Da "Umanità Nova"
n. 2 del 19 gennaio 2003
Giorgio Gaber
Una voce ribelle
La compagna Paola Nicolazzi è stata la "voce" che ha accompagnato
le lotte dei compagni nel corso degli anni '70: le canzoni da lei cantate
hanno costituito la "colonna sonora" di manifestazioni, feste, sit-in
anarchici.
Con questo articolo ci consegna un personale e sentito
ricordo di Giorgio Gaber e di una stagione in cui i percorsi della canzone
d'autore, di quella popolare e di quella anarchica si sono fortemente
intrecciati.
Ho sempre avuto simpatia per Giorgio Gaber, fin dai tempi del
suo debutto: dicevano che era brutto ma simpatico; per me invece era bellissimo.
Conservo ancora i dischi delle sue canzonette di quel tempo: era il 1964,
quando in uno spettacolo televisivo cantò "Addio a Lugano". Non
sapevo chi erano gli anarchici, me lo spiegò a grandi linee mio
marito.
Non so descrivere l'emozione quando, undici anni dopo, Giorgio salì
sul palco del Teatro Uomo a Milano per cantare "Addio a Lugano" con me
e Francesco De Gregori.
Abitavo a Roma e frequentavo assiduamente il Folk Studio, perciò
conoscevo tutti quelli che cantavano canzoni popolari e di lotta. Il mio
avvicinamento al movimento anarchico avvenne in seguito alla morte di
Pinelli; in via dei Taurini c'era la redazione di U.N. con Aldo Rossi
e Anna Pietroni, che erano un punto di riferimento e il fatto di Giovanni
Marini [1], avvenuto a Salerno, mi rese sensibile per una campagna a sostegno.
Gualtiero Bertelli del Canzoniere Veneto mi insegnò alcuni accordi
sulla chitarra, così iniziai a fare spettacoli per la campagna
di liberazione. I compagni me ne organizzavano nelle piazze e nei teatri:
ho percorso l'Italia in lungo e in largo, accompagnata quasi sempre da
mio figlio Roberto, il quale fin da piccolo era bravissimo alla chitarra
ed al flauto (alla chitarra lo ò ancora adesso).
Francesco De Gregori era ai suoi esordi, ed accompagnava con la chitarra
Caterina Bueno quando era al Folk Studio. Mi chiamava "la bellissima signora",
rifacendosi al sottotitolo della canzone "Compagno Marini" da me musicata
e poi incisa su un 45 giri. Una sera ci invitò tutti in una pizzeria
a Trastevere per festeggiare l'uscita del suo disco. Ero reduce da una
serata a Castelbolognese, dove avrebbe cantato Francesco Guccini e a me
spettava di intrattenere i presenti in sala per la prima ora. Raccontavo
appunto a Francesco il terrore provato nel salire sul palco di fronte
ad un pubblico che non era lì per sentire me. Guccini, probabilmente
consapevole delle difficoltà di chi "rompe il ghiaccio", una volta
esaurito il repertorio mi aveva chiesto di risalire sul palco per cantare
"Figli dell'officina", e lo avevo fatto con una tranquillità molto
maggiore. Però dissi a De Gregori che non ne volevo più
sapere di fare da spalla ai "big" della canzone, perché c'era da
morire di paura e anche lui convenne che l'impatto col pubblico era difficile
per tutti.
Poco dopo quella sera, precisamente il 10 ottobre 1975, la redazione
di A Rivista anarchica organizzò uno spettacolo al Teatro Uomo
di Milano, e proprio a De Gregori mi capitava di dover fare da spalla.
Ero un po' più rilassata perché prima di me si esibiva un
duo: Torres Wandel a Marika Franchi, flauto e arpa con canti popolari
dei due continenti, ai quali toccava "rompere il ghiaccio". Purtroppo
il ghiaccio venne rotto male: oltre la terza fila non si sentiva, ed il
pubblico cominciò a reclamare i microfoni, e lui rispose in modo
un po' arrogante. Urla. Seguì un tentativo dell'organizzazione
di mediare, ma alla prima parola non ben compresa di nuovo partirono urla
e fischi, in un teatro che conteneva oltre 1.500 persone: non vi dico
che putiferio!
Così, con quest'aria, ora toccava me a cantare. Dissi a Francesco
che tutti aspettavano lui e io avrei rinunciato volentieri, ma era scosso
almeno quanto me, e mi convinse ad affrontare la sorte. Salii pronta a
scendere al primo segno di intolleranza. A mo' di introduzione dissi solo
"Sante Caserio", e Roberto aveva già attaccato quando una voce
dal fondo della sala disse qualcosa. Io, di rimando: "Cosa?" "Brava",
rispose la voce. "...Ah, va bene!", commentai e mi lanciai a cantare.
