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Da "Umanità Nova" n. 7 del 23 febbraio 2003

Chi nasce per studiare, chi nasce per zappare
La "filosofia" della riforma Bertagna Moratti


Sulla Riforma Bertagna Moratti della scuola si è già molto scritto e detto. Per una sua maggior comprensione, pubblicheremo prossimamente, una scheda sulle logiche che sono alla base della politica scolastica europea tratta da un ampio ed interessante lavoro de "Il manifesto dei 500" perché crediamo che possa essere compresa a fondo solo se la si colloca in una prospettiva internazionale.

Ritengo possa valere la pena di partire, per ragionarne, da un punto di vista che può sembrare parziale ma che, a mio avviso, può essere interessante e cioè dalla percezione che ne hanno i lavoratori della scuola almeno per quanto mi è dato di capirne.

Come è noto, sembra essere un bisogno dei ministri dell'istruzione quello di lasciare traccia di sé mediante una riforma della scuola che abbia quantomeno la rilevanza della Riforma Gentile. Ci ha provato il ministro Berlinguer che ha dovuto dimettersi a causa della rivolta degli insegnanti, ci sta provando il ministro Arnaboldi Brichetto Moratti.

Naturalmente non si tratta della stessa riforma, quando i molti, troppi, nostalgici dell'Ulivo lo fanno notare hanno ragione, d'altronde nemmeno loro possono avere sempre torto. Vi sono, però, significativi elementi di continuità fra i due modelli e la destra in ogni occasione non manca di farlo notare soprattutto di fronte a provvedimenti particolarmente sgradevoli. Si tratta di un procedimento retorico abbastanza banale ma non privo di efficacia: se la sinistra è d'accordo su di una misura questa è la prova che si tratta di una misura necessaria.

Noi riteniamo, è quasi inutile dirlo, che il giudizio su di un provvedimento non cambi sulla base del governo che lo ha stabilito ma debba essere rigorosamente di merito e che, per dirla tutta, è assolutamente evidente che buona parte delle misure prese dagli ultimi governi si comprendono solo a partire dal quadro internazionale che vede un massiccio processo di privatizzazione del settore scolastico, per un verso, e dalla pressione di gruppi di potere come la Confindustria e la chiesa che utilizzano indifferentemente destra e sinistra.

I lavoratori della scuola vivono questa smania riformatrice essenzialmente con timore, con il timore di vedersi colpiti da processi di razionalizzazione che possono significare la modificazione in peggio dell'organizzazione del lavoro e, in molti casi, l'espulsione dal proprio lavoro.

Questi timori sono denunciati dalla destra come il prodotto di una cattiva informazione se non di una campagna di menzogne da parte dell'opposizione e come la prova che vi sarebbe un'attitudine conservatrice da parte degli insegnanti. Saremmo, insomma, incapaci di adattarci serenamente al "nuovo" e una banda di pigri fautori di un vecchio ordine clientelare e burocratico.

Ritengo che, da questo punto di vista, sia doveroso difendere, mi si perdoni il paradosso, la paura ed il conservatorismo. È, infatti, assolutamente ragionevole il temere peggioramenti della propria condizione di vita e di lavoro e il voler conservare condizioni migliori. Questo, a maggior ragione, se si sono vissuti peggioramenti reali e visibili sempre in nome del "nuovo".

Nelle assemblee sindacali che si stanno svolgendo i lavoratori chiedono chiarimenti, informazioni sulla fine che faranno, rassicurazioni. Si tratta, a mio avviso, di un'attitudine comprensibile ma, per certi versi, pericolosa. C'è, infatti, il rischio di dare per scontato che la riforma passerà come la vuole il governo e che si tratta di trovare, a livello individuale, di singolo istituto, di segmento di categoria le modalità di adattamento meno dolorose. Nei fatti, un'attitudine del genere, rischia di favorire il tranquillo imporsi della politica governativa e di non tradursi in un'iniziativa forte in difesa sia degli interessi immediati dei lavoratori della scuola che dei caratteri, assai imperfettamente, pubblici della scuola attuale.

Ritengo, a questo proposito, sia bene ricordare che la riforma è stata preparata dalla legge sulla parità scolastica, dalla dirigenza ai capi di istituto, dalle ultime leggi finanziarie con i tagli dell'organico che hanno determinato. Insomma un pezzo di riforma si è già attuata.

Qual è, dunque, il carattere proprio della Riforma Bertagna Moratti?

Credo che valga la pena di concentrarsi su due aspetti generali della riforma che riguardano principalmente la secondaria superiore e che si tradurranno in disposizioni operative solo con le leggi che la seguiranno visto che si tratta di una legge che delega al governo le modalità della sua attuazione. Naturalmente sarà necessario tornare sulle ricadute sulla scuola primaria e sulla secondaria di primo grado che, ovviamente, non sono risparmiate. Se parto dalla secondaria di secondo grado e, in particolare, da quello che avverrà negli istituti tecnici e professionali è solo perché in questo tipo di scuole si addensano corposi interessi per l'aziendalizzazione e la privatizzazione della scuola.

