archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 7 del 23 febbraio 2003

Sulla pelle dei migranti
Bossi-Fini e sanatoria: un primo bilancio


Sono passati ormai diversi mesi da quando la famigerata legge "Bossi-Fini" sull'immigrazione è stata approvata dal parlamento. Sono anche passati tre mesi da quando la sanatoria collegata alla legge stessa si è chiusa.

Adesso si possono iniziare a tirare le somme dei primi effetti che questa legge dichiaratamente razzista ha causato, e immaginare quali potrebbero essere gli scenari nel prossimo futuro.

Iniziamo con alcuni dati sulla sanatoria: le domande presentate sono state 697.759, divise quasi a metà fra domande per la regolarizzazione di lavoratori dipendenti e quelle per badanti/colf, sebbene con notevoli differenze da regione e regione. Da solo, questo provvedimento dovrebbe, e sottolineiamo il dovrebbe, "regolarizzare" un numero di immigrati quasi equivalente a quello di tutte le precedenti sanatorie messe assieme.

Nel suo complesso la "Bossi-Fini" è come al solito frutto di un compromesso fra esigenze diverse in seno alla maggioranza di governo: da un lato la pressante richiesta di manodopera flessibile e a buon mercato da parte del padronato, in particolare degli impreditori del nord-est (di cui si fanno portavoce Forza Italia, i centristi e una minoranza di AN), dall'altro le pulsioni xenofobe e razziste di parte dell'opinione pubblica, rappresentate e alimentate dalla maggioranza di AN e dalla Lega (da tempo ormai la formazione più dichiaratamente razzista presente nel panorama politico, al pari dei gruppi di estrema destra come Forza Nuova, con cui non a caso i contatti e le collaborazioni vanno rafforzandosi).

La legge è riuscita - per il momento - a tenere assieme queste esigenze. La sanatoria ed una rinnovata politica dei flussi annuali (ma non si sa bene come e se questa sarà effettivamente fatta funzionare) ha accontentato le prime istanze, la famosa promessa di "tolleranza zero" (espulsioni di massa, nuovi CPT...) le seconde.

La realtà è però più complessa.

La sanatoria (che ha assunto dimensioni inaspettate anche per il governo) è in verità appena agli inizi. Delle centinaia di migliaia di domande presentate solo poche migliaia sono già arrivate a buon fine, giungendo al colloquio in prefettura e al conseguente rilascio del permesso di soggiorno. Le altre giacciono ancora al Ministero dell'Interno e secondo stime realistiche saranno necessari da 3 a 4 anni per evaderle tutte.

Nel frattempo gli immigrati restano in uno stato di precarietà che paralizza le loro vite: non possono cambiare lavoro, andare a trovare le famiglie nei paesi di origine e così via. Devono attaccarsi a quella ricevuta che attesta la domanda di regolarizzazione, aspettare e sperare.

Altro aspetto della sanatoria è la sua voluta ambiguità rispetto ad alcune delle condizioni richieste per la regolarizzazione, in particolare quella dell'abitazione. Il testo recita infatti che i datori di lavoro devono "garantire un alloggio dignitoso" senza specificare cosa questo voglia dire.

Il sospetto è che per questo ed altri aspetti molto sarà come al solito lasciato alla discrezionalità delle singole prefetture/questure: un appartamento di 60 mq in cui risiedono 5 persone potrebbe essere ritenuto idoneo ad Ancona ma inidoneo a Milano, causando il rigetto della domanda e la conseguente espulsione.

Nonostante le numerosissime ambiguità e i rischi (una domanda di regolarizzazione costituisce nei fatti anche una autodenuncia di clandestinità e perciò la certezza di essere espulsi in caso di respingimento della stessa) la sanatoria è stata comunque vista dagli immigrati come una possibilità, forse l'ultima, di riuscire ad uscire dalla clandestinità e poter perciò aspirare ad una vita più dignitosa.

Come è ovvio su queste speranze hanno speculato affaristi e mafiosi di ogni risma: si è creato un fiorente mercato di documenti per false assunzioni, dove gli immigrati sono stati costretti a sborsare, oltre alle spese per la domanda già di per sé alte, persino 7.000 euro. In altri casi invece sono stati gli stessi imprenditori a pretendere che gli immigrati si pagassero le spese e i contributi per essere regolarizzati, pena il licenziamento immediato.

Per fortuna oltre a questi innumerevoli esempi di sciacallaggio si è anche creato un forte, seppur sotterraneo, movimento di solidarietà. In moltissime città, spesso per opera della associazioni antirazziste ma anche per iniziativa dei singoli, si sono creati gruppi più o meno informali, che hanno aiutato gli immigrati in mille modi nella regolarizzazione: dando loro una mano per compilare i documenti, facendo pressioni sui datori di lavoro e sulle famiglie, fornendo informazioni e anche "adottando" in prima persona un immigrato/a.

