Da "Umanità Nova"
n. 4 del 2 febbraio 2003
Colombia 2003-2007
Tra repressione e miseria
La rottura dei dialoghi fra i FARC e il governo nazionale, avvenuta
nel febbraio del 2002, comporta nuovi scenari di confronto armato, nei
quali i contingenti militari delle parti si stanno definendo con vari
tipi di azione. Il governo adotta una nuova strategia per far fronte ai
gruppi armati illegali, contando anche sugli aiuti statunitensi di cooperazione,
aiuti che inizialmente erano destinati a portare avanti la lotta al narcotraffico.
Da parte loro i FARC sviluppano una tattica di destabilizzazione dei governi
locali e dipartimentali, minacciando a compiendo attentati contro funzionari,
sindaci e governatori, tentando in questo modo di far regredire l'apparato
istituzionale e così convertirsi in gruppo egemonico.
Nel groviglio delle statistiche
Fin dalla metà degli anni 90 i gruppi paramilitari e la guerriglia
si disputano la presenza territoriale in varie regioni del paese considerate
strategiche dell'interno e in particolare dell'"asse del Caffè",
ove vengono segnalate violazioni dei diritti umani. Secondo i dati del
Ministero della Difesa, sono circa 32.000 i membri delle organizzazioni
sovversive e quelli delle organizzazioni paramilitari che operano nel
paese: 16.980 dei FARC, 4.065 dell'ELN e 10.520 dei gruppi paramilitari.
Nel Rapporto Annuale sulla situazione dei Diritti Umani del Comitato
permanente di difesa dei D.U., viene segnalato che nel 2001 vi furono
"633 massacri, con 3.043 vittime (...) e 735 persone sono scomparse forzosamente".
In esso si calcola che fra il 1992 e il 2001 siano state sequestrate 20.726
persone, dei quali si presume il 53% da attribuire alla guerriglia e il
44% alla delinquenza comune. Allo stesso modo, i gruppi paramilitari sono
i presunti autori del maggior numero di omicidi politici con il 77% nel
2001.
Anche il Ministero della Difesa ammette nel suo rapporto del 2001 che
sia i gruppi sovversivi che quelli paramilitari hanno commesso massacri.
Il 64,1% (281) delle vittime - sempre secondo questa fonte - sono morte
in 42 di questi fatti violenti ad opera dei paramilitari, mentre il 35,9%
è caduto nel corso dei 25 realizzati dalla sovversione.
Secondo i dati presentati da Amnesty International "Le statistiche anche
del solo 2001 sono allarmanti: più di 4.000 civili sono morti,
la maggior parte dei quali per mano dei paramilitari spalleggiati dall'esercito;
decine di migliaia sono i profughi, e più di 1.700 persone sono
state sequestrate principalmente dai gruppi della guerriglia." La premessa
di AI indica che "la situazione dei diritti umani si sta deteriorando
nel 2002", più di 60.000 sono state le vittime del conflitto armato
colombiano dal 1985. Attualmente, secondo lo stesso Rapporto, vi è
una media di 20 morti al giorno.
Una "tregua" che non ha fermato la violenza
D'accordo con le cifre registrate dall'Osservatorio dei Diritti Umani
della vicepresidenza della Repubblica, si nota un incremento considerevole
delle azioni militari dei FARC durante l'anno 2001, mentre: "le vere e
proprie azioni di confronto, così come i contatti armati intrapresi
su iniziativa delle Forze Armate per combattere le organizzazioni al margine
della legge, aumentarono in maniera notevole nel 2001 e superarono per
numero le azioni partite su iniziativa di ciascuno dei gruppi armati illegali".
Da queste informazioni possiamo concludere che, mentre si sviluppava una
strategia di dialogo fra Governo e FARC, le azioni militari dei cosiddetti
dialoganti si incrementarono, specialmente nei momenti di maggior crisi
del processo di dialogo, il che fa constare la poca serietà delle
parti verso la ricerca di una soluzione politica e di negoziato volta
a risolvere il conflitto sociale e armato.
