archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 6 del 16 febbraio 2003

Restaurazione familiare
Il libro bianco sul welfare

C'è già chi si affretta a definirlo un "Libro dei Sogni". Per il ministro del Welfare Roberto Maroni, il Libro Bianco sul Welfare - un ampio documento che prospetta una vasta gamma di strategie e di proposte di riforma del sistema di assistenza e di sostegno sociale - presentato la scorsa settimana ai sindacati e alla stampa non deve essere letto con una logica che con una battuta definisce "tremontiana". Ovvero, con una attenzione tutta concentrata sulle compatibilità economiche, sulla necessità (inevitabile) di reperire molti miliardi di euro per finanziare i molti progetti contenuti nel Libro Bianco. "Prima vanno individuati i bisogni e le emergenze", spiega il ministro, chiarendo che il documento ha un'impostazione "sociale e non finanziaria". Insomma, "i livelli essenziali di assistenza sono tali non perché costano poco o tanto, ma perché devono garantire un livello di vita dignitoso". Tutte questioni che andranno affrontate e discusse dal 20 febbraio fino ad aprile nel confronto con sindacati, imprese e soggetti interessati, e - molto, molto gradualmente - realizzate con interventi legislativi. Il caposaldo del progetto di Maroni - un progetto che "si pone come obiettivo il raddoppio in termini reali delle risorse destinate ai servizi in 10 anni" - è la famiglia: la famiglia "classica" costruita con il matrimonio come definita dalla Costituzione, visto che "il resto è sociologia". Del resto, per Maroni oggi è proprio la famiglia a rappresentare il principale "ammortizzatore assistenziale", con un impegno pari a 3 miliardi di ore su base annua. Altro grande obiettivo, bloccare il calo demografico, considerato preoccupante.
Da "La Stampa" del 5 febbraio 2003

Leggendo il Libro Bianco sul Welfare due possibili aspettative non possono che restare deluse.

Chi si aspettasse un progetto operativo che indichi, come è necessariamente evidente in questi casi, il dove si reperiranno le risorse per un'operazione come quella disegnata nel testo resterebbe insoddisfatto. D'altro canto, il buon Roberto Maroni ha coniato, per porsi al riparo dall'accusa di fare della fantasociologia, il neologismo "tremontiano" con il quale inchioda il suo socio di volo governativo Tremonti al ruolo di squallido ragioniere nel mentre si riserva quello di creatore di scenari sociali futuri.

Chi, invece, immaginasse un testo "reazionario" di tipo tradizionale, un inno a Dio, Patria e Famiglia, resterebbe decisamente a bocca asciutta. Il testo, infatti, è un esempio di quella letteratura sociologica un po' anodina che circola nei centri studi dei ministeri, delle imprese, dei sindacati e che può essere prodotta per qualsiasi committente da qualsiasi ricercatore. Un prodotto della trasversalità degli ingegneri sociali.

Proviamo non a riassumere il libro bianco due (non dobbiamo dimenticare che si tratta di un testo strettamente legato al più operativo Libro Bianco sul mercato del lavoro) ma a individuare le questioni generali che affronta e la linea di azione che prospetta.

La premessa è facilmente condivisibile perlomeno come presa d'atto di un fatto. In Italia c'è una decadenza demografica oramai decennale che determina una tendenziale riduzione della popolazione e un parallelo innalzarsi dell'età media. Con la tipica vivacità latina, inoltre, gli italiani sono in testa alla graduatoria delle popolazioni infeconde in Europa e battono gli algidi svedesi, tradizionale esempio di procreatori di figli unici. Alle tavole fiorite di occhi di bambini di pascoliana memoria e, aggiungiamo noi, scarse di cibo, si sono sostituite famiglie minuscole, senza figli o con un figlio unico e, al massimo, due.

Un fatto, questo va da sé, non è necessariamente un problema da affrontare. Ma per Maroni, e non solo per lui, è, appunto, un problema.

La deriva demografica determina, secondo gli estensori del Libro Bianco sul Welfare, due conseguenze:

- giovani coppie che pure vorrebbero avere due o più figli sono costrette a non soddisfare questa loro esigenza;

-.l'invecchiamento medio della popolazione crea tendenziali difficoltà nel garantire servizi agli anziani ed un equilibrato legame sociale.

