archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 3 del 26 gennaio 2003

Scacco ai lavoratori?
Referendum sull'art. 18: il gambetto di Bertinotti

"In definitiva, Bertinotti ha la possibilità di recuperare un po' dello spazio politico che le iniziative di Sergio Cofferati gli avevano sottratto. E si capisce perché: il tema ha una sua forza persuasiva presso i lavoratori che già erano stati mobilitati contro la riforma berlusconiana dell'art. 18. Come dice Cesare Salvi, il più vicino a Rifondazione tra i diessini, 'è assurdo che il diritto alla tutela del posto di lavoro e all'esercizio delle libertà sindacali sia garantito al lavoratore di una impresa con 16 dipendenti e non a chi ha invece 14 colleghi di lavoro'.
Questa tesi può diventare un'arma tagliente in grado di incidere in modo trasversale gruppi, partiti e nuovi movimenti della sinistra, separando in modo più netto i radicali (o i massimalisti) dai riformisti moderati. E finendo forse per intaccare il carisma dello stesso Cofferati, il quale non intende assecondare il piano di Bertinotti, ma potrebbe avere problemi con una base sensibile agli argomenti ben riassunti da Salvi."
Stefano Folli in "Il Corriere della Sera" del 16 gennaio 2002

Come è noto, il gambetto è una mossa del gioco degli scacchi consistente nel sacrificare un pedone per ottenere una migliore possibilità d'attacco.

Passando dalla metafora scacchistica alla realtà dello scontro politico e sociale si tratta, di comprendere chi sia il pedone e contro chi si è scatenato l'attacco.

Chi legge in questi giorni la stampa del PRC e le dichiarazioni dei suoi dirigenti conosce l'interpretazione di parte prcista: si sacrifica, provvisoriamente, l'unità fra sinistra radicale e la sinistra riformista per scomporre e ricomporre la sinistra stessa e condurre, su di un piano più avanzato, l'attacco contro il governo e la destra.

Si tratta, naturalmente, di un'interpretazione possibile della partita in corso ma, nel caso sia data in buona fede, e non c'interessa, in questa sede, discutere di buona fede, pecca di politicismo.

Il referendum è presentato come lo "sbocco politico" di un movimento di massa che, nel corso dell'anno passato, si è sviluppato contro il tentativo del governo di colpire i diritti dei lavoratori ed, anzi, come il tentativo di dare al movimento un carattere offensivo visto che si chiede di estendere a milioni di lavoratori, che oggi ne sono esclusi, un diritto che il padronato vuole sottrarre a chi già ne gode.

Apparentemente una scelta politica elegante ed appropriata: la destra ha posto al centro dell'attenzione dei lavoratori la questione del reintegro sul posto di lavoro di chi sia licenziato senza giusta causa e sarebbe il momento buono per approfittare di quest'attenzione per rilanciare in avanti. Dalla difesa all'attacco, insomma e, passando dal linguaggio scacchistico a quello calcistico, un esempio di quei contrattacchi ai quali ci aveva abituato, decenni addietro, l'Inter del compianto Helenio Herrera.

Si tratterebbe di approfittare del ripiegamento del blocco sociale avverso per infliggergli un secco colpo e per aprire una campagna nella direzione del vasto mondo del lavoro privo di diritti.

Tutto bene, dunque? A mio avviso non proprio. Vi sono, infatti, due considerazioni generali da fare:

- il referendum è, per definizione, uno strumento, ad essere buoni, ambiguo se si ragiona in un'ottica di classe. Non insisterò troppo, per non tediare i lettori, sul fatto che è assolutamente sbagliato che sui diritti dei lavoratori decidano tutti i cittadini ma non è considerazione di poco conto;

- si offre al padronato ed al governo una possibilità di riaprire una partita, sostanzialmente persa, su di un terreno a loro più favorevole. Una vittoria del no e dell'astensione, infatti, sarebbe un successo straordinario dal punto di vista della destra mentre una vittoria del si è, se non impossibile, decisamente improbabile anche a causa delle divisioni fortissime nella sinistra parlamentare e nei sindacati istituzionali. Quando, insomma, l'onorevole Berlusconi afferma che la sinistra ha voluto la bicicletta ed ora deve pedalare manifesta certo il suo carattere, diciamo così, esuberante ma rischia, questa volta, di avere ragione.

Torniamo un attimo al pedone sacrificato ed all'oggetto dell'attacco del quale stiamo ragionando. È sin troppo noto che, da oltre un anno, la "discesa in campo" della CGIL e del suo leader ha determinato una, relativa, messa ai margini del gioco politico del PRC. Abbiamo, sulle pagine di UN, scritto più volte sulle ragioni di questa deriva e non è il caso di tornare sull'argomento. Il referendum è, con ogni evidenza, stato pensato come strumento per rompere l'accerchiamento e per scomporre il blocco cofferatiano. Oggetto dell'attacco, dunque, è proprio la sinistra riformista. Sin qui nulla di grave, non siamo certo dei supporter del Cinese.

Il fatto, però, è che il pedone sacrificato o, almeno, messo a grave rischio sono, come si ricordava, gli interessi dei lavoratori.

