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Da "Umanità Nova" n. 7 del 23 febbraio 2003

Bolivia: se ne vada il gringo!
Rivolta contro il governo


Al grido di "Se ne vada il gringo" la Bolivia ha vissuto alcuni giorni di aperta rivolta contro il governo del liberale presidente Gonzalo Sanchez de Lozada. La rivolta ha provocato a tutto venerdì 14 febbraio almeno venti morti e centinaia di feriti e arrestati in tutto il paese: nelle grandi città, la capitale La Paz, Cochabamba e Santa Cruz ma anche nel distretto minerario di Potosi e nella regione contadina del Chapare. Questo il risultato delle prime 24 ore di manifestazioni contro l'impustazo, la "manovraccia", l'ennesima tassa voluta dal governo boliviano per ridurre l'inflazione dal 9 al 6% condizione richiesta dal Fondo monetario internazionale per concedere un nuovo prestito. L'esistenza dell'impustazo, cioè un taglio agli stipendi pubblici fino di circa il 10,3%, è stata resa nota dal governo boliviano l'11 mattina quando è stato presentato il Presupposto Generale per la Nazione (PGN) 2003, una sorta di manovra economica ideata proprio per rispondere alle richieste dell'FMI.

Come riferiscono le testimonianze che abbiamo raccolto in rete, visto che i media hanno quasi completamente taciuto la rivolta boliviana di questi giorni, il sentimento ricorrente nelle strade era la rabbia: nonostante che il regime abbia mobilitato radio, televisioni e giornali paventando i fantasmi del vandalismo, nonostante il giorno di ferie obbligatorio concesso dal regime per giovedì 13 e l'immediato ritiro della "manovraccia", migliaia di boliviani si sono riversati nelle strade riportando rivendicazioni tutt'altro che parziali: se ne vada il governo, chiudano il parlamento, sono stati i due slogan più ascoltati nella manifestazioni del 13 e 14.

Giovedì 13 La Paz era completamente militarizzata: nel Prado, la principale via della capitale, si sono viste scene di guerra urbana con piccoli gruppi di manifestanti che cercavano di avanzare verso la sede del governo e cecchini dell'esercito, rimasto fedele al presidente, che facevano a gara per colpire qualche manifestante. I militari sono arrivati a sparare ad una infermiera, uccidendola, e ad un medico mentre cercavano di soccorrere un manifestante ferito.

Le manifestazioni del 12 e del 13 erano state favorite dall'ammutinamento della polizia. La manifestazione dei poliziotti ha colto il governo di sorpresa, così come una sorpresa è stata la partecipazione alle manifestazioni delle forze speciali di sicurezza, i GES, più conosciuti come dalmatas, ovvero le truppe meglio armate e meglio addestrate del paese.

Mercoledì 12, poche ore dopo l'inizio della manifestazione in Plaza Murillo, la piazza di La Paz sulla quale si affaccia il Palazzo del Governo, accanto ai poliziotti si sono schierati i dalmatas con le loro armi, pronti a rispondere alla repressione operata dall'esercito. In meno di dieci ore, si contavano già 15 morti e più di ottanta feriti. Il giorno seguente era prevista una manifestazione organizzata dalla COB, Central Obrera Boliviana, che però è stata attaccata dall'esercito ancor prima della partenza del corteo. La manifestazione si è sciolta ma i manifestanti si sono riorganizzati nelle vie adiacenti e gruppi di giovani e meno giovani hanno preso d'assalto le sedi dei due partiti di governo ed edifici pubblici. Non sono mancati i saccheggi di supermercati e di banche legate al presidente Sanchez de Lozada, che il popolo chiama spregiativamente "Gony" per il suo spagnolo dall'accento fortemente americano. Giovedì ha fatto la sua apparizione anche la dinamite, lo strumento usato nelle proteste dei minatori: "ogni volta che si faceva saltare un angolo prima presidiato dai militari o che si è fatta esplodere una strada - riferisce un testimone della rivolta - il festeggiamento e lo stordimento erano generalizzati". Solo venerdì 14, dopo che il governo aveva accolto le richieste della polizia, La Paz ha ripreso un aspetto relativamente calmo anche perché sono iniziate le retate dei poliziotti contro i manifestanti.

La classe dirigente boliviana ha vissuto alcuni giorni di terrore: il fantasma di una seconda Argentina ha provocato il panico. "Ieri - riferisce il testimone della rivolta già citato - mentre vedevamo edifici che la furia popolare stava distruggendo e bruciando, alcuni studenti scherzavano dicendo che si stava andando verso Plaza de Mayo". Ma le differenze erano notevoli: innanzitutto lo scontro frontale fra i due pilastri armati del potere dello Stato, polizia ed esercito, poi il prevalere sullo spontaneismo delle organizzazioni popolari (COB e Federazione campesina, ma non solo) ma anche del partito del candidato presidenziale sconfitto da "Gony", il Movimento per il socialismo (MAS) di Evo Morales, che ha mantenuto la sua credibilità durante tutta la rivolta. Dai resoconti, per altro frammentari, sembra di capire che l'iniziale unità fra lavoratori, contadini e ceto medio sia stata rotta dalle manovre del presidente e dei media. Non è mancato un appello alla pace lanciato da Giovanni Paolo II.

"La Bolivia è un paese bello e pieno di vitalità - scrive il citato testimone della rivolta - Oggi quando abbiamo visto marciare i minatori senza pensione, insieme ai lavoratori, giovani e studenti, tirando dinamite e cantando "que se vajan l'asesino" ci siamo emozionati. Sono stati i forgiatori di una lotta enorme, che ha le sue radici nelle mobilitazioni della COB come nella guerriglia del '52; protagonisti del futuro di cui scrivono ancora una volta la propria storia. Una storia che si sta scrivendo con il sangue, come sempre i popoli scrivono le proprie storie."

A. R.

(L'articolo è aggiornato al 14 febbraio. Fonti: Indymedia, www.selvas.org, Bilan du monde, edition 2003)

 

 

 

 

 

 


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