|  |    Da "Umanità Nova" 
        n. 6 del 16 febbraio 2003  
        Enigmi di una guerraKosovo: luci ed ombre in un programma alla BBC
 In clima di guerra permanente, perché questo e non altro 
        è quello che viviamo dopo le scelte belliciste del governo americano 
        accelerate ma non decise dall'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, 
        può risultare interessante capire quello che è accaduto 
        prima e durante una delle tante guerre che hanno preceduto quella al terrorismo 
        internazionale. Ci riferiamo a quella svoltasi nella primavera 1999 per 
        il controllo del Kosovo.
        Non è male ricordare tutti gli enigmi di questa guerra: le ambigue 
        trattative di Rambuillet, il massacro di Racak, il ruolo dell'UCK e del 
        leader "gandhiano" Rugova, la martellante propaganda sui massacri di albanesi 
        perpetrati dall'esercito e dai reparti paramilitari serbi, i rapporti 
        intercorsi durante i bombardamenti fra NATO, regime serbo di Milosevic 
        e regime Montenegrino (e citiamo solo alcune delle questioni rimaste aperte). 
        Una risposta parziale ma non priva di spunti interessanti ai misteri 
        dell'inverno-primavera 1999 e a quelli successivi che hanno portato alla 
        caduta di Milosevic, l'ha data una trasmissione della B.B.C. andata in 
        onda lo scorso gennaio. Occorre premettere che la TV di Stato inglese 
        non si è posta al di sopra delle parti poiché l'intento 
        dell'emittente controllata dal falco Blair era, sostanzialmente, di dimostrare 
        come i bombardamenti NATO avessero favorito la caduta del regime di Milosevic. 
        Il fine ultimo della trasmissione era dunque quello di giustificare la 
        guerra ad un altro regime oggi nemico degli interessi dell'Occidente, 
        quello di Saddam Hussein. 
        
        GLI AMERICANI HANNO GIOCATO GLI ALBANESI DEL KOSOVO
        Il programma, tre puntate della durata complessiva di quattro ore e 
        mezzo basate principalmente su testimonianze dei protagonisti delle vicende, 
        si intitolava "La caduta di Milosevic". La tesi della B.B.C. è 
        che L'inizio della caduta di Milosevic è stato segnato dalla rivolta 
        armata degli albanesi del Kosovo che, come riconosciuto dal documentario, 
        non si sono sollevati per abbattere il regime di Slobodan Milosevic, bensì 
        per fare del Kosovo il proprio stato indipendente. Tale indipendenza è 
        stata loro promessa nell'autunno del 1998 dall'allora inviato di pace 
        americano per la Jugoslavia, Richard Holbrooke che durante un pranzo svoltosi 
        in Svizzera avrebbe promesso ad uno dei dirigenti dell'UCK, Bardhyl Mahmuti, 
        che il Kosovo avrebbe ottenuto l'indipendenza entro un periodo compreso 
        tra tre e cinque anni. L'UCK, avrebbe detto in quell'occasione Holbrooke, 
        deve solo seguire gli ordini dell'America e dell'Occidente. Secondo quanto 
        dichiarato da Mahmuti, l'inviato americano avrebbe promesso che l'America, 
        e lui in persona, "avrebbero spinto Slobodan Milosevic ad adottare modifiche 
        legali e costituzionali che porteranno all'indipendenza del Kosovo". È 
        interessante notare che nell'autunno 1998 gli americani non avevano rapporti 
        ufficiali con l'UCK, che consideravano una organizzazione terroristica 
        e che le dichiarazioni di Holbrooje confermano che fino quasi alla vigila 
        della guerra gli americani non puntavano alla caduta di Milosevic.
        L'ambiguità della posizione statunitense è confermata 
        dalla versione fornita dall'intervista a Madeleine Albright, al tempo 
        capo della diplomazia americana. La Albright afferma difatti di avere 
        detto chiaramente agli albanesi del Kosovo che non vi sarebbero state 
        azioni di guerra se non avessero rinunciato all'indipendenza. I leader 
        dell'UCK si sarebbero accontentati di rivolgere la loro richiesta di indipendenza 
        con una lettera "privata" a Madeleine Albright. Naturalmente, come sappiamo, 
        nessun impegno è stato preso dagli americani e infatti oggi, a 
        cinque anni dall'impegno preso da Holbrooke, il Kosovo è un protettorato 
        della NATO tutt'altro che indipendente. Dal punto di vista dell'UCK, quindi, 
        i leader albanesi e gli albanesi del Kosovo in generale sono stati ingannati 
        riguardo alle loro richieste politiche.
        