Comunque si deve registrare un fatto importante nel 2001, frutto dei
dialoghi Governo-FARC: la liberazione di 373 militari e combattenti privati
della libertà da entrambe le parti. Il che può essere considerato
come il fatto più importante del processo di dialogo. Allo stesso
modo sono da mettere in risalto gli sforzi umanitari dell'ELN, come la
liberazione di poliziotti, soldati e civili sequestrati. I contatti fra
governo e ELN si sono sviluppati in vari momenti: Conversazioni di Caracas,
Incontro di Ginevra, Conversazioni all'Avana, firma del primo Accordo
per la Zona d'Incontro; rottura del processo; Seminario di Stoccolma e
Ginevra; nuove conversazioni all'Avana; firma dell'Accordo per la Colombia;
Summit della Pace; Agenda di Transazione e rottura definitiva.
Le strategie governative
Il presidente Uribe Valez ha dichiarato lo "stato di Allerta Interno"
e per sostenerlo ha emesso una serie di decreti che permettono al governo
di portare ad esecuzione eccezionali strategie di "sicurezza democratica",
fra l'altro, creando delle "zone di Riabilitazione e Consolidamento",
per cominciare nei municipi di Sucre, Arauca e Bolivar. Allo stesso tempo
ha messo in moto la tassazione per la "Sicurezza Democratica". Queste
strategie cercano di aumentare la capacità operativa della Forza
Pubblica in regioni considerate ad alto rischio ed aumentare le finanze
che garantiscono la continuità di queste azioni. E già sono
arrivate le denunce delle organizzazioni dei diritti umani sugli abusi
e le violazioni dei diritti e delle libertà degli abitanti delle
regioni ove queste politiche sono portate avanti.
Una recente indagine conclude che la percezione che si ha dei gruppi
armati illegali viene interpretata dalla maggior parte dei media attraverso
azioni terroristiche, e che la possibilità di negoziati politici,
nell'opinione pubblica generale, è vista come una debolezza dello
Stato di fronte a questi gruppi. Questa tendenza, convogliata dai mezzi
di comunicazione, rende più difficile la ricerca di soluzioni politiche
negoziate ed ha generato un'opinione pubblica convinta che l'unica via
d'uscita dall'attuale situazione è la guerra totale, precisamente
quella avanzata dal presidente Uribe.
La possibilità del "Cambio Umanitario" cui danno impulso diversi
settori della società civile colombiana e il Congresso della Repubblica;
i cosiddetti dialoghi regionali, realizzati con l'espressa autorizzazione
del Governo nazionale; la sollecitudine dei "buoni uffici" o "mediazioni"
realizzate dal presidente Uribe alle Nazioni Unite; gli approcci esplorativi
del Governo coi capi paramilitari per dare inizio ad un processo di pace...
insomma, tutte queste aspettative rappresentano un orizzonte molto incerto
che non permette di distinguere un percorso verso la pace.
Misure repressive
Come se non bastasse, il Governo ha contenuto per decreto l'aumento
del salario minimo fissandolo al 7,1% con un atto di profondo cinismo,
che comporterà l'aumento dell'impoverimento delle condizioni di
vita dei lavoratori del paese. Le politiche sfacciatamente neoliberali
incoraggiate senza nessuna considerazione dal governo del presidente Uribe
prevedono la perdita del posto di lavoro di altri 20.000 dipendenti statali
ed il congelamento dei salari di quanti avranno la "fortuna" di non essere
licenziati.
