Da "Umanità Nova"
n. 4 del 2 febbraio 2003
Giochi sporchi tra potenti
Guerra all'Iraq: gli USA e l'Europa
Berlusconi l'ha detto, o meglio gli è scappato [1],
chiaro: "l'Italia si muoverà nella crisi in Medio oriente secondo
le risoluzioni....degli Stati Uniti!"
Un pronto consigliere suggerisce a bassa voce "dell'ONU, dell'ONU" e
l'ineffabile "nano", troppo imbarazzato per sfoderare la sua sorriso-paresi
abituale, ripete "dell'ONU... scusate è stato un lapsus".
Ovviamente si ride per il ridicolo ma da ridere c'è ben poco,
visto che la guerra in Iraq, che come alcuni suggeriscono non è
mai finita, avrà la sua escalation bellica in ogni modo e fra non
molto.
È lo stesso Richard Haass a spiegarcelo durante il recente Forum
Economico Mondiale di Davos; "Voglio sperare che alla fine saremo capaci
di creare una posizione di consenso all'interno del Consiglio di Sicurezza
per fare ciò che è necessario per disarmare l'Iraq." e continua
"Ma, se questo si dovesse rivelare impossibile e se il presidente (Bush)
lo decidesse, allora state certi che saremmo pronti a mettere insieme
una coalizione di chi ci sta che sarà la più ampia possibile".
L'arruolamento dell'Italica patria al servizio della Casa Bianca non
è una novità, risulta invece meno scontato il NO dell'asse
franco-tedesco, recentemente ribadito sulle scene mediatiche e politiche
europee e internazionali.
Mentre Berlusconi preoccupato dichiara: "Quello che vogliamo non avvenga
è una frattura tra UE e Stati Uniti. Sarebbe una iattura" [2],
si aggiungono alla lista dei più "cauti" la Cina, la Russia e le
dichiarazioni del ministro degli Esteri canadese, Bill Graham, che ha
convenuto con Francia e Germania affermando "in questa fase una guerra
non sarebbe giustificabile" [3].
Sgombrato il campo dai possibili fraintendimenti destra-sinistra sulle
scelte congiunte del neogollista Chirac e del socialdemocratico Gerhard
Schroeder, trasversali agli schieramenti politici istituzionali, rimangono
in ballo le uniche questioni realisticamente significative: gli interessi
intercapitalistici e gli equilibri internazionali dell'occidente nell'era
della "guerra globale e preventiva".
La fine della Guerra fredda ha reso le alleanze cosiddette storiche
più instabili di quanto si pensi, perché se da un lato i
rapporti di forza conducono a fronti più o meno compatti (vedi
ex Jugoslavia o Afganistan) all'interno del Patto, è pur vero che
le perenni crisi capitalistiche che ciclicamente imperversano necessitano
di espedienti tutt'altro che unificanti.
Si può leggere così questa gelata politica che pare contrapporre
almeno due interessi diversi: da una parte le potenze regionali interessate
a rinegoziare o rinsaldare il controllo occidentale sulle risorse energetiche,
consentendo ai paesi europei - possibilmente coordinati nell'Unione Europea
- di avviare un proprio approccio stabilendo e rinforzando i propri interessi
con i paesi petroliferi medio orientali considerati nemici dagli Stati
Uniti come appunto l'Iraq o l'Iran; dall'altra l'asse anglo-americano
che procede in modo spasmodico verso l'accaparramento del maggior numero
di territori e risorse da controllare e gestire, non solo come approvvigionamento
e risalita economica-finanziaria (gli USA attraversano da ormai un decennio
una crisi interna fortissima che è culminata proprio in questi
ultimi anni ed in particolare con la stellare guerra al terrorismo post
11 settembre), ma ancora più strategicamente come rallentamento
e ostacolo alla neonata Unione Europea guidata proprio dall'asse franco-tedesco
e da un invidiabile primato dell'Euro sul dollaro [4].
Ed è proprio di "approccio" che si può parlare rispetto
all'uso della guerra come soluzione adottata dai vari potentati in gioco.
Nessuno può credere a Gerhard Schroeder quando durante la cerimonia
tedesca per le celebrazioni del quarantesimo anniversario del Trattato
di riconciliazione franco-tedesco ha affermato: "...la Germania non può
sostenere la legittimazione della guerra, non bisogna mai accettare che
una guerra sia inevitabile, la guerra non è mai inevitabile", o
a quella sorprendente "saggezza", rivendicata alla UE, con cui il pacioso
Prodi ha risposto al segretario della Difesa americano che accusava l'Europa
d'essere "vecchia".
D'altronde le politiche guerrafondaie dei vari paesi europei sono storia.
È piuttosto vero che, in mancanza di una forza d'urto bellica
e di un coordinamento politico effettivo, i paesi dell'Unione Europea
difficilmente potranno competere con le politiche guerrafondaie degli
USA, in una sorta di "equilibrio" dentro lo scacchiere occidentale.
Rispetto ai giochi sporchi dei vari potentati rimangono pesanti come
macigni le lacune di un'opposizione alla guerra che aldilà di fare
"opinione pubblica", senza togliere l'importanza che questa può
suscitare rispetto le varie politiche belliciste governative, non riesce
ancora ad individuare una pratica comune ed incisiva.
In questa direzione sempre più urgenti possono apparire vere
e proprie "diserzioni sociali" come un grande, ampio e prolungato sciopero
generale contro la guerra ed il boicottaggio diffuso dei mezzi e dei luoghi
della macchina bellica come le ferrovie, i trasporti, le industrie d'armi
e le istituzioni preposte a sancire bombardamenti e massacri.
Stefano Raspa
Note
[1] "Quel lapsus di Berlusconi sulla guerra", Editoriale del 24 gennaio
di Radio Città Aperta
[2] La repubblica, 24 gennaio 2003
[3] La repubblica, 23 gennaio 2003
[4] Dollaro che nei confronti dell'euro ha toccato quota $1,0734, i minimi
dall'ottobre 1999. Fonte www.Wallstreetitalia.com
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