        I BOMBARDAMENTI E IL PANICO ALL'INTERNO DELLA NATO
        Il documentario non indaga più di tanto sul modo in cui si è 
        arrivati ai bombardamenti, sorvola sulle montature seguite al "massacro 
        di Racak" e per quanto riguarda il periodo prima dei bombardamenti mette 
        in evidenza una dichiarazione dell'ex presidente della Serbia, Milan Milutinovic, 
        il quale ha rivelato di avere proposto all'imbarazzato inviato americano 
        Christopher Hill, durante un incontro svoltosi in un hotel di Parigi, 
        che le truppe dell'alleanza entrassero in Kosovo, ma che allo stesso tempo 
        la Jugoslavia venisse accolta nella NATO, consentendo in tal modo di risolvere 
        il problema del Kosovo. La proposta è stata rifiutata. Nel documentario 
        si suggerisce l'ipotesi che la NATO e i leader occidentali siano andati 
        ai bombardamenti relativamente impreparati, poiché erano convinti 
        che sarebbero durati al massimo tre giorni. Così è stato 
        detto ai piloti della NATO, alcuni dei quali hanno pregato i loro superiori 
        di essere tra i primi a gettare le bombe, perché temevano che dopo 
        sarebbe stato troppo tardi e tutto sarebbe finito. Il presidente francese 
        Jacques Chirac ha raccontato di essersi recato in vacanza in montagna 
        appena prima dell'inizio dei bombardamenti. Era impreparata anche la Jugoslavia. 
        Mira Markovic, moglie di Milosevic, ha raccontato come lei personalmente 
        e tutta la dirigenza jugoslava fossero convinti che i bombardamenti non 
        sarebbero durati più di 24 ore. Ma sono durati 78 giorni e l'Occidente, 
        hanno ammesso i suoi leader, è precipitato in un vero e proprio 
        panico. I bombardamenti sulla Jugoslavia hanno portato (dietro la scena 
        pubblica, le conferenze stampa e la campagna propagandistica) a profonde 
        incomprensioni tra i paesi occidentali, tanto da minacciare l'unità 
        della NATO. Sembra quasi che Milosevic, accettando infine un accordo, 
        abbia "salvato" la NATO. Nel panico generale al quale si è giunti 
        quando i bombardamenti non hanno causato un rapido collasso di Belgrado, 
        il più inquieto era il premier britannico Tony Blair, mentre il 
        ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer ha ammesso che per lui si 
        è trattato di un periodo eccezionalmente difficile. Blair si era 
        recato allora in visita presso il comando generale della NATO a Bruxelles. 
        L'allora comandante delle forze NATO, generale Wesley Clark, ha dichiarato 
        che Blair gli ha chiesto: "sa che dall'esito dei bombardamenti dipende 
        il futuro di quasi tutti i leader occidentali? Perderemo il potere, e 
        non dobbiamo assolutamente uscire sconfitti". Il generale Clark, come 
        ha dichiarato, ha detto a Blair di non potere prevedere ancora nulla e 
        che per "la vittoria finale sarà forse necessaria un'invasione 
        della Jugoslavia via terra". Successivamente Blair ha avviato una campagna 
        per convincere gli altri leader occidentali della necessità di 
        un'invasione via terra, ma, nei fatti, nessuno ha dato il proprio sostegno 
        alla sua idea. Allora Blair ha detto che rimaneva solo la propaganda e 
        che l'Occidente doveva almeno minacciare un'invasione. 
        
