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Da "Umanità Nova" n. 3 del 26 gennaio 2003

Le bombe della democrazia
In nome della libertà, della civiltà, della giustizia... USA pronti al massacro

Prima di ogni altra cosa, è una questione di etica. È un "sentire" insopprimibile, un'esigenza di corpo e cervello che parte da una dimensione prepolitica e poi incontra, all'interno del nostro sistema di idee, tutte le sue ragioni. Il rifiuto della guerra, il rifiuto delle guerre. L'impossibilità di accettare come norma, di subire come condizione naturale e necessaria la terroristica e mostruosa violenza degli stati.

Quando lo stato si prepara ad ammazzare, si fa chiamare patria.

Così recitava un vecchio slogan. Tanto efficace nella sua semplicità, quanto preciso nei contenuti. Perché è proprio così: la guerra, prima ancora che le macchine, la fanno gli uomini, e agli uomini, proprio perché tali, uno straccio di motivazione devi darglielo. Ed ecco allora che le innominabili, oscene ragioni della realpolitik e degli interessi economici devono nascondersi dietro parole "alte", devono celare la loro vergogna dietro la tronfia demagogia di giornata.

Ieri le radiose giornate, il campo dell'onore, i sacri confini, oggi l'intervento umanitario, i bombardamenti antiterroristici, l'attacco agli stati canaglia. Celato fra le grottesche invenzioni della neolingua, il consueto disprezzo per le sofferenze delle vittime predestinate. E il consueto disprezzo per le nostre intelligenze. Per liberare il popolo iracheno, per emancipare le donne afgane, per proteggere le minoranze kosovare, cosa fare di meglio se non decimarli? Meno sono, e meno gente si troverà a soffrire. In nome della libertà, della civiltà, della democrazia, naturalmente!

Come i venti di guerra che lasciano presagire l'imminenza della deflagrazione, così si infittiscono, sulle commendevoli pagine dei media, ragionevoli inviti a lasciarci guidare dalla ragione. E non dal sentimento. Una Ragione forte, quella della necessità di distruggere il mostro che minaccia l'umanità, e di passare sopra alle remore e alle incertezze che fanno il gioco del "nemico". I soliti, noiosi sillogismi di sempre: se non sei con me sei contro di me, chi ama la pace deve volere la guerra.

Che palle!

Se essere contro l'imperialismo americano era a suo tempo sinonimo di sporco comunista, oggi il contrastare la forza egemonica del più potente degli stati canaglia ci fa diventare tutti degli utili idioti, gli oggettivi alleati del fondamentalismo islamico. Non serve ripetere fino alla noia quali siano le vere ragioni che impongono agli Stati Uniti di intervenire nei deserti arabici, non serve riportare le analisi "petrolifere" dei più prestigiosi esperti al servizio del potere finanziario mondiale, non serve far proprie le considerazioni strategiche che si lasciano scappare i consiglieri della Casa bianca. Quella che si combatterà, come tutte le guerre combattute prima, come tutte le guerre che ci aspettano, non è che la solita battaglia del bene contro il male, della libertà contro la dittatura, della sicurezza contro il terrore.

Che palle!

E ci vorrebbero ancora complici, fedeli e silenziosi sostenitori, di questa macchina di distruzione di massa che è la vera madre di tutti i terrorismi. Vorrebbero che il terrore indiscriminato che colpirà, ancora una volta, le popolazioni civili, trovasse il nostro avallo. Pensando forse che le nuove morti e distruzioni che stanno programmando saranno più leggere, se sostenute anche dal nostro consenso. Il consenso del civile occidente, che porta la libertà e il progresso sulle ali degli Harrier e dei B52, con o senza risoluzioni Onu, con o senza relazioni degli ispettori internazionali.

Che palle!

Ma questo gioco, il gioco dei padroni del mondo e dei signori del petrolio, si fa meno facile. Le deboli certezze affermatesi dopo la fine dei regimi comunisti si vanno via via sgretolando, minate, agli occhi di un'opinione pubblica sempre più incerta, dalla rapacità piratesca del capitalismo d'oltreoceano. Al monopolio ideologico si vorrebbe affiancare il monopolio economico di Wall Street, e questo è un obiettivo che non ha prezzo. È la sua forza, ma anche la sua debolezza.

I movimenti contro la guerra, in Italia e nel mondo, sembrano sempre più consapevoli della partita che si sta giocando. Al pacifismo di maniera, inquinato dalle ambigue istanze della chiesa cattolica (no alla guerra in Iraq ma sì, eccome, a quella dei croati contro i serbi), deve sostituirsi la consapevolezza che la pace si raggiunge solo con la fine degli eserciti. E che finché ci saranno divise e gradi militari, la guerra sarà una costante nelle relazioni internazionali. Alla faccia delle "accorate parole del Santo Padre"!

Questo sabato, anarchici e antimilitaristi, ci troveremo ancora una volta in piazza per manifestare la nostra radicale opposizione alla macchina bellica. A La Spezia, in uno dei maggiori centri dell'apparato militare del nostro paese, porteremo le nostre istanze e le nostre ragioni, le ragioni della irriducibile opposizione alle logiche di guerra e agli strumenti di distruzione di massa. Non solo a quelli di lontani paesi esotici, ma anche, e soprattutto, a quelli di casa nostra.

Massimo Ortalli

 

 


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