I leader delle organizzazioni sociali e sindacali continuano ad essere
assassinati, minacciati, deportati o esiliati, sia ad opera delle organizzazioni
degli insorti che per mano dei gruppi paramilitari i quali nelle loro
incontenibili scaramucce hanno preso la popolazione civile come principale
terreno d'azione. Soltanto fra il giugno 2001 e il dicembre 2002 sono
stati assassinati 194 leader sindacali. Le politiche di "sicurezza democratica"
sostenute dall'attuale governo hanno consegnato ampie zone del paese alla
sfrenata azione delle forze armate, creando uno status speciale che è
l'evidenza più grave dell'impunità rispetto alle azioni
denunciate dalle organizzazioni nazionali e internazionali dei diritti
umani dei crimini commessi dalla forza pubblica. Le perquisizioni alle
sedi delle organizzazioni dei diritti umani e di pace, in questi mesi
dell'era Uribe, sono in continuo crescendo. Loro membri sono stati imprigionati
con l'accusa di essere ausiliari dei gruppi insorti.
Uribe pretende di farla finita con qualunque tipo di opposizione: gli
stessi autori di questo scritto hanno ricevuto minacce telefoniche a casa
loro e nei luoghi di lavoro, ed hanno denunciato di essere oggetto di
pedinamenti. Un simile panorama lascia intendere che ancora a decine i
leader delle organizzazioni sociali saranno assassinati o costretti all'esilio.
Manovre economiche
Il panorama economico è anche più allarmante: la nuova
riforma fiscale approvata dal congresso nel dicembre 2002 incrementa in
maniera incomprensibile il carico fiscale, specialmente dei lavoratori
e delle piccole imprese, impone l'IVA al 7% sui prodotti di consumo familiare,
i combustibili sono andati aumentando a cadenza mensile, i costi dei servizi
pubblici sono saliti anche del 30% colpendo gli strati più poveri
della popolazione, ed i trasporti hanno subito aumenti del 15%. Si è
consolidato il processo di monopolio dei trasporti da parte di imprese
private, specialmente a Bogotà, con l'ampliamento del cosiddetto
"Sistema Transmillennio", che consiste nel privatizzare le principali
vie pubbliche con il transito esclusivo di veicoli di una compagnia privata:
gli incassi vanno nelle tasche dell'impresa ma i cittadini pagano le imposte
per il mantenimento della rete viaria collegata, che consente il funzionamento
del sistema.
Molti studi sono stati dedicati a dimostrare gli alti costi economici
della guerra: si calcola che incida per un 10-15% sul prodotto interno
lordo, se non vi sono soluzioni politiche, mentre scenderebbe allo 0,4%
se i negoziati portassero ad un accordo entro il 2005.
Oltre alle risorse raccolte con le nuove imposte dedicate alla guerra,
il governo ha potuto contare su 800 milioni di dollari "donati" nell'anno
2002 dal governo degli Stati Uniti per portare avanti la sua propria guerra
in territorio colombiano. Un elicottero Black Hawk costa 3 milioni di
dollari, cioè 9.000 milioni di Pesos colombiani, ed il governo
ha comprato 12 di questi apparecchi! Con questi soldi soltanto, senza
contare le altre spese militari, si sarebbe potuta avviare ad una soluzione
la situazione dei circa 3 milioni di profughi che vagano per il paese.
Oltre il 40% del bilancio nazionale è destinato al pagamento
degli interessi del debito estero, a scapito degli investimenti per l'educazione,
la salute, i trasporti, l'impiego, la casa ecc. Il 62% dei 46 milioni
di colombiani vive in povertà e circa 6 milioni si dibattono tra
la miseria e l'indigenza.
In questo contesto, stiamo lanciando a livello nazionale una campagna,
iniziata già da qualche anno, di obiezione fiscale alle spese militari,
tentando nell'anno in corso di coinvolgere su un'ampia piattaforma altre
organizzazioni sociali: "Disarma le tue imposte e facciamo i conti". I
soldi non versati allo Stato dovranno essere convogliati su un Fondo Nazionale
di Obiezione Fiscale alle Spese Militari, che li utilizzerà per
precisi obiettivi a carattere sociale nella piena trasparenza della gestione
dei fondi.
Amigos de la AIT - Colombia
(ricevuto tramite IFA, trad. Aenne)
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