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Da "Umanità Nova"
n. 5 del 9 febbraio 2003
Fiat: verso soluzione gattopardesche
Tutto cambia, nulla muta
Quasi ogni settimana compare qualche nuova ipotesi nell'evoluzione
della crisi Fiat. Solo in gennaio sono spuntate dal cilindro tre iniziative
di intervento nel capitale di Fiat, analizzate, digerite e bocciate ognuna
nel volgere di pochi giorni.
La prima ipotesi era legata a Colaninno. Ricco di dote, sfaccendato
da oltre un anno, amico della sinistra, del centro e ora anche della destra
politica, il mantovano aveva proposto di entrare con un miliardo di euro,
in un quadro concertato con la famiglia, le banche e la GM, che avrebbero
dovuto tutti metterci a loro volta un po' di soldini, nel caso degli Agnelli
vendendo parecchie partecipazioni pregiate (Toro e Fiat Avio in primis).
L'ex-scalatore di Telecom chiedeva però molto: la carica di Amministratore
Delegato e di Vice-Presidente, mano libera nella gestione, un ridimensionamento
della gamma prodotti, un patto di sindacato di lunghissimo periodo con
gli altri soci, la sostanziale estromissione della famiglia dalla gestione
del gruppo. Bocciato.
Fuori Colaninno, è spuntata la pista del suo ex-socio in Telecom,
Emilio Gnutti da Brescia. Gnutti ha una finanziaria che si chiama Hopa,
piena di soldi e di soci prestigiosi, una vera fucina di iniziative, un
po' speculative, un po' imprenditoriali. Anche qui appoggi politici trasversali,
dalla finanza rossa dell'Unipol e del Monte dei Paschi, al giro buono
del Presidente del Consiglio, passando per i solidi appoggi della vecchia
Mediobanca. Grande stratega, Gnutti sa come muoversi senza pestare i piedi
ai poteri forti: per non sfidare Banca d'Italia, rinunciò di buon
grado all'ingresso in Bipop per lasciare campo libero a Capitalia. La
sua proposta di entrare in Fiat è stata molto discreta: offerta
di 3 miliardi di euro, nell'ambito di una scissione e quotazione in borsa
del settore auto, con Luca di Montezemolo presidente. Questa ipotesi era
già più digeribile della proposta Colaninno, perché
Gnutti faceva solo un intervento finanziario, senza la richiesta di comandare
e gestire. Ma evidentemente ogni cambiamento dell'azionariato che rischia
di diluire il controllo del tandem Agnelli-GM, per mettere le mani su
Fiat a questi prezzi, viene scartato a priori. Infine, subito dopo la
tumulazione della salma dell'ultimo monarca torinese, è spuntata
la pista svizzera. Tale sinora sconosciuto Silvio Tarchini, imprenditore
del Canton Ticino venuto su con una catena di outlet, si è proposto
per intervenire in Fiat come rappresentante di una cordata di non meglio
identificati imprenditori svizzeri. Ipotesi bocciata nelle prime 24 ore.
