archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 8 del 2 marzo 2003

Bolivia
Guerra sociale contro l'imposta infame



Preliminari: gli argomenti del governo (e del FMI)

Da diverso tempo il governo aveva annunciato la necessità di apportare consistenti aggiustamenti al Bilancio di Previsione Generale della Nazione per il 2003, con lo scopo di ridurre il deficit fiscale, che nel 2002 aveva raggiunto un 8%. Si sapeva anche che il FMI faceva pressioni sul governo perché riducesse questo deficit ad un 3,5%, e che in nessun caso avrebbe dovuto superare il 5,5%; per far questo, lo stesso FMI vedeva due sole possibili vie: o incrementare il prezzo dei carburanti (subito soprannominato "gasolinazo"), o aumentare le imposte ("impuestazo"). Il governo accantonò la prima alternativa e optò per l'incremento del IEHD, annunciando pubblicamente che, sommando l'apporto petrolifero al recupero tramite imposta, insieme ad una riduzione degli sprechi nella burocrazia statale, si sarebbe giunti a contare su 39 milioni di bolivares per il Bilancio di Previsione (nel 2002 era stato di 29 mila), cifra che avrebbe consentito di affrontare un programma di investimenti espandendo l'impiego.

Giova ricordare che in Bolivia il 50% di quelli che hanno un lavoro (la maggior parte sopravvive alla meglio) guadagna meno di 110 Euro e l'80% meno di 850 Euro, che è il minimo stimato per un paniere familiare.

Il governo non ascolta la popolazione

Il mero annuncio ha innescato vaste reazioni che chiunque avrebbe inteso come pericolose, ma che il gabinetto economico semplicemente non ha ascoltato. Le persone intervistate per strada dicevano chiaramente che non erano così stupidi da continuare a sacrificare le proprie entrate a beneficio di uno stato che non faceva nulla per loro. Osservatori con differenti punti di vista commentavano che la burocrazia si inghiotte il 65% delle imposte. Gli imprenditori privati avvertivano che dar soddisfazione al FMI avrebbe condotto ad un aumento della recessione e della disoccupazione, che comprimendo le possibilità di spesa della popolazione si sarebbe prodotta una riduzione delle transazioni ed un incremento della mora bancaria, e che il risultato finale sarebbe stata un'economia stremata e l'aggravarsi della crisi.

In linea generale, vi è stato un rifiuto di questa cieca obbedienza al FMI. Al colmo è piovuto l'annuncio di riduzione dei salari dei poteri Esecutivo e Legislativo in modo da spartire il peso della manovra di Bilancio, che non è però mai stato concretizzato in cifre (il Presidente ed i parlamentari guadagnano 30 mila Bs, i ministri 29 mila e i viceministri 22 mila, molti sovrintendenti guadagnano più del Presidente, senza contare i "bonus" e altre prebende).

L'"impuestazo" e le proposte alternative

Il Presidente lo ha proclamato domenica 9 alla sera. La misura risultava più dura del previsto: a partire dai salari minimi entro il paniere (880 Bs), iniziava una decurtazione tributaria del 4,2%, che cresceva gradualmente fino ad un 10,3% per paghe superiori a 5.000. Inoltre non era più possibile scaricare l'IVA sulle fatture (motivando ciò con l'irregolarità delle fatture utilizzate da molti). L'annuncio è stato breve, ed ha sottolineato la perentoria necessità di ridurre il deficit e rendere possibile l'inversione di tendenza, promettendo giorni migliori, la stessa promessa che la popolazione ascolta dal 29 agosto 1985.

Il lunedì e il martedì sono trascorsi con minacce di tormenta: il rifiuto dell'"impuestazo" era unanime. Gli economisti coincidevano con gli imprenditori e i dirigenti sindacali: i problemi del paese non possono essere risolti sulle spalle di questa minoranza che sono i 170 mila lavoratori dell'economia formale; e abbondavano le proposte alternative: gli imprenditori insistevano nell'ampliare la sfera dei contribuenti e farla finita col contrabbando, oltre a ridurre l'IVA all'8%; i dirigenti sindacali parlavano di riscuotere le imposte agli eterni evasori (a questo proposito il giornale La Razon informava che vi sono attualmente 1.068 cause intentate dalle Imposte Interne, per oltre 523 milioni di dollari, una cifra di molto superiore a quanto il Governo ha bisogno per riequilibrare il deficit), includendo fra gli eterni evasori uno dei soci del governo, Johnny Fernandez; i dirigenti politici di opposizione insistevano nell'eliminare le famose spese riservate; il cosiddetto Stato Maggiore del Popolo proponeva di raddoppiare le royalties petrolifere (dal 18 al 37%) e recuperare le Azioni del Fondo di Capitalizzazione Collettiva; noi invece aggiungevamo la proposta di recuperare il denaro che se ne va per la corruzione (secondo l'analisi del conservatore Collegio degli Economisti di Bolivia, sono 1.200 milioni di dollari all'anno, il 25% del bilancio del 2002). Il martedì si è saputo che la Polizia Nazionale si ammutinava contro il Governo, esigendo non solo la deroga della misura ma anche una serie di rivendicazioni salariali e sindacali.