Probabilmente in sala vi erano molti compagni, e tutto andò bene;
alla fine però mi chiesero "Addio a Lugano" e cercai di proporne
un'altra perché sapevo che avrei finito col confondere le strofe,
visto che non riuscivo a trovare il biglietto con gli attacchi. Niente
da fare. In cerca di aiuto sbirciai fra le quinte e vidi Francesco che
viveva la sua crisi steso per terra. Lo chiamai per aiutarmi, così
poi avrebbe proseguito lui, e accettò emozionatissimo.
Appena iniziato, sentiamo uno scroscio di applausi: era Giorgio Gaber
che saliva a cantare con noi. Non lo sapevo presente e forse anche per
la sorpresa e l'emozione ho decisamente sbagliato la seconda strofa, passando
subito all'ultima, così la canzone finì appena incominciata.
Ormai ero nel pallone totale, per fortuna cominciò De Gregori.
I compagni dell'organizzazione avevano prenotato il ristorante, e venne
anche Gaber che si complimentò con Roberto e a me disse che gli
avevo fatto provare una bella emozione. Il giorno seguente avevo uno spettacolo
a Torino, e Roberto si era addormentato sul tavolo. Salutai Giorgio con
la sua richiesta di promessa, che ho sempre mantenuta, di andarlo a salutare
ogni volta che avrei assistito ad un suo spettacolo.
Quando venne a Carrara - ormai mi ero trasferita anch'io - gli parlai
della tipografia e venne a visitarla: c'era Dino che stampava e prima
di andarsene mi consegnò un contributo per sostenerla, pregandomi
di rimanere nell'anonimato. Mi disse che anche lui aveva una casa in Versilia,
che sarei potuta andare a trovarlo, ma mi sentivo troppo diversa da quello
che poteva essere il suo ambiente, forse a torto, e non ci sono andata
mai.
Nell'81-82 fece "Anni affollati", che andai a vedere a Viareggio, dove
cantava la famosa "Se io fossi dio", censurata e il cui disco venne presto
ritirato (ovviamente, ce l'ho) [2]. Incazzato e graffiante sulla scena,
tenero, dolce, pacato e affettuoso giù dal palcoscenico: così
lo ricordo. A Spezia nell'89 a salutarlo con me c'era anche Roberto, che
subito riconobbe in "quel bambino che mi accompagnava con la chitarra".
Disse che si sarebbe ritirato dal palcoscenico, per darsi al cinema. Cercai
di convincerlo a ripensarci, a non abbandonarci. Sono convinta che il
suo crollo psicologico l'ha avuto quando sua moglie si è messa
in politica.
L'ultima volta che l'ho visto, ospite di Jannacci alla Festa di Liberazione
a Marina di Carrara, cantò "La strana famiglia". Dopo lo spettacolo
volevo salutarlo, ma era assediato dai cacciatori di autografi, perciò
accennai ad un saluto da lontano. Mi chiamò: "Te ne vai così?",
poi all'orecchio mi chiese se anch'io pensavo che era caduto troppo in
basso. Gli dissi di no: "Le scelte di altri non sono le tue."
Ho saputo che non stava bene e due anni fa l'ho visto alla tv ospite,
con Dario Fo e Jannacci, in uno spettacolo di Celentano. Si vedeva chiaramente
che stentava e reggersi in piedi, e cantò "Destra e sinistra" appoggiandosi
ad una sedia, col viso segnato dalla malattia che stava combattendo con
tutte le sue forze, ma la voce gli reggeva ancora bene.
Il primo gennaio, la triste notizia: se ne è andato un grande
attore e per me anche una carissima persona.
Paola Nicolazzi
P.S. dello spettacolo a Teatro Uomo ho una registrazione, non eccellente
a causa dei mezzi che avevamo a quel tempo, che farò trasferire
su un cd: sarà sempre un bellissimo ricordo.
Note
[1] Giovanni Marini, anarchico salernitano, venne incarcerato per essersi
difeso da un'aggressione fascista in cui trovò la morte lo squadrista
Falvella. La campagna per la sua liberazione ebbe un notevole rilievo
nelle attività del movimento anarchico negli anni '70. (NdR)
[2] in "Io se fossi dio": quando tutti esaltarono Moro come un martire
lui ebbe il coraggio di cantare che: "insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è stato il responsabile maggiore di quarant'anni di cancrena italiana"
(NdR)
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