Parrebbe, di conseguenza, che siamo di fronte a un semplice ed evidente problema di equità sociale. Si tratterebbe di porre in essere le condizioni per garantire la possibilità e la libertà, per chi lo voglia, di avere, mantenere, educare dei figli nel numero desiderato.

Le misure prospettate vanno, o vorrebbero andare, in questa direzione ed alcune appaiono assolutamente condivisibili. Mi riferisco, per fare un solo esempio, all'ipotizzato robusto aumento delle detrazioni fiscali per i figli. Chi, infatti, potrebbe negare che una coppia con tre figli ha, a parità di entrate, un reddito seccamente inferiore ad una coppia con un figlio o senza figli? Chi potrebbe negare che vi sono problemi gravi e seri dal punto di vista della disponibilità di servizi sociali? Chi, infine, può dimenticare che una donna che lavora è spesso posta nell'impossibilità di avere figli se vuole mantenere il suo posto di lavoro o, nella migliore delle ipotesi, se non vuole essere danneggiata nella sua carriera lavorativa?

Vi sono, però, tre aspetti del libro bianco che meritano un'ulteriore riflessione.

In primo luogo, la questione demografica è posta come questione nazionale. Dovremmo garantire il diritto alla riproduzione per gli italiani. Non credo occorra essere eccessivamente maliziosi per cogliere, in un testo tanto "tecnico", l'eco dell'angoscia della destra fascista e leghista per l'"invasione" dei ben più fecondi immigrati. Fare figli per salvare la stirpe dal meticciato, dunque?

In secondo luogo, l'impianto welfarista maroniano assume pienamente la centralità della famiglia, quella stessa centralità che caratterizza gli attuali tentativi di riforma della scuola e dei servizi sociali. Nemmeno si ipotizza o, meglio, si esclude ogni possibilità che la questione della cura dei bambini e degli anziani possa essere assunta in forme diverse dalla restaurazione della famiglia tradizionale. La società è percepita e disegnata come un assieme di nuclei familiari ai quali è affidato il compito di garantire il legame sociale, quello stesso legame sociale che il turbocapitalismo dissolve nel suo incedere.

In terzo luogo, il porre al centro la famiglia si accompagna al metodico smantellamento dei servizi sociali dalla sanità alla scuola. Si ipotizza di sostituire ai servizi garantiti, poco e male ma garantiti, a tutti una serie di reti parentali e comunitarie che dovrebbero gestire la riproduzione sociale. Un modo per togliere con la mano destra più di quanto si concede con la sinistra e di ridisegnare il welfare sulla base della stratificazione sociale data. Le famiglie, infatti, non sono, e questo dovrebbe saperlo anche Maroni, tutte eguali e il welfare a gestione familiare non potrà che spalmarsi sulla collocazione sociale di coloro che ne goderanno.

In sintesi, questo è, come altri, l'espressione della consapevolezza, da parte della destra, che esiste il problema di un legame sociale messo a repentaglio dallo stesso modello produttivo che viene considerato una variabile indipendente ed indiscutibile dalla destra e dalla sinistra. Se la sinistra, tradizionalmente, cercava di affrontarlo mediante l'intervento pubblico-statale e ha, poi, dovuto piegarsi alla necessità di ridimensionare questo stesso intervento, la destra prende lo mosse proprio dalla crisi dell'intervento pubblico di tipo tradizionale e propone una fuoriuscita dal modello socialdemocratico basata sul localismo, la comunità aziendale e quella familiare.

Quello che entrambi i modelli negano è, per un verso, l'autonomia sociale delle classi subalterne e, per l'altro, la possibilità di percorsi di governo della riproduzione sociale da parte degli individui a prescindere dall'appartenenza a un nucleo familiare.

Si tratta, allora, di operare:

- in difesa dei servizi pubblici a carattere universale che, è sempre bene ricordarlo, sono stati costruiti con il denaro dei lavoratori salariati e non devono essere privatizzati e consegnati al saccheggio ad opera dei gruppi capitalistici interessati al mercato della sicurezza sociale;

- perché la gestione di questi stessi servizi sia sempre più sottratta al controllo degli apparati burocratici e del ceto politico e sottoposta a forme di autogoverno dei soggetti sociali interessati.

Un percorso non facile, certo, ma necessario se vogliamo evitare una deriva nazionalista, clericale, comunitaria.

Cosimo Scarinzi

 

 

 

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it