventare leader politico. Lo faccio perché sento di dovere qualcosa a tanta gente, che ha creduto e continua a credere in me".
Sergio Cofferati da "La Repubblica" 13 gennaio 2002

"Oggi i moderati dell'Ulivo sono molto più lontani dall'ex leader della Cgil che da noi. Faccia emergere questa diversità. Basterebbe riprodurre in Parlamento ciò che già esiste nella società. Si creerebbero tre blocchi sul fronte opposto a Berlusconi: moderati, riformisti legati all'ex sindacalista, e radicali, cioè Rifondazione comunista".
Fausto Bertinotti da "Il Corriere della Sera" del 12 gennaio 2002

"Si doveva andare alle elezioni, dice oggi Cofferati: ma non fu proprio la Cgil di cui era segretario generale, allora, a lanciare un appello contro le elezioni anticipate, e a salutare con favore l'incarico di governo al leader del più importante partito della sinistra?".
Massimo D'Alema da "La Repubblica" del 12 gennaio 2002

Come è noto, il gioco degli scacchi è una raffigurazione della guerra. E la politica, mi si consenta la parafrasi, non è altro che la guerra condotta con altri mezzi. Cosa fanno, o cercano di fare, i capi politici, in fondo, se non accumulare forze, stipulare alleanze, difendere posizioni, tentare assalti, logorare gli avversari, fondare domini?

Certo, di norma, la politica è più amministrazione dell'esistente che innovazione ma se assumiamo che la guerra non è l'eccezione ma la regola che caratterizza le società gerarchiche anche la mediocre prassi degli apparati di partito disvela il suo carattere cruento. Basta, in fondo, pensare al modo di funzionare di un'azienda ed alle lotte fra aziende per poter riconoscere il carattere reale della partita alla quale siamo soggetti.

Non credo che sia casuale che alcuni capi politici famosi siano o siano stati discreti giocatori di scacchi, basta pensare, per fare un esempio, al buon Lenin.

Sarebbe, fra l'altro, interessante sapere quanti anarchici sono buoni giocatori di scacchi. Sospetto che, in ogni caso, ci manchi la capacità o, meglio, la propensione a considerare gli uomini come oggetti e i movimenti sociali come astratte forze da utilizzare. Una carenza assolutamente positiva.

D'altro canto, in "Guerra e Pace", Tolstoj dedica delle pagine magistrali anche se, a dire la verità, a mio avviso un po' ridondanti, allo sforzo di dimostrare che il concreto svolgersi della guerra sfugge agli stessi stati maggiori, che il muoversi, nella totale confusione, di masse imponenti di esseri umani determina risultati ed eventi diversi da quelli disegnati sulle mappe degli strateghi.

La politica, insomma, impone un ordine a dinamiche storiche che non nascono né si sviluppano secondo le sue regole e vi è uno scarto fra la politica stessa ed i movimenti profondi del corpo sociale. Uno scarto che può aprire spazi di liberazione dalla politica (la critica della politica) o determinare momenti di crisi della politica che si risolvono in un nuovo equilibrio dei poteri.

Proviamo, dunque, ad applicare queste considerazioni alla complessa situazione dell'attuale sinistra italiana.

Su "Il Manifesto" di qualche giorno addietro campeggiava un'efficace vignetta di Vauro, intitolata "Gli opposti estremismi" che raffigurava Fassino e Bertinotti che esclamavano, in perfetta consonanza "Basta con Cofferati". La vignetta in questione esprimeva, con discreta efficacia la lettura che la redazione de "Il Manifesto" da della situazione: la discesa in campo di Sergio Cofferati e la straordinaria riuscita di una serie di manifestazioni, ultima quella di Firenze della settimana scorsa, stanno scompigliando le carte e mettendo in crisi profonda i gruppi dirigenti della sinistra che, al di là delle tradizionali divergenze, sono uniti nell'ostilità rispetto alla principale novità politica di fase e cioè all'iniziativa politica del cinese.

Naturalmente questa valutazione è, per l'essenziale, esatta. Sarebbe, infatti, singolare che degli apparati consolidati che hanno, nell'arco di anni, definito i propri rispettivi territori trovassero gradevole l'occupazione di questi stessi territori da parte di un nuovo potente soggetto.

D'altro canto, la redazione de "Il Manifesto" è tutto tranne che un osservatore disinteressato. La simpatia per il progetto cofferatiano da parte della sinistra ingraiana è assolutamente naturale e coerente con la storia di questa corrente della sinistra. Non fa, in fondo, che riprendere la tradizionale ostilità degli ingraiani nei confronti della scissione del PCI fra DS e PRC e la loro idea di un possibile ammodernamento della sinistra statalista nel suo assieme.

L'entrata in campo di Sergio Cofferati è la realizzazione di una vecchia intuizione di Pietro Ingrao: la mossa del cavallo, la possibilità di andare a sinistra passando da destra e di ridefinire il campo della sinistra stessa sulla base di una capacità di dare rappresentanza a universi sociali che il politicismo dei DS e il massimalismo del PRC avevano lasciato scoperti.

