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Da "Umanità Nova" n. 4 del 2 febbraio 2003

Un ponte per... Davos!
III Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre

Il III Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (23-28 gennaio 2003) si apre all'insegna di una apparente schizofrenia: da una parte, l'arroganza criminale della globalizzazione militare che opprime e reprime in ogni angolo del pianeta con qualunque strumento a disposizione (lo sterminio per fame, per malattie, per armi lecite e meno lecite, per disoccupazione e inoccupazione); dall'altro, un movimento che va diffondendosi su scala globale cercando faticosamente di reggere i luoghi del nord e i luoghi del sud in una comunicazione esplorativa di conoscenza non eurocentrica e foriera di interessanti sviluppi.

Porto Alegre stona in questa situazione maledettamente pericolosa per le sorti del pianeta, sempre più asfissiato dai veleni della politica e dell'economia capitalista. Stona perché il percorso che determina il Forum è sempre più ristretto nelle mani di pochi autodenominatisi Consiglio internazionale, per lo più francesi di Attac e ospiti brasiliani legati al Partito di governo. E così il neo-Presidente Lula apre Porto Alegre e chiude Davos! Lo spettacolo comunicativo esige un missionariato laico che mira alla conversione dei "malvagi capitalisti" di Davos, officiato magari dal deus ex machina della politica criminale, quell'Henry Kissinger a cui era stato addirittura offerto di presiedere la Commissione Verità sull'11 settembre.

In realtà, il Forum Sociale abbandona il Brasile per approdare verso altri itinerari (il IV nel 2004 sarà in India) proprio nel momento in cui la politica tradizionale si gioca dappertutto le sue carte per non dissolversi a fronte dei movimenti di base che, in modo acentrato, scompaginano continuamente i giochi dei vari leaderini e organizzazioni in cerca di egemonia, mobilitandosi dappertutto ove necessario, per far sentire una voce fuori dal coro, al di qua delle forme prescelte.

A fronte della morsa militarista e del ricatto economico - che continua nei negoziati semi-clandestini del Wto in vista del Vertice di Cancun nel prossimo settembre, in cui saranno in gioco i servizi sociali (istruzione, sanità, risorse idriche, ad esempio) e in cui già i paesi meno forti stanno subendo pressioni di ogni tipo per piegarsi ai diktat degli Usa, dell'Unione Europea e degli altri stati forti, insieme alle lobby imprenditoriali e finanziarie - il III Forum sociale si pone l'intento di darsi una coesione organizzativa globale, come se per fronteggiare poteri forti a livello planetario sia obbligatorio scendere sul loro terreno e costituire una Planetaria dei movimenti (definizione indubbiamente suggestiva di Riccardo Petrella) e non invece tessere una vischiosa rete globale di progettualità alternative e sperimentalmente praticabili che siano radicali e radicate sui territori non ridotti a propaggini frattali di un unico modello di terra.

Se osserviamo poi il livello di progettualità politica, la presenza di interi segmenti di istituzioni dei poteri statuali di cui si alimenta il dominio del pianeta (ossia, partiti di governo e di opposizione, sindacati di stato, associazioni dalla vocazione al business umanitario, ecc.) non può che risultare sconfortante per illudersi che dal quel pensatoio possa solamente articolarsi una proposta di dissoluzione globale dell'ordine mondiale, che al limite verrà ammorbidito e riformato in alcune delle sue propaggini più impresentabili.

Forse, la pratica dei Forum globali va accettata per quella che è: messa-in-scena speculare dei Vertici istituzionali, e quindi proto-istituzioni prefiguratrici di una politica para-tradizionale sulla quale interrogarsi e dalla quale sfuggire senza smarrire il legame sociale con la marea di individui che in mancanza d'altro le evoca e le esalta oltre misura. Per non parlare della palestra di emergenza di nuove élite di potere, come da sempre insomma.

Tuttavia l'errore di esiliarsi dal movimento in senso lato è una tentazione ricorrente in dinamiche autoreferenziali che preferiscono un dialogo in famiglia ristretta, piuttosto che lanciarsi nel mare aperto senza ormeggi di sorta per sfidare se stessi a offrire soluzioni (provvisorie, graduali diremmo noi) realmente alternative alla istituzionalizzazione del movimento stesso. Questa è la reale posta in palio che va giocata luogo per luogo, mutuando modelli e esempi presenti in ogni parte del pianeta laddove resistenza e sguardo utopico si coniugano per tracciare il diagramma di una società differente a partire dai legami reciproci tra individui e degli individui con le cose materiali e immateriali con cui entriamo in relazione quotidianamente. Da questa forza muoverà una pratica politica di opposizione alla militarizzazione crescente delle società planetarie in cui le organizzazione libertarie saranno componente intelligente accanto e con propri spazi alle altre, meticciando idee e esperienze con uomini e donne di ogni luogo al di là di ogni distinzione di sesso e di etnia.

Salvo Vaccaro

 

 

 


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