Adesso la situazione, come detto prima, è di stallo e tutti, immigrati e associazioni antirazziste in primis, aspettano di vedere cosa accadrà nel momento in cui le domande per le regolarizzazioni inizieranno a essere massicciamente vagliate.

Sanatoria a parte, andiamo a vedere come procede l'attuazione della legge vera e propria.

Nelle intenzioni del Governo i "centri di permanenza temporanea" (CPT) svolgono una funzione importante in questo senso. Innanzitutto il Governo ha ben pensato di raddoppiare il tempo di permanenza da 30 a 60 giorni per evitare che qualche prigioniero possa uscire per decorrenza dei termini. Inoltre prosegue l'opera di potenziamento. Dopo l'apertura del CPT di Modena, ora pare la volta del Veneto, dove la costruzione dell'ennesimo lager (probabilmente di grandi dimensioni) è ormai certa sebbene non ne sia ancora stata decisa l'ubicazione. Ma questo è solo l'inizio. Nelle intenzioni dei gerarchi governativi i CPT dovrebbero spuntare come funghi un po' dappertutto.

Di pari passo prosegue la militarizzazione del territorio.

I tanto sbandierati poliziotti e carabinieri di quartiere sono un tassello importante di questo progetto, avendo come funzione primaria il controllo costante delle città contro la "microcriminalità". È ovvio, sebbene non venga detto esplicitamente, che il controllo degli immigrati è fra le priorità di questa nuova figura repressiva che mieterà vittime soprattutto fra gli ambulanti e i senza fissa dimora, cioè l'anello più debole della società.

Vengono inoltre perfezionati gli accordi con altri paesi per la creazione di pattuglie miste di polizia di frontiera (in particolare nel Mediterraneo) e per facilitare le procedure di espulsione immediata dei clandestini, anche verso paesi terzi.

Per completare questo rassicurante quadro occorrono due parole sulla questione dei richiedenti asilo politico. La Bossi-Fini non è entrata nell'argomento, ma in ogni caso ormai da mesi le richieste di asilo vengono in gran parte rigettate senza alcun motivo, causando disperazione fra i rifugiati, molti dei quali rischiano la vita in caso di rimpatrio. In materia si stanno poi perfezionando gli strumenti repressivi in campo europeo. A partire da metà gennaio infatti è entrato in funzione il sistema Eurodac che raccoglierà le impronte e le informazioni sui rifugiati e sui richiedenti asilo di tutta l'Unione Europea, così da impedire che qualcuno possa fare domanda in più paesi.

Come si vede la situazione è a dir poco preoccupante. Pian piano e senza clamori il quadro repressivo nei confronti degli immigrati si sta delineando e consolidando. La nostra impressione, condivisa da molti, è che i tempi duri debbano ancora arrivare. È molto probabile che man mano che le pratiche della sanatoria verranno chiuse le azioni repressive si moltiplicheranno e azioni di rastrellamento nei quartieri e nelle città (ultima quella a Brescia) diventeranno norma quotidiana, così come gli internamenti di massa nei CPT.

Si aggiunga un ulteriore rafforzamento dei controlli sui mari e alle frontiere, con le ovvie conseguenze del moltiplicarsi delle stragi di Stato sui mari e nei container, assieme al proliferare di mafie pronte a sfruttare le disgrazie altrui, chiedendo sempre più soldi per l'entrata clandestina in Italia.

La condizione degli immigrati sarà realmente quella di soggetti in libertà vigilata. Infatti, oltre alle sopracitate misure repressive bisogna tener conto dell'aspetto forse più importante della nuova legge: il permesso di soggiorno è legato al possesso di un lavoro regolare. Ciò significa nella pratica (e troppo poco lo si è detto e spiegato) che gli immigrati saranno legati mani e piedi al proprio lavoro e ai propri padroni: qualsiasi lamentela, tentativo di organizzazione sindacale, reazione ai soprusi e allo sfruttamento può portare al licenziamento e perciò all'espulsione, se, tempo sei mesi, non si è trovato un altro lavoro. Si capisce perciò come questa legge - ancor più della precedente - abbia reso realtà il sogno del padronato: lavoratori supini e ricattabili, senza difese, pronti ad accettare qualsiasi condizione lavorativa.

Di fronte a questa barbarie di Stato, grande è il compito che attende le comunità di immigrati, gli antirazzisti e tutte le persone solidali. Bisogna costruire reti di resistenza che nel quotidiano sappiano contrastare gli effetti della legislazione razzista. In questo percorso primaria è la creazione e il consolidamento delle relazioni fra immigrati e autoctoni a partire dalle comuni condizioni di sfruttamento, in primo luogo sui luoghi di lavoro.

Solo con un lavoro comune sui territori che faccia della solidarietà di classe l'elemento fondante sarà possibile lottare in modo efficace contro le leggi razziste.

Commissione Antirazzista della FAI

fai-antiracism@libero.it
www.federazioneanarchica.org/antirazzista

 

 

 

 

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it