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Da "Umanità Nova" n. 8 del 2 marzo 2003

Divieti e repressione
15 febbraio: New York contro la guerra



La maggiore città degli Usa, che si dice risplenda come un raggio di democrazia globale, ha rifiutato di concedere agli organizzatori una marcia di protesta. È stato consentito solo un presidio.

Il diniego del corteo è soltanto un elemento nella generale campagna di disturbo, che il giorno precedente la manifestazione ha visto anche la messa in circolazione di una voce la quale dava per cancellato l'appuntamento; un "Allarme Arancione" antiterrorista ha poi fatto disporre militari dotati di armi automatiche agli ingressi di tutte le stazioni della metropolitana; e poi ancora il divieto di far collocare WC portatili per le masse attese alla manifestazione; il misterioso variare di itinerari della metro e degli autobus nella mattinata; il silenzio imposto ai telefoni dell'ufficio "United for Peace and Justice"; ed infine una pesantissima e talvolta brutale presenza poliziesca che ha confinato l'evento entro le barriere ed ha impedito a migliaia di accedervi.

N.Y. dispone della più grande forza di polizia del mondo: sono quarantamila. Quando decidono di controllare lo spazio pubblico, hanno a disposizione risorse enormi per farlo, e di solito ci riescono.

Ma sabato 15 no.

Sabato qualcosa come sedici differenti cortei di convergenza erano partiti dai vari punti di aggregazione, per partecipare alla manifestazione. Molti hanno cercato di rimanere entro i termini legali, camminando sui marciapiedi, cosa che non richiede un permesso. Altri invece hanno invaso le strade. Tecnicamente, prendere la strada era un atto di disobbedienza civile, una cosciente infrazione di una legge ingiusta ed iniqua. In questo caso, molti di noi hanno sentito che la legge che ci impediva di marciare tutti insieme era una violazione dei nostri diritti costituzionali di libertà di parola e di assembramento. E che se non lo difendiamo nei momenti cruciali, questo spazio ci verrà presto sottratto.

Il corteo degli Artisti e quello Sindacale sono riusciti a conquistarsi la strada senza incidenti. La polizia semplicemente è rimasta ai lati e li ha lasciati andare. Gli studenti invece sono stati meno fortunati. Io ero col contingente degli studenti che si è ritrovato a Union Square verso le dieci del mattino. Un corteo proveniente dall'Università di N.Y. ci ha raggiunto, ed insieme ci siamo diretti verso la 14ma Strada, sul marciapiede fino alla 6a Avenue, poi sciamando in strada. Siamo risaliti trionfalmente per l'Avenue, a passo svelto, una massa esuberante che era impossibile trattenere, anche se alcuni di noi cercavano di farla rallentare per evitare sfilacciamenti. Eravamo diverse migliaia.

Verso la 22ma Strada, la polizia ci ha fatto uno sbarramento, ordinandoci di risalire sui marciapiedi o affrontare degli arresti. Stavano provocando, spingevano e minacciavano coi manganelli, e gli studenti sono riusciti a trattenersi in maniera ammirevole dal rispondere. Hanno invece girato l'angolo, preso una strada laterale, attraversato di corsa un parcheggio e si sono ripresentati compatti in un'altra strada. Qualcuno è rimasto indietro, ma ha dato vita ad un serpentone lungo le strade laterali.

Ci siamo poi ritrovati nella 5a Avenue, subito spinti nella 23ma Strada, intrappolati da uno schieramento di polizia davanti e dietro. Ho visto un giovane gettato a terra, con cinque sbirri su di lui che gli giravano i polsi dietro la schiena per ammanettarlo.

La strada era affollata di studenti, e la polizia ha deciso di effettuare delle cariche a cavallo in modo da sbandarci e spingerci sui marciapiedi. I cavalli, di cui alcuni avevano l'aria di essere ben poco controllati dal loro arcione, hanno fatto i caroselli e poi i poliziotti hanno deciso che avrebbero consentito soltanto l'uscita di piccoli gruppi, al massimo 50 per volta. Il nostro gruppo è rimasto metà fuori e metà compresso dentro. Chi usciva doveva affrettarsi a disperdersi, altrimenti altri non erano fatti passare. Ormai un piccolo contingente, ci siamo diretti verso la Biblioteca centrale, sulla 42ma, dove ci siamo ritrovati con altri, cercando sempre di dirigerci verso il punto di incontro della manifestazione. Tutte le strade di accesso erano barricate dalla polