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Da "Umanità Nova" n. 8 del 2 marzo 2003

Verso il ritorno della pena di morte in guerra?
Il Senato rinvia sine die la modifica costituzionale



Fin dal 1944 (art. 1, D.L.vo Lgt. 10.8.44, n.224) la pena di morte è stata soppressa dal codice penale italiano. La costituzione repubblicana (art. 27, c.3) prevede che "Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra". Con legge 23.10.94, n. 589, composta da un unico articolo, è stata abolita la pena di morte anche nel codice penale di guerra e dalle leggi militari di guerra. La previsione contenuta nella costituzione è stata quindi superata dalla legge ordinaria ed era quindi opportuno rimuovere anche dalla costituzione il riferimento alla pena di morte, con la procedura di modifica prevista dall'art. 138 Cost. (doppia lettura dei due rami del parlamento). Il disegno di legge di riforma costituzionale è stato approvato da tempo dalla camera con un solo voto contrario ed era in questi giorni al vaglio della commissione affari costituzionali del senato, dopo sette mesi di attesa.

Succede ora che la maggioranza abbia rinviato l'esame di questo disegno di legge costituzionale a data da destinarsi per una non meglio precisata "necessità di approfondimenti". Il fatto mette bene in risalto le pulsioni marziali di questo governo. Ora, senza la modifica alla costituzione, la pena di morte potrebbe essere reintrodotta nel codice penale militare di guerra con un semplice decreto legge governativo che andrebbe poi convertito in legge dal parlamento: e, come si sa, il parlamento quello attuale approva qualsiasi cosa proposta dal governo.

Appare chiaro che il non espungere totalmente dal nostro ordinamento la pena di morte ha un alto valore simbolico, nel momento in cui, di fatto, il paese è in guerra: gli alpini sono mandati a combattere in Afganistan e la guerra in Iraq può essere questione di giorni o settimane e non è da escludersi un invio di militari anche lì, magari non nelle prime fasi dello scontro. Inoltre, la prospettiva che si affaccia di una sorta di guerra permanente al "terrorismo" potrebbe comportare l'applicazione delle leggi di guerra (compreso il codice penale militare di guerra) non solo per i militari all'estero, ma su tutto o in parte del territorio nazionale, anche senza una formale dichiarazione dello stato di guerra ai sensi dell'art. 87, c. 9 Cost. La prospettiva non è per nulla fantascientifica. Abbiamo assistito in questi mesi ad un inasprimento del sistema penale e dell'ordinamento carcerario con la creazione di nuove fattispecie di "terrorismo internazionale" e l'equiparazione dei "terroristi" (politici e non) ai mafiosi per quel che riguarda il c.d. carcere duro.

Abbiamo visto procure della repubblica rispolverare fattispecie come la "associazione sovversiva" e la "cospirazione mediante accordo o mediante associazione". Insomma, il sistema penale subisce le tensioni dovute alla "emergenza terrorismo" e la destra al governo lascia aperta la finestra per reintrodurre, se del caso, la pena di morte nel nostro ordinamento con un semplice decreto legge, strumento tipico, appunto, di situazioni di emergenza.

Se poi consideriamo che questa guerra in corso non ha fronti, che si prevede "infinita", che facilmente potrà dirsi che "il nemico è tra noi", che la paranoia sicuritaria è inoculata quotidianamente da stampa e televisione e la paura è la merce che oggi si vende meglio, non è assurdo pensare che la destra forcaiola, machista e marziale al potere trovi l'occasione per reintrodurre la pena di morte nel codice penale militare di guerra e che essa sia applicabile a molti più soggetti di quanti si possa immaginare.

Simone Bisacca

 

 

 

 

 

 


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