Naturalmente, questa stessa possibilità nasce da una crisi della sinistra, dalla sconfitta elettorale e dall'affermarsi della destra ma, come è sin troppo noto, le crisi sono un'occasione di innovazione che può essere o meno colta.

Quando Massimo D'Alema ricorda oggi che la CGIL, e quindi Sergio Cofferati, è pienamente responsabile della politica del governo dell'Ulivo ha perfettamente ragione ma questo suo avere ragione, egli ha, d'altronde, torto per il solo fatto di esistere, non ha alcuna importanza effettiva.

Sergio Cofferati è la "novità" non perché vi sia una qualche coerenza fra politica della CGIL negli anni del governo della sinistra e in quelli del governo della destra ma perché ha la forza di proporsi come innovatore e di portare in dote una struttura organizzata adeguata o, almeno, meno inadeguata di altre al progetto di una ridefinizione della sinistra.

Quando Fausto Bertinotti ricorda le ambiguità di Sergio Cofferati su di una serie di questioni di merito ha altrettanto ragione ma cade proprio sull'idea stessa di sinistra che cerca di difendere. L'idea di una sinistra tripolare, infatti, è divertente ma sostanzialmente infondata. Bertinotti vorrebbe una sinistra moderata (Fassino - Rutelli), una sinistra riformista (Mussi - Cofferati) ed una sinistra radicale (PRC - movimento dei movimenti). Il problema sta nel fatto che la sinistra radicale è ovunque tranne che nel blocco che egli individua.

Sul piano del programma, che pure qualcosa dovrebbe significare, il PRC è un partito keynesiano e difende proprio quello "stato sociale" che tanto sta a cuore a Cofferati.

Sul piano della tattica, poi, la direzione bertinottiana del PC ha coltivato un rapporto privilegiato con i "movimenti" che avrebbero dovuto garantire una fuoriuscita dolce dal ghetto veterobolscevico nel quale il PRC rischiava di restare intrappolato.

Nei fatti, proprio la tattica bertinottiana disvela i suoi limiti profondi: da una parte i veterobolscevichi del PRC o, almeno, i veterobolscevichi di destra, e non sono pochi, sono strutturalmente legati alla CGIL e naturalmente interessati all'ipotesi del progetto cofferatiano mentre Sergio Cofferati è perfettamente in grado di parlare al "movimento dei movimenti" come un interlocutore più forte, affidabile, interessante del buon Fausto Bertinotti.

In cosa, infatti, consiste questo movimento dei movimenti?

Per un verso, certamente, nell'espressione di una reazione antiberlusconiana del popolo di sinistra. E, se il problema è battere Berlusconi, Cofferati è certo più interessante di Bertinotti o, almeno, più credibile.

Per l'altro nella rivendicazione di uno spazio politico diverso da quello tipicamente partitico ma non necessariamente più radicale. Ed anche da questo punto di vista la CGIL appare come una sponda interessante.

Se, infine, si pone l'accento sulle correnti e le pratiche radicali che attraversano questa esperienza, queste componenti non si possono riconoscere né nel PRC né nella CGIL per motivi assolutamente evidenti.

Naturalmente, non si può escludere che il PRC riesca ritagliarsi uno spazio che non può, però che essere marginale. Infatti i giochi sono fatti:

- se la sinistra deve battere Berlusconi sul piano elettorale e se l'unica speranza è il rinnovamento e l'unità, il progetto cofferatiano è l'unico credibile;

- se parliamo di un'opposizione sociale che si sviluppa su obiettivi, contenuti, pratiche autonomi dal sistema dei partiti, il PRC, se si prescinde dalla pratica di parte della sua base, è un'altra cosa.

Insomma, un tipico e doloroso caso di troppo e troppo poco.

Per quanto riguarda il blocco cofferatiano, è evidente che si sta disegnando. Parte consistente dell'apparato della CGIL (non tutto, una forte destra interna rema contro e rivendica l'autonomia del sindacato dal sistema dei partiti), i girotondi ed il pezzo di classe media che rappresentano, la componente moderata del movimento dei movimenti. Non poco, anzi, ma nemmeno quanto basta, a breve, a scalzare un apparato DS saldamente controllato dall'attuale gruppo dirigente.

Proprio perché, come ama ripetere, Sergio Cofferati è un "riformista" ed un moderato, è evidente che lavora con calma e rimanda a tempi migliori la scelta di una rottura dei DS che, questo mi pare evidente, preferirebbe vedere imposta dalla destra del partito in modo da poter salvare la sua immagine di leader responsabile ed "unitario".

Un gioco complesso, insomma, per certi versi divertente ma un gioco che raffigura solo parzialmente la vera partita in corso.

Cosimo Scarinzi

 

 


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