Che Sergio Cofferati abbia patito l'attacco è evidente, per la prima volta si trova schiacciato sulle posizioni della maggioranza DS e della Margherita, per la prima volta la sua base di consenso si divide. La sua risposta, comunque, è stata chiara:

"So di dire una cosa che a molti di voi non piacerà, ma la mia opinione non l'ho mai nascosta: non sono per niente d'accordo con questo referendum... Finisce - spiega il Cinese - per dividere ciò che nel corso di questi mesi con tanta fatica abbiamo unificato" (Da "Il Corriere della Sera" del 17 gennaio 2003)

Naturalmente, nel lessico della sinistra istituzionale, termini come unità e divisione sono, come è noto, di significato problematico. Cofferati divide i DS o unifica un blocco più vasto? Bertinotti divide la sinistra o unisce settori della sinistra istituzionale con i movimenti di opposizione sociale? Ovviamente una risposta a priori non ha molto senso. Il titolo, diciamo così, di unificatore spetta a chi vince la partita e l'esito è ancora decisamente lontano. Per ora, il PRC ha messo un ostacolo sulla marcia trionfale del cinese, ed è la prima volta che gli riesce, ed è rientrato nel gioco politico e mediatico. Un buon risultato che rischia di portare ad una sconfitta secca e difficilmente rimediabile: dipende da come andrà il referendum stesso.

La sinistra "riformista" tenta, ovviamente, di trovare una soluzione al pasticcio determinato dall'approvazione del referendum. Aris Accornero, ad esempio, su "L'Unità" del 17 gennaio 2003 risponde così ad un intervista:

"Quale può essere la via d'uscita?

'Ce n'è una sola, a mio avviso. E consiste: primo, nel rendere la reintegra nel posto di lavoro non più automatica; secondo, nell'estenderla a tutti i lavoratori dipendenti. Penso che questa soluzione risponda allo spirito del referendum e disinneschi allo stesso tempo quello che è stato l'oggetto dello scontro. Oggi la reintegrazione è automatica, non è una decisione del giudice. E ciò è quanto ci distingue dagli altri paesi'.

In pratica?

'È ragionevole che sia il giudice a deciderla e che quindi, caso per caso, possa anche decidere di applicare altre soluzioni alternative, come il risarcimento. Avere un meccanismo non automatico, ma esteso a tutto il lavoro dipendente è la sola via per fare un passo avanti nelle tutele. Senza toccare i principi'."

Ovviamente "senza toccare i principi" il buon Aris Accorsero sta proponendo di rendere possibile il licenziamento senza giusta causa in tutte le aziende e la sostituzione del reintegro con un risarcimento monetario visto che difficilmente un giudice potrebbe sanzionare un padrone con la fustigazione. Un buon esempio di rovesciamento dialettico e di tentativo di dimostrare alla Confindustria che la sinistra può essere più affidabile della destra.

Più ragionevole è Bruno Trentin sempre su "L'Unità" del 17 gennaio 2003 quando afferma che: 'Nella piccola azienda, sotto i quindici dipendenti, bisogna riconoscere francamente che i rapporti sono generalmente molto diversi tra imprenditori e lavoratori. Allorché si deteriorano, anche per colpa dell'imprenditore, rimane assai difficile immaginare una convivenza in un'unità produttiva così ristretta. Quindi vanno ricercate altre sanzioni, anche molto pesanti, ma che non comportino il reintegro'.

Almeno il nostro eroe del sindacalismo non propone di allargare il licenziamento senza giusta causa alle imprese medio grandi. D'altro canto dimentica, dimentica?, che il decentramento produttivo e lo sviluppo del lavoro "anomalo" hanno determinato l'esclusione dal comparto normato della produzione di una massa crescente di salariati. In altri termini, le piccole imprese delle quali parla non sono il prodotto fisiologico dello sviluppo del capitalismo italiano ma il prodotto di un processo di esternalizzazione di settori della produzione che dura da decenni. La sua vera preoccupazione è, con ogni evidenza, un'altra ed emerge nel prosieguo dell'intervista:

"Che cosa comporta l'iniziativa referendaria che intende estendere l'articolo diciotto ovunque? 'Voler tirare in ballo i milioni di piccolissimi imprenditori italiani in questa partita, dà l'impressione di una risposta vessatoria dei proponenti il referendum, rispetto all'attacco che è stato portato dal governo e dalla Confindustria. Sarebbe necessario, invece, rispondere al governo e alla Confindustria, per esempio con un referendum che abolisse - qualora fosse riconfermata - la legge delegata che prevede un'esenzione per l'articolo diciotto nelle aziende sotto un certo numero di dipendenti. Invece di fare questo s'investe una marea di piccoli e piccolissimi imprenditori che tra l'altro non hanno mai sollevato il problema contro l'articolo diciotto'."

Si tratta, insomma, del tradizionale rapporto cauto della sinistra nei confronti del piccolo padronato considerato un possibile interlocutore sociale e, soprattutto nelle regioni "rosse" vera e propria base elettorale dei DS.

Che la crisi della sinistra sia di non facile soluzione è, comunque, evidente e, probabilmente, se non si troverà una "soluzione" non potrà che aggravarsi nei prossimi mesi. Il PRC dovrebbe, a breve, vedere accrescersi la sua area di influenza grazie alla campagna referendaria.

Innegabilmente l'opposizione sociale si trova in una situazione delicata. Ci piaccia o meno, il referendum c'è. La scomposta campagna della destra e della sinistra "riformista" contro il PRC finiranno per favorire una polarizzazione fra due schieramenti che lascerà poco spazio ad una critica della logica referendaria stessa. Si tratterà, di conseguenza, di cogliere il referendum come occasione per una campagna contro la precarizzazione del lavoro non appiattita sulle posizioni parlamentari. Un passaggio difficile ma possibile. Dovremmo ragionare assieme su come praticarlo.

Cosimo Scarinzi

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it