Alla fine il percorso di ricapitalizzazione di Fiat si è avviato
su binari più consueti, con procedimenti più controllabili
da parte degli attuali proprietari del gruppo. L'assemblea della Giovanni
Agnelli & c. sapa si è svolta in sei minuti dopo che l'Avvocato
era morto da meno di un'ora: sono state formalizzate le due decisioni
maturate nei giorni precedenti nei conciliaboli svoltesi tra i 150 membri
della mastodontica famiglia, cioè nominare Umberto Agnelli alla
Presidenza del Gruppo nella prossima primavera (pensionando Fresco) e
ricapitalizzare la società con 250 milioni di Euro (che sfruttando
l'effetto leva faranno arrivare a Fiat, tramite Ifi e Ifil, circa un miliardo
di euro, realizzando la ben nota e ultraterrena moltiplicazione finanziaria
dei pani e dei pesci). Questo è quanto la famiglia si sente di
fare per tenere su Fiat Auto fino alla prossima tornata: il resto compete
agli altri attori. La fitta ripresa di negoziato con GM dovrebbe aver
convinto gli americani a mettere mano al portafoglio, a certe condizioni
ancora da definire: si parla di una scissione di Fiat Auto con annessa
quotazione diretta in borsa, un intervento di GM teso a salire fino al
35-40% (dall'attuale 20%), con versamento di una cifra vicina a 2 miliardi
di euro. In cambio gli americani non hanno ottenuto l'Alfa Romeo e la
Fiat Brasile, come chiedevano, ma si sono liberati dell'opzione put, quella
che li avrebbe costretti a comprare, dopo il 2004, il restante 80% di
Fiat Auto. Gli altri soldi dovrebbero provenire dalla vendita di Fiat
Avio (probabilmente all'asse Finmeccanica-Snecma) e dalla cessione di
Toro. Infine verranno chiesti soldi al mercato, cioè al solito
parco buoi dei risparmiatori privati, più la schiera dei fondi
comuni, che usano i soldi dei primi. Non è esclusa l'ipotesi dello
spezzatino pieno, cioè della quotazione separata sul mercato di
ogni singola società operativa, a partire da Cnh, Fiat Avio, Business
Solutions, Comau, ecc., una strategia cioè uguale e contraria a
quella che ha portato Fresco a lanciare, nel periodo 1998-2000, una serie
di opa residuali per "riportare tutto a casa". Una tela di Penelope squarciata
dall'esplosione dell'indebitamento, raddoppiato da 17 a 35 miliardi di
euro.
Il successo o il fallimento di questo tipo di strategia dipende da una
serie di circostanze, e in particolare da come il "mercato" accoglierà
questa ennesima torsione acrobatica dei funamboli Fiat. Il merito indubbio,
per la famiglia Agnelli, è di mantenere in questo modo il sostanziale
controllo dell'attuale perimetro di attività (con il solo doloroso
sacrificio della Toro), senza dover tirare fuori troppi soldi, lasciandosi
aperte una serie di possibilità da utilizzare in futuro in base
all'evoluzione dei singoli business. Ad esempio se il settore auto dovesse
dare segni di ripresa, come sembra segnalare il dato sulle vendite di
gennaio con la riconquista di quota 30% sul mercato nazionale, la famiglia
potrebbe negoziare da posizioni di maggior forza la cessione a GM, ricomprandosi
con il ricavato le quote di Italenergia che si è trovata costretta
a vendere pro-tempore alle banche creditrici.
Mentre il capitale lavora alacremente per garantirsi un futuro senza
discontinuità, peggiora la posizione relativa dei lavoratori e
degli operai. Mentre Termini si appresta a riaprire per qualche settimana
per fare manutenzione, Arese si avvia ad una chiusura sempre più
probabile, e Mirafiori rischia progressivamente di scendere sotto la soglia
critica minima che giustifichi il suo mantenimento in attività.
La stessa iniziativa di lotta fa i conti con le difficoltà oggettive
della dispersione quotidiana connessa alla Cig a zero ore, mentre l'unica
vera espressione di solidarietà inter-classista si è manifestata
nell'incredibile ed estremo omaggio tributato a livello di massa alle
spoglie del "caro estinto". Mentre la sinistra si ostina nella ricerca
di un modo per continuare il sostegno statale alla ricerca Fiat sul piano
dell'innovazione tecnologica (magari sotto le spoglie del motore all'idrogeno),
la Fiat chiude l'unica esperienza in campo su questo versante (il V.a.m.i.a.
di Arese). Crescono le chiusure di aziende dell'indotto e si comincia
a verificare sul campo l'attendibilità delle cifre allarmanti circolate
nei mesi scorsi sull'impatto della crisi sulla produzione indiretta: 15.000
lavoratori rischiano, solo nel distretto torinese, di andare fuori dal
ciclo produttivo senza alcun ammortizzatore sociale.
Si tratta dunque di affrontare l'emergenza con la richiesta di strumenti
per ora inesistenti, di rivendicare cioè un reddito garantito che
permetta a migliaia di famiglie senza mezzi di continuare a pagare l'affitto
o le rate del mutuo, cifre che spesso arrivano al 60-70% del reddito totale
di un cig a zero ore. Uno dei distretti industriali più fiorenti
del paese si trova oggi a fare i conti con un banale problema di povertà.
Un bel risultato davvero, Avvocato buonanima...
Renato Strumia
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