![]() Da "Umanità Nova" n. 6 del 16 febbraio 2003 Contro la guerra degli stati, contro la pace socialeLa pace è il contrario della guerra e su questa quasi banale verità non possono esserci mediazioni, inoltre non si può conseguentemente parlare di pace senza un'effettiva giustizia sociale. Ma la radicalità insita nell'idea di pace si perde e diventa ambigua nel momento in cui la pratica sociale del rifiuto della guerra è sostituito dall'interpretazione etica, fortemente condizionata dalla morale cattolica, per cui la pace è un valore a se stante, finalizzato ad una armonia interiore e ad un indistinto amore per il genere umano. Il vivere la pace come un fatto privato, di coscienza, estraniato dai conflitti che attraversano la società, fa sì che la pace sia allo stesso tempo la bandiera da esporre fuori dalla finestra di casa che l'alibi propagandistico di ogni operazione di guerra, come ad esempio quella del contingente italiano in Afganistan. Tale contraddizione contraddistingue i movimenti pacifisti che si sono susseguiti e sviluppati negli ultimi due decenni in Italia, movimenti per loro natura compositi ma, nella loro generalità, subalterni alla cultura cattolica e ai giochi politici della sinistra istituzionale. Anche il movimento che si sta attivando in questi mesi contro la guerra all'Iraq non fa eccezione, anche se il suo intersecarsi col movimento no-global sicuramente lo ha fatto parzialmente maturare, liberandolo almeno dalle illusioni sul ruolo dell'Onu in difesa della cosiddetta legalità internazionale e dei diritti umani. Il limite principale di tale movimento rimane comunque il non comprendere pienamente come, in una società ostaggio del capitalismo e degli Stati, la guerra non è altro che la continuazione della pace con altri mezzi; una pace che ogni giorno, sommessamente, coi suoi rapporti economici inumani gronda davvero sangue, sfruttamento, miseria, violenza. "La pace - come ha scritto Foucault - fin nei suoi meccanismi più infimi, fa sordamente la guerra". Il secondo problema é che il pacifismo non riesce a percorre una propria strada indipendente dal potere politico, dai governi, dai partiti parlamentari; qualcuno, in buona fede, afferma che é importante dialogare con tutti ed avere la massima apertura culturale, ma i nodi vengono al pettine quando tale atteggiamento diviene indulgenza nei confronti di forze politiche che si ricordano della pace solo per calcolo elettorale e che si sono anche in un passato recente dimostrate responsabili di scelte di guerra. Ulteriore elemento di contraddizione, anche se ammantato di antimperialismo, è il cadere nella trappola degli schieramenti pro o contro popoli e nazioni, a secondo il loro ruolo di turno di aggressori o aggrediti; ciò risponde ad una visione che nega le differenze e i conflitti di classe esistenti dentro ogni popolo ed ogni nazione, favorendo indirettamente quel nazionalismo che da sempre porta i proletari a scannarsi tra di loro per gli interessi delle rispettive borghesie. Alla manifestazione di Roma ci saranno tutti: pacifisti in buona e cattiva fede, ma la credibilità e le intenzioni dei primi sono messi in discussione dalla presenza dei secondi. La pace, quella vera, non appartiene infatti ad un partito come i Democratici di Sinistra che, quando erano al governo con D'Alema, sono stati convinti assertori dell'aggressione alla Jugoslavia nel 1999 e che già vorrebbero farci dimenticare i bombardamenti che in quei mesi tragici hanno mietuto migliaia di vittime civili grazie anche a piloti, aerei e bombe italiane; così come vorrebbero farci dimenticare il loro recente voto favorevole alla decisione del governo Berlusconi di partecipare alla guerra degli Usa contro l'Afganistan. Discorso analogo valga per i Comunisti Italiani, altrettanto complici della Nato che distruggeva la "Zastava" presidiata dagli operai serbi, e per i Verdi che continuarono a sostenere quel governo di cui erano parte; al loro interno, è vero, ci fu una minoranza verde dissidente ma la sua coerenza pacifista non arrivò neppure a fargli scegliere di uscire dal partito: evidentemente una guerra non valeva le loro poltrone. Ci sarà anche la CGIL a bandiere spiegate che però nel 1991, ai tempi della prima guerra del Golfo, in risposta ai bombardamenti sull'Iraq decise cinque (5!) minuti di sciopero, e non mancherà Rifondazione Comunista che, quando era al governo, votò a favore della concessione alla Nato delle basi italiane, quelle stesse basi oggi fondamentali per le strategie imperialiste. Ci chiediamo sinceramente come tanti pacifisti sinceri possano ancora votare, credere, militare per certi partiti e certi dirigenti, senza provare il benché minimo imbarazzo. Questo è il paradosso: la pace ha i suoi nemici, ma i pacifisti non hanno ancora imparato a riconoscerli. Si cerca piuttosto di prendere le distanze dagli "estremismi", di isolare i "violenti", di condannare il "terrorismo", senza avvedersi di quanto sia funzionale al potere dominante, lo stesso che ha deciso e governa lo stato di guerra permanente, impedire a chi vuole vivere in un mondo senza guerre di tirare le dovute somme, mettendo radicalmente in discussione la pace dei padroni e il terrorismo di Stato che la protegge. Il primo passo sarebbe prendere atto del fatto che non si può essere per la pace senza criticare in primo luogo l'istituzione militare, il secondo quello di comprendere che il capitalismo è la causa del 99,99% delle guerre perché si nutre di esse. Ed in questo senso la partecipazione antimilitarista e anarchica al movimento contro la guerra vuole dare il suo contributo, ribadendo che "fino a che vi sarà un privilegiato che appoggia il privilegio colla forza brutale, stiano pur sicuri gli uomini di guerra, che noi non faremo la pace" (E. Malatesta). KAS
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