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Da "Umanità Nova"
n. 3 del 26 gennaio 2003
L'Italia in guerra
Alpini in Afganistan
Circa 20 uomini, appartenenti al Genio, sono partiti su di un C130 per
l'Afganistan martedì 7 gennaio e rappresentano l'avanguardia (il
cosiddetto advanced party) degli oltre 1000 che dovranno raggiungerli
a breve. In realtà sarebbero dovuti partire in 50, ma ciò
non è stato possibile a causa della mancanza di un aereo militare
che li avrebbe dovuti trasbordare in zone di guerra. Stiamo parlando di
guerra e di azioni di guerra perché è a questo compito che
il parlamento italiano li ha deputati, così come, per altre missioni,
anche sotto egida ONU, sono tenuti a conformarsi. Non intendo fare particolari
distinzioni tra missioni e missioni poiché si rischierebbe di pensare
ad alcune come interventi di pace e ad altre come interventi di guerra.
Solo della seconda si tratta e qui rimaniamo. La missione alpina che ha
provocato molte lacerazioni nel corpo militare dell'Ulivo è la
logica conseguenza bellica alla quale tutte le forze di maggioranza e
minoranza, ad eccezione di Rifondazione comunista, compresi i cofferatiani,
i girotondisti, diedero il loro assenso a seguito degli attentati dell'11
settembre. Che poi si siano divisi successivamente, questo sicuramente
fa parte di giochetti squallidi tra politicanti di mestiere, o di una
conversione tardiva, e poco credibile, alle logiche di pace poste da un
movimento di massa che non ha mai derogato su questo punto. La mia convinzione
è che se ci fossero "ragionevoli presupposti" per un intervento
militare, la stragrande maggioranza di queste forze tornerebbe tranquillamente
alla propria vocazione bellica, tirandosi dietro un pezzo dei movimentisti
di comodo e di poltrona. Se Rifondazione, poi, si salva dal punto di vista
etico-politico nei confronti dell'intervento bellico, non lo fa altrettanto
con i piagnistei sui "nostri" alpini e sul loro ruolo di allegra combriccola
dedita alla pace, alla patria ed alla famiglia. L'impianto militarista
nei comunisti di stato è difficilmente estirpabile, in primis perché
è difficile pensare lo Stato in assenza di un corpo militare e
viceversa: sulla sua, dello stato s'intende, estinzione "naturale" è
la stessa storia che ci ha raccontato esattamente il contrario, a volte
in maniera penosamente tragica.
Ma torniamo al dunque: gli alpini vanno in zona di guerra, al confine
tra Afganistan e Pakistan, all'interno dell'operazione di guerra Enduring
Freedom, sotto il diretto comando del generale americano Dan K. McNeill,
a fare la guerra, ovvero a sparare, ammazzare, o, se gli andasse male,
a lasciarci le penne. Perché, anche se i giornali ne parlano assai
poco, la situazione afgana, dopo l'intervento "liberatorio" statunitense
è a dir poco tragica: gli Usa hanno sganciato, durante, il conflitto
bellico circa 250.000 mini bombe, ovvero 1228 bombe a frammentazione che
hanno rilasciato 248.000 ordigni (fonte Uman Rights Watch). Circa 12.400
di questi ordigni sono attualmente inesplosi. Il 69% delle vittime sino
ad ora identificate sono, se è ancora il caso di ricordarlo, bambini
e bambine. Non dimentichiamo che l'Afganistan è il paese più
minato al mondo: circa 800 chilometri quadrati di territorio. Tra le 150
e le 300 persone saltano per mine ogni mese.
La traduzione di questo significa anche, dal punto di vista economico,
l'impossibilità, se non ad altissimi rischi, di coltivare le proprie
terre. Sul versante politico la situazione non è migliore: è
attualmente in corso una guerra spaventosa tra signori della guerra e
tra fazioni rivali. I militari occidentali di stanza in Afganistan sono
chiamati ad intervenire non solo contro i talebani, ma anche contro le
attuali fazioni in lotta che hanno come obiettivo centrale, tra gli altri,
il controllo e la gestione della nuova suddivisione delle coltivazioni
di oppio che, guarda a caso, non sono mai state toccate dagli interventi
bellici statunitensi ed alleati.
I risultati delle operazioni militari in Afganistan stanno costando
diverse centinaia di morti a tutte le parti (i militari sono quelli che
ovviamente ne subiscono di meno): otto bambini uccisi a Kabul da un mortaio
il 12 dicembre 2002, decine di studenti universitari trucidati l'11 di
novembre perché chiedevano condizioni di vita migliori, due soldati
uccisi in un attentato il 29 dicembre del 2002 e così via. Le donne,
poi, continuano ad essere oppresse e sfruttate esattamente come prima.
Le truppe inviate saranno quelle del 9deg. reggimento alpini, che fa
parte della Brigata Taurinense ed ha base a L'Aquila, mentre gli altri
500 militari faranno parte dei reparti logistici. La sostituzione con
le truppe britanniche avverrà, forse, prima di marzo, data indicativa,
e sarà legata inevitabilmente all'altra guerra, quella in Iraq.
Altri 400 marinai italiani saranno impiegati nel Corno d'Africa, più
precisamente nel Golfo di Aden, davanti alla Somalia, a bordo del cacciatorpediniere
Mimbelli, partito da Taranto mercoledì 15 gennaio. Presidieranno
quelle zone insieme ai francesi, presenti con le fregate Aconit e gli
spagnoli, con la fregata Canaris. Dicono che vi andranno per dare la caccia
ai terroristi, ma noi, nati appena l'altroieri, sappiamo che saranno lì
per presidiare un punto di transito fondamentale per le rotte di petrolio
via mare.
Parlavano di libertà duratura, ma noi non possiamo dimenticare
che di morte e distruzione duratura si tratta e si trattava: e sappiamo
anche un'altra cosa, e cioè che i loro alpini, i loro marinai,
i loro eserciti, dovunque vadano, andranno ad aggiungere crimine al crimine.
Pietro Stara
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