In sintesi:

1. si pongono sullo stesso piano istruzione e formazione. Con il termine formazione si intendono percorsi formativi affidati ad agenzie esterne alla scuola: agenzie regionali, ditte private, stage aziendali visto che viene considerata formazione anche il lavoro in azienda. Si crea, in questo modo, un vero e proprio mercato finanziato con denaro pubblico, un mercato che aprirà spazi notevoli di profitto alle scuole private, alle unioni industriali, alle associazioni legate ai sindacati istituzionali, alla chiesa, agli enti locali. La filosofia di questa operazione può essere sintetizzata con un semplice slogan: "C'è chi è nato per studiare e c'è chi è nato per zappare". Si tratta, infatti, di espellere dalla scuola pubblica quello "zoccolo duro" di ragazzi con difficoltà nello studio di materie di carattere teorico e di consegnarlo a un nuovo avviamento al lavoro, riedizione di un segmento della scuola liquidato un quarantennio addietro con la scuola media unica. La destra prende le mosse dal fatto che una parte degli attuali studenti è effettivamente un "problema" e dal fallimento della politica di integrazione caldeggiato dalla sinistra. Naturalmente un "problema", se è davvero tale, prevede diverse soluzioni. Una soluzione anche parzialmente egualitaria porterebbe a ridurre gli alunni per classe, a prevedere forme di sostegno agli alunni con maggiori difficoltà, a forme di presalario per gli studenti a basso reddito. Ovviamente una scelta del genere sarebbe costosa e impegnativa. L'epurazione degli studenti di serie B è più economica e permette lauti profitti. Per dirla tutta, è probabile che molti di questi stessi studenti la vivano come una liberazione dalla scuola caserma che oggi li tortura e imprigiona e che molte famiglie siano contente della possibilità di ottenere un titolo di studio spendibile a breve sul mercato del lavoro;

2. si riduce seccamente il monte ore annuo che gli studenti che restano nella scuola pubblica deve frequentare prevedendo un secondo gruppo di ore opzionali la cui struttura è ancora da definire. Su come questo nuovo orario funzionerà si possono fare solo delle ipotesi. È evidente che dovrebbero permanere le materie "base" come italiano e matematica e quelle che caratterizzano i singoli indirizzo di studio come, ad esempio, filosofia nei licei classici. Una serie di materie meno "importanti" non potrà che passare nel segmento "opzionale" affidato all'iniziativa dei singoli istituti, di consorzi di istituti, agli enti locali e, questo va da sé, all'onnipresente privato. In un modello del genere, una grossa parte del personale verrà, inevitabilmente, a perdere ogni stabilità dei diritti e si vedrà affidata al successo della propria attività in termini di mercato. Se vi sarà richiesta i corsi saranno attivati, potranno cambiare a secondo della richiesta stessa ecc. Già l'attuale legislazione sull'autonomia scolastica è pensata per andare in questa direzione ed anche se se ne parla poco esistono modalità contrattuali pensate per assumere personale per singole attività. Ci sono, ad esempio, già un migliaio di co.co.co. nella scuola pubblica e nulla impedisce di ricorrere decisamente di più a contratti del genere. Se, poi, si considera che, solo per fare l'esempio di educazione fisica, vi è da anni una forte pressione delle associazioni professionali per assumerne la gestione e per trasformarla in un ricco business, il quadro si chiarisce.

La Riforma Bertagna Moratti, insomma, si muove all'interno di una prospettiva forte di mutazione sociale che ha due elementi di riferimento che non vanno mai dimenticatI:

- un'idea di società basata sulla centralità ideologica della famiglia. L'"antistatalismo" della destra vede la scuola come un'agenzia che deve rispondere alla società civile pensata come assieme di gruppi di interesse che, in quanto tali, non vanno messi in discussione ma, anzi, considerati l'interlocutore privilegiato. Cade il debole ed ideologico "universalismo" che vedeva la scuola come un diritto di tutti e si assume come obiettivo la soddisfazione delle richieste di chi ha la forza di imporle;

- l'assunzione di un ruolo subalterno, nel quadro della divisione internazionale del lavoro, del capitalismo italiano. In luogo di puntare su di una formazione di alto livello si ripiega sull'addestramento al lavoro e sulla soddisfazione immediata degli interessi del padronato. Mi si passi una battuta, l'estensione del modello veneto: piccole imprese, precoce avviamento al lavoro, risparmio sulla formazione e sulla ricerca, accettazione di un ruolo di nicchia garantito dal basso costo del lavoro e dalla flessibilità.

Si tratta, allora, a mio avviso di criticarne radicalmente l'impianto e di impegnare intelligenza ed energia nelle lotte che, faticosamente, si svilupperanno contro la riforma per rivendicare, assieme, il carattere universale e libero della formazione delle giovani generazioni e il diritto dei lavoratori del settore a condizioni dignitose.

Cosimo Scarinzi

 

 

 

 

 

 


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