        I BOMBARDAMENTI CONTRO GLI OPPOSITORI SERBI DEL REGIME MONTENEGRINO
        Sono interessanti anche i retroscena del bombardamento di obiettivi 
        in Montenegro, il cui governo, come si afferma nel documentario della 
        BBC, ha dato sostegno ai piani della NATO. Il presidente Clinton ha raccontato 
        di avere ricevuto, dopo l'inizio dei primi attacchi contro obiettivi in 
        Montenegro, una telefonata del leader francese Chirac, il quale gli chiedeva 
        spiegazioni. Clinton gli ha detto che il bombardamento di obiettivi in 
        Montenegro gli era stato chiesto dal presidente montenegrino Milo Djukanovic. 
        Il presidente degli Stati Uniti ha affermato di avere ottenuto informazioni 
        secondo cui Djukanovic avrebbe chiesto il bombardamento delle zone dove 
        erano concentrati i suoi oppositori, favorevoli a Milosevic. Il presidente 
        Chirac racconta di avere chiamato immediatamente Djukanovic sul suo cellulare 
        e di avergli chiesto se era vero. Djukanovic nel documentario della BBC 
        dice solamente di avere fatto capire a chiare lettere a Chirac che il 
        bombardamento di obiettivi in Montenegro metteva in pericolo il suo governo 
        e la sua posizione personale. Dopo questa conversazione, la NATO non ha 
        più bombardato il Montenegro. Il documentario, dunque, non chiarisce 
        se ciò che ha detto Clinton è vero oppure no.
        
        LA CADUTA DI MILOSEVIC
        I bombardamenti sono poi finiti e la NATO ha preso il controllo del 
        Kosovo. L'America, per la quale la caduta di Milosevic era divenuta una 
        "priorità assoluta", ha avviato una massiccia campagna di aiuti 
        all'opposizione serba. Nel documentario si parla di circa 30 milioni di 
        dollari in aiuti, anche se in passato la stessa Washington aveva comunicato 
        di avere investito circa 70 milioni di dollari. A quei tempi il maggiore 
        mistero era perché Milosevic avesse indetto elezioni presidenziali 
        anticipate. Sua moglie Mira Markovic ha dichiarato alla BBC di avere convinto 
        Milosevic a indire tali elezioni, perché era convinta che le avrebbe 
        nettamente vinte. Nel documentario racconta anche di avere convinto il 
        marito, nel 1996, a non riconoscere i risultati delle elezioni locali. 
        Le proteste di massa causate dal mancato riconoscimento di tali elezioni 
        sono state di fatto, si suggerisce nel documentario, il vero inizio della 
        fine del potere di Milosevic.
        Il documentario si dilunga nelle lotte fra le fazioni interne al DOS, 
        il raggruppamento dei partiti anti-Milosevic, descrivendo gli avvenimenti 
        che hanno portato alla candidatura di Kustunica e al tradimento dei "berretti 
        rossi", l'Unità per le Operazioni Speciali dei servizi segreti, 
        fino alla vigilia delle elezioni presidenziali fedelissima a Milosevic 
        e poi schieratasi a fianco del DOS.
        Una parte della stampa britannica ha sostenuto che, oltre alla necessità 
        di continuare a giustificare in pubblico la politica dell'Occidente durante 
        i bombardamenti, il documentario "La caduta di Milosevic" è il 
        risultato dell'interesse dell'Occidente per l'eventuale scenario da applicare 
        in Iraq. Ma secondo il "Financial Times" si tratta di un errore, perché 
        la "lezione del Kosovo" non può essere applicata all'Iraq. I bombardamenti 
        della NATO, osserva il giornale espressione degli ambienti finanziari, 
        non hanno fatto che portare a problemi ancora più grandi e non 
        hanno fatto cadere Milosevic. "È solo un'illusione - precisa il 
        "Financial Times" - che le bombe della NATO abbiano fatto cedere Milosevic... 
        Lo hanno fatto cadere i cittadini della Serbia alle elezioni. Milosevic 
        ha perso il potere grazie alle urne elettorali, e non alle bombe e alla 
        violenza." Più verosimilmente Milosevic ha perso il potere perché 
        diversamente da quanto era accaduto dopo altre guerre perse - la guerra 
        in Croazia e quella in Bosnia - gli americani e in generale gli occidentali 
        non lo hanno più ritenuto utile ai loro interessi nell'area balcanica. 
        Gabriel
        (la nostra fonte è la traduzione italiana di un articolo di Sinisa 
        Ljepojevic pubblicato dal quotidiano belgradese "Nin", 23 gennaio 2003, 
        traduzione apparsa su Notizie est Balcani, n. 615 del 31 gennaio 2003)
        
       
         
        
       
         
       
         
         
        
        
       
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