Da "Umanità Nova"
n. 8 del 2 marzo 2003
Missioni di peacekeeping
Militari italiani in ogni angolo del mondo
L'autorizzazione alla spesa del contingente italiano in Afganistan di mille
alpini, apparentemente sino al prossimo 30 giugno (ma è probabile
che lo Stato Maggiore sia già pronto a dare il cambio nell'eventualità
di un prolungamento "duraturo"), offre l'occasione di monitorare la presenza
militare all'estero in missioni di pace (guai a chiamarle diversamente!),
sotto varie forme che vanno da corpi armati a osservatori ed esperti militari.
La mappa risponde a diversi criteri, da quelli più immediatamente
comprensibili per ragioni di evidente geopolitica (i Balcani), a quelli
più stravaganti: quali interessi ha l'Italia in Indonesia per giustificare
un contingente armato a Timor est, se non per adulare la chiesa cattolica
da sempre vicina alle rivendicazioni separatiste in una regione martoriata
dal genocidio indonesiano mai stigmatizzato dalle autorità italiane?
E cosa dire del ruolo in Mozambico se non che la mediazione offerta dalla
Comunità cattolica di Sant'Egidio ha "fatto" la politica estera
italiana (per conto del Vaticano) surrogando quella del governo italiano?
La penetrazione militare nella sfera umanitaria è ormai una caratteristica
consolidata della nuova tipologia di guerra: se essa è sempre stata
fatta per conseguire e difendere la pace ("si vis pacem para bellum",
dicevano i latini, nelle migliori intenzioni di ogni costruttore di imperi,
anche se non arrivavano a immaginare che avrebbero dato nome ad un'arma
micidiale), oggi la mano destra armata si coniuga sempre con una mano
sinistra propriamente umanitaria che vede in prima fila la presenza italiana
più qualificata grazie a numerosi volontari, associazioni cattoliche
e laiche, ong in famelica fila per sussidi e finanziamenti di ogni risma
(specie dal programma Echo dell'UE, quando era diretto dal commissario
radicale Emma Bonino).
La specificità italiana è quella di offrire, in rapporto
a quanto fanno altre potenze, poche risorse armate e molte risorse umanitarie
in fatto di personale e know how, quasi a volerci scusare della logistica
offerta agli altri, dei servizi per conto altrui, e dei militari che pur
non di meno sempre armati sono per offendere e difendere. In tal modo,
si pensa di resistere alla militarizzazione incalzante del pianeta assumendoci
il compito dei medici a posteriori che curano le ferite dei danni provocati
appunto con la mano destra, nostra e dei nostri alleati-padroni. Emblematico
il successo di Emergency in una Italia pronta a piangere per i figlioli
inviati in guerra - nulla di più, nulla di meno - mettendo mani
al portafoglio per ripagarci la falsa coscienza del gesto pur sempre micidiale.
Certo, così Emergency potrà pure fare bella figura, respingendo
con sdegno i soldi del governo Berlusconi (ma non quelli del governo Cuffaro
in Sicilia…).
Le missioni Nato, da obbligo obtorto collo, sono ora routine da quando
la sfera territoriale per gli interventi di difesa del Patto Atlantico
stanno arrivando in Medio Oriente (si parla di una linea di militari Nato
lungo l'asse verticale del fiume Giordano a dividere Giordania e Israele
una volta riannessi i Territori occupati della West Bank). Le missioni
multinazionali, dentro e fuori le Nazioni Unite, rispondono di volta in
volta al dovere di una media potenza quale l'Italia che è consapevole
di non poter essere assente dai luoghi in cui si decidono le sorti del
pianeta, magari bluffando quanto a uomini e mezzi messi a disposizione.
Si sa, chi non c'è non conta. Ancora da venire, invece, la Forza
di Pronta Risposta dell'Unione Europea in cui i 25 aderenti si impegnano
a costruire un corpo di 70mila uomini aviotrasportabili in brevissimo
lasso di tempo, integrabile in qualsiasi missione Nato, multinazionale
(a guida americana) o ONU.
Infine, la presenza militare risponde in parte ad un passato coloniale,
sempre più lontano, in parte ad una presenza commerciale, ad un
investimento futuro per successive trasformazioni in sede economica (regione
dei Grandi Laghi in Africa, ricche di materie prime), a quanto seminato
nei processi di nation-building (Afganistan oggi), in cui l'Italia ha
avuto sub-appaltato la funzione di creare ex novo e a nostra immagine
e somiglianza il sistema giudiziario per quelle popolazioni, che solo
per questo già godono della mia commiserazione.
Salvo Vaccaro
Missioni all'estero dell'Esercito Italiano
Afganistan dal 2002 in corso missione multinazionale con 1000 alpini
Albania dal 1997 in corso esperti militari: (ALBA) con 3mila soldati
(Allied Harbour) con 2300 uomini
Bosnia dal 1995 in corso in missione Nato (IFOR-SFOR) con oltre 2mila
uomini
Congo dal 1999 in corso osservatori militari
Egitto, Siria, Israele dal 1958 in corso osservatori militari
Eritrea, Etiopia dal 2000 in corso osservatori militari
India dal 1949 in corso osservatori militari
Iraq-Kuwait dal 1991 in corso osservatori militari
Ex Jugoslavia dal 1991 in corso monitoraggio
Kosovo dal 1998 in corso monitoraggio
dal 1999 in corso in missione Nato (KFOR) circa 5mila soldati
Libano dal 1958 in corso osservatori militari
dal 1979 in corso missione Onu
Malta dal 1973 in corso esperti militari
Marocco dal 1977 in corso esperti militari
Pakistan dal 1949 in corso osservatori militari
Sahara occidentale dal 1991 in corso monitoraggio
MISSIONI ALL'ESTERO DELL'ESERCITO ITALIANO GIA' CESSATE
Afghanistan 1989-90 esperti militari
Albania 1991-93 operazione nazionale
1997 missione multinazionale
1999 missione Nato
Iran-Iraq 1988-91 osservatori militari
Kurdistan 1991 operazione multinazionale
Kuwait 1990 esperti militari
Libano 1982-84 missione multinazionale
Macedonia 1998-99/2001 missione Nato (Essential Harvest) con 700 uomini
Mozambico 1993-94 missione Onu
Namibia 1989-90 missione Onu
Ruanda 1994 operazione multinazionale
Somalia 1983-90 esperti militari
1992-94 missione Onu (Restore Hope) con 3mila uomini
Timor est 1999-2000 missione multinazionale
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