![]() Da "Umanità Nova" n. 5 del 9 febbraio 2003 Contro la guerra sciopero generale!Sui muri di Piazza Castello, a Torino, fra le mille scritte di varia natura che adornano l'ambiente urbano, se ne può leggere una che attacca il governo degli Stati Uniti per la lentezza con la quale sta affrontando la guerra irachena. L'autore del graffito invoca, insomma, un attacco immediato e la fine di un'attesa intollerabile. Una provocazione? La voce di un fascista occidentalista radicale? Una goliardata? Certo una voce dissonante fra le mille invocazioni di pace, fra i molti, troppi, discorsi "pacifisti" che suonano troppo spesso come una copertura alla guerra. Come sovente capita, un'affermazione demenziale pone un problema reale. Nei fatti, la guerra c'è già. Non mi riferisco, evidentemente, al macello previsto della popolazione irachena la cui principale colpa è quella di subire il dominio di una dittatura che è stata, prima, sostenuta dalle democrazie occidentali e, poi, posta nel ruolo di stato canaglia. L'Iraq, infatti, è sempre disponibile ad essere bombardato e il governo americano può permettersi di scegliere il momento per passare dalle parole ai fatti. La guerra in corso è quella "vera", quella che oppone il governo americano ai suoi partner europei, quella per "disciplinare" il regime saudita, quella per definire gli alleati "fedeli" e quelli "infedeli". Dentro questa guerra, l'attacco militare diretto all'Iraq è solo un passaggio, probabilmente necessario, ma, in ogni caso, solo un momento di quella nuova guerra dei trent'anni che il governo USA ci ha promesso. Dunque, gli USA, possono essere "lenti" e risolvere, o cercare di risolvere, le contraddizioni che crea loro la resistenza dell'asse franco - tedesco e la predicazione "profetica" del Papa. Riteniamo sin troppo evidente che la scarsa disponibilità dei governi di Parigi e Berlino a fare da portaborse per quello statunitense non ha nulla a che vedere con il rifiuto della guerra, le élite europee che puntano su di un duopolio nel governo del mondo non possono vedere di buon occhio la pretesa statunitense di imporre un monopolio del potere economico, politico e militare. Considerazioni analoghe si possono fare per la chiesa cattolica che non desidera essere coinvolta in una guerra di religione e schiacciata dall'egemonia di un gruppo di potere essenzialmente protestante. Le contraddizioni fra stati ed élite, insomma, giocano un ruolo importante, un ruolo che, in ogni modo, taglia fuori, per l'essenziale coloro che della guerra interna e della guerra esterna sono e saranno le vittime e l'oggetto. Per quanto riguarda l'Italia, il nanesco presidente del consiglio che la sorte ci ha mandato si è affrettato a garantire che il suo governo è un alleato fedele degli Usa ed è giunto al punto di fare da commesso viaggiatore degli USA nella costruzione di una nanesca confraternita degli "alleati fedeli" sul vecchio continente. Siamo quindi, ci piaccia o meno e certo non ci piace, ancora una volta in prima linea. E da questo dato di fatto dobbiamo partire. Di fronte alla guerra, ed è bene non dimenticare che truppe italiane sono già collocate sul fronte balcanico, su quello afgano e su altri, il quadro politico e sociale si è mosso. Vi è una tradizionale ostilità della popolazione alla guerra ma, a questo proposito, mi permetto di citare le parole di un esperto in mattanze: "Naturalmente la gente non vuole la guerra. Perché un povero
diavolo di una fattoria dovrebbe voler rischiare la propria vita in una
guerra quando al massimo ne può guadagnare di tornare alla sua
fattoria tutto intero? Ed effettivamente, da qualche giorno, leggiamo sui giornali di gruppi di terroristi islamisti che stanno per "attaccarci". Anche sul patrio suolo, insomma, la guerra è cominciata. Si tratta, è ovvio, di una guerra affatto particolare giacché il nemico è uno stato canaglia che sostiene il terrorismo e che l'esistenza del terrorismo e la sua scoperta per opera dei "nostri" gloriosi segreti è la prova che lo stato canaglia ci ha attaccato. Tutto si tiene, insomma, e sarà facile alla propaganda di regime convincere il buon popolo che "noi" ci stiamo solo difendendo in una guerra di civiltà fra l'occidente democratico e cristiano e un blocco criminale di islamisti. D'altro canto, in Italia il fronte "pacifista" è oggi certamente più largo che in passato e tende a coincidere con il blocco antiberlusconiano con qualche sfondamento a destra, visto l'atteggiamento della chiesa cattolica. Si tratta di un fronte fragile, ambiguo e contraddittorio, questo è evidente. Soprattutto si tratta di un fronte che può facilmente scomporsi sia nella società, se qualche opportuno attentato islamista provvedesse a convincere i tiepidi della necessità della guerra, che nel sistema dei partiti se settori della sinistra con l'elmetto ricoprissero, ed io credo che lo faranno, la "dolorosa necessità" di porre gli "interessi nazionali" al di sopra di ogni altra considerazione. Si tratta, allora, di individuare su quale percorso l'opposizione alla guerra, l'opposizione senza se e senza ma per riprendere uno slogan di moda, potrà svilupparsi. Vi è, se questo è il problema, un passaggio politico centrale e per noi ineludibile: lo sciopero generale contro la guerra. Si tratta di passare dalla pur necessaria mobilitazione di piazza, dalla propaganda, dal chiarimento teorico di come il nostro internazionalismo non abbia molto a che vedere con il pacifismo generico e nulla con il pacifismo con l'elmetto all'azione diretta. E si tratta di farlo sul serio, preparando lo sciopero generale, concentrandoci su questo obiettivo, coinvolgendo tutte le forze sociali, politiche e sindacali disponibili, valorizzando quanto si fa più di quanto si dice. Lo sciopero, infatti, sarà di una difficoltà spaventosa. Dobbiamo mettere in conto il fragoroso silenzio dei media, le minacce delle aziende, la normativa antisciopero nel settore pubblico, le sanzioni legali che potranno colpire gli scioperanti, la necessità di scendere in piazza immediatamente nel maggior numero possibile di città. Dobbiamo preparare lo sciopero, essere presenti in tutte le situazioni nelle quali sarà possibile far sapere che il sindacalismo di base lo ha stabilito, discutere con i colleghi di lavoro, con i militanti politici e sindacali che conosciamo, convincere coloro che, legittimamente, temono le rappresaglie aziendali, pensare a forme concrete di solidarietà se vi saranno sanzioni e vi saranno. Siamo, insomma, di fronte ad un compito assolutamente difficile ma anche ad una possibilità di sviluppo vero e serio dell'opposizione sociale, su contenuti qualificanti. In questi anni si sono sviluppate forze notevoli dal punto di vista della sensibilità pacifista, antimilitarista, internazionalista. Queste forze non sono, non possono essere, politicamente e culturalmente omogenee. La campagna per lo sciopero generale può servire anche, non solo né principalmente ma anche, a chiarire le posizioni, a sviluppare contraddizioni fra i settori del blocco antiberlusconiano politicisti ed istituzionali e quelli che esprimono livelli reali di radicalità. Ma se questo obiettivo ci interessa, non si realizza dando lezioni ma facendo proposte reali ed agendo di conseguenza. Hic Rhodus, hic salta Cosimo Scarinzi
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