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Da "Umanità Nova" n. 6 del 16 febbraio 2003

Forum Sociale Mondiale
Una virata istituzionale

Molteplici erano le aspettative, gli intenti e gli obiettivi di chi ha organizzato e di chi ha partecipato al Forum Sociale Mondiale.

Spazio di libertà in libertà, specialmente nei margini del programma ufficiale, nel campeggio, nella strada, nei micro incontri e racconti di ciascuno con l'altro a lui vicino per caso.

Luogo di confronto e di misurazione delle idee e della temperatura di un movimento globale e differenziato al massimo grado del quale alcuni aspiranti leader e relativi quadri in missione permanente e rimborsata nonché tantissima gente disponibile a sacrificare tempo e denaro si ritrovano per la terza volta consecutiva a Porto Alegre.

Tempo di verifica della possibilità, specie per gli autoelettisi membri del consiglio internazionale, di varare una Prima planetaria organizzata che sappia fungere da lobby militante e inclusiva contro i governi di destra e pungolanti i governi di sinistra (ammesso che per le politiche sociali e planetarie tale distinzione abbia senso compiuto).

Momento celebrativo della "rottura" della elezione presidenziale di Lula in Brasile, su cui si concentrano da parte di tantissimi brasiliani e latino-americani le speranze illusorie e immemori della storia del socialismo istituzionale, come se bastasse diventare presidente con un programma moderato e per necessità costretto a compromessi per trasformare la società con i suoi rapporti di forza, magari alleandosi ad un leader autocratico e carismatico come Fidel, ad un ex-militare golpista e populista come Chavez, ad un militare di sinistra come Gutierrez, ad un indigeno di successo come Toledo (ma in Perù la luna di miele è finita da un pezzo).

Se guardiamo gli esiti del III Forum Social Mondiale non si può non restare delusi anche da parte di chi osserva con simpatico disincanto e con intenti di convergenze inclusive, data la posta in palio che obbliga a togliersi dalla mente ogni eventuale percorso settario, isolato e autoreferenziale. La mancanza di un documento conclusivo, lungi dall'essere un segno di rispetto delle differenze non conciliabili sulla carta di alcune pagine conclusive, appunto, denota invece l'asfissia di una virata istituzionale dei vertici informali degli apparati no-global, a cui di solito corrisponde una sovraesposizione mediatica per alcuni leader (Lula in grande, Cofferati in piccolo?) e un accentramento organizzativo che chiama le masse a raduni oceanici (mi rendo conto della blasfemia del paragone, ma rincorrere la dimensione verticale dei controvertici anche in senso positivo per ribattere colpo su colpo a Davos o al G8, significa consegnarsi mani e piedi ai professionisti del turismo planetario no global, oltre che adottare implicitamente un gioco per lo più moralista e "individualista", da questione personale, oltre tutto speculare con reciproca legittimazione).

Quest'anno, inoltre, i no global si credono al potere in Brasile, hanno mutato ruolo politico, devono dimostrare di essere più responsabili date le cariche conquistate con le elezioni, e quindi hanno diminuito il budget milionario (in dollari) per organizzare il FSM, provocando esiti confusi sul programma con la spiacevole cancellazione di momenti, seminari, conferenze e quant'altro, la cui selezione, secondo alcuni protagonisti stessi del Forum, non sembra casuale o dettata dalla mera confusione organizzativa. Sembrerebbe che alcuni eventi siano stati soppressi o spostati in situazioni di secondo piano in base all'ortodossia no global dell'ispirazione socialdemocratica egemonica negli apparati.

Certo, il bagno di folla dei centomila è indicativo della tensione esistente tra la gente, testimoniando una vivacità transclassista che andrà verificata in India l'anno venturo, magari su dimensioni meno mastodontiche e farraginose. Tuttavia, intatti restano i nodi politici e progettuali che, se non altro per ragioni banalmente metodologiche, non potranno essere sciolti né a Porto Alegre né a Hyderabad, e nemmeno a Firenze o a Parigi per quanto riguarda la regione europea. Sarà una pratica quotidiana radicata e radicale a verificare politiche e progetti, esperimenti e occasioni di rottura, a partire dalla guerra imminente di cui si tratta di individuare i punti di paralisi prolungata in ogni luogo (altro che mega-corteo una tantum!).

Certo, non abbiamo ancora la forza di dirottare altrove le illusioni mal riposte, né possiamo pensare di ignorare le tensioni maledicendole e isolandoci nello splendore delle nostre analisi (forse migliori, forse no) e nell'uniformità dei nostri riti di raduno (mi dispiacerebbe che il nero diventasse la divisa ufficiale degli anarchici nel mondo, è notorio che personalmente preferisco i colori african-style...). Probabilmente c'è un certo compiacimento inopportuno nel decretare troppo presto il de profundis del movimento no global - che io tengo molto distinto e distante dagli apparati e dalle formule organizzative tipo forum locali, da valutare caso per caso anche secondo i relativi rapporti politici di forza - poiché non vedo altro in grado di rimpiazzare il vento che spira ancora da Seattle (e forse dal Chiapas 1 gennaio 1994), nonostante i vortici che sembrano delineare una divergenza tra anticapitalisti e sostenitori di una globalizzazione dal volto umano, tra nazionalisti e regionalisti, tra statalisti e autogestionari politici e sociali. Indubbiamente stona molto duramente la carica che ha caratterizzato la conclusione del FSM contro gli anarchici gauchi e tanti altri che sbeffeggiavano i burocrati (rappresentazione poco elegante, se volete, visto che sarebbe meglio distinguerli dal resto dei partecipanti con cui trovare elementi di raccordo e di convergenza al di qua della presenza di leader e partiti in cerca di consenso elettorale: questa è la politica di strada, in cui troviamo i doppiogiochisti presenti pure nel palazzo delle varie istituzioni centrali e decentrate). Evidentemente l'ironia, anche in momenti difficili come quelli che viviamo, latita in chi si vede sfuggire il giocattolo di mano.

Se da un lato i tempi attuali ci impongono comunque di essere presenti, quasi dappertutto se ne avessimo la forza, per ribadire i nostri concetti, le nostre pratiche, la nostra memoria, i nostri esperimenti sociali, le nostre esperienze umane, le nostre formule organizzative, sul piano di tali contenuti di merito ritengo che la battaglia sia ancora tutta da giocare, in Italia così come sul piano globale, a patto di non inseguire voglie mediatiche di visibilità individuale e collettiva, a patto di non autoingessarci nella nostra ideologia (forse segnata ancora dal lutto del 1936), a patto di aprirci al confronto con le centinaia di migliaia, per non dire milioni, di individui, uomini e donne tanto al nord quanto al sud del pianeta, in lotta e in aspirazione di un mondo migliore, possibilmente nell'arco della vita presente.

Salvo Vaccaro

 

 

 

 

 


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