Il paese si incendiava e il Governo si vedeva obbligato a ritirare l'"Impuestazo", ma nonostante la situazione e le minacce di mobilitazione, di battaglia parlamentare e di sciopero generale contro la manovra, il Governo si limitava ad affermare che "non vi sarà marcia indietro". È stato necessario che vi fossero una catasta di morti e di feriti (si parla di 30 morti e 170 feriti, la maggior parte di questi fra la Polizia), e una quantità di danni materiali, perché il Governo la capisse.

Effettivamente il mercoledì, con le forze di polizia schierate, è cominciata la mobilitazione. Un corteo studentesco ha acceso la scintilla infrangendo le finestre del Palazzo del Governo. Le Forze Armate (Polizia Militare) sono accorse a reprimere gli studenti e si è prodotto uno scontro feroce con le forze di polizia che erano concentrate nella caserma del GES (Gruppo Speciale di Sicurezza). Gli scontri, trasmessi in tutto il paese, riempivano di feriti l'Ospedale Clinico. Con i primi morti, le forze di polizia hanno raddoppiato la furia, mentre la popolazione civile si concentrava e cominciava ad esprimere l'ira contenuta per anni. In poche ore sono stati assediati ed incendiati il Ministero del Lavoro, la Vicepresidenza, il Ministero dello Sviluppo Sostenibile, le sedi dei partiti al governo.

Il presidente e i suoi ministri hanno dovuto essere evacuati dal Palazzo di Governo. Il fumo degli incendi si miscelava coi gas della Polizia Militare.

Nel frattempo il Portavoce Presidenziale e il Ministro della Difesa hanno ottenuto il ridicolo, informando che si stava per raggiungere un accordo fra le parti coinvolte e che già la pace stava tornando nella strade, mentre in realtà la sede del governo era un inferno, agli assalti politici susseguivano assalti economici e saccheggi di negozi, si tentava di dar fuoco alla Birreria, e il fuoco si era acceso anche a Alto, Cochabamba e Santa Cruz, e si temeva la presa della Prefettura da parte delle forze di polizia.

Alle 16,30 il Presidente ha comunicato che ritirava la proposta di aumento tributario e pregava Dio di salvare la Bolivia (in questo modo riconoscendo che non poteva fare nulla). Ma le cose non sono cambiate. Gli incendi ed i saccheggi si sono prolungati fino a notte inoltrata. Il comandante della Polizia ha presentato le sue dimissioni; la agenzia di notizie Fides ha annunciato la rimozione del ministro del Governo; i poliziotti vegliavano i loro morti e giuravano vendetta.

Il ministro del Lavoro e quello dell'Educazione hanno decretato la sospensione delle attività per il giovedì, cosa che hanno fatto anche le banche. Evo Morales e lo Stato Maggiore del Popolo reclamano le dimissioni del Presidente, Vicepresidente e la convocazione dell'Assemblea Costituente, con l'argomento che l'unica soluzione è rifondare il paese in base ad un modello che definitivamente non sia quello dell'attuale Presidente.

Questa cronaca si ferma a giovedì 13, giorno un cui il paese è paralizzato ed hanno inizio mobilitazioni che possono essere molto forti, mentre i militari e i carri armati sono nelle strade.

Prospettive

Non si può anticipare nulla. Il Governo ha firmato un contratto con la Polizia, ma sembra che la maggior parte della Polizia Nazionale rifiuti questo accordo. Per il resto si è dimostrato che la popolazione è carica di frustrazione e d'ira. Al riguardo, è interessante paragonare questa mobilitazione con quella di Caracas di undici anni fa, ove la popolazione di diresse subito ai supermercati a saziare la fame repressa, mentre a La Paz (e nelle altre città) in primo luogo si è espresso un percorso politico, che si è concentrato sugli edifici ove concretamente si detiene il potere dello stato e dei suoi usufruttuari, che sono i partiti di governo.

Sembra che i discorsi pacificatori della Chiesa, la Stampa e il Governo poco raggiungano gli animi della popolazione che ha superato i limiti della furia e che oltretutto ha la dimostrazione che dietro i discorsi dei governativi continua la minaccia della repressione. Bisognerà vedere come evolveranno le mobilitazioni, compresi i funerali dei 12 poliziotti morti. Per ora ci sono altri due morti (uno a Alto e uno nel Chapare) e la tensione sale.

Per il resto, il governo è rimasto senza progetti per riequilibrare il bilancio, e non sembra disposto ad accettare le controproposte sopra elencate. Continua invece a discutere sull'ipotesi di aumento della benzina, che provocherebbe reazioni ancora più radicali. L'incertezza è totale.

Juventudes Libertarias
(via CRIFA, trad. Aenne)

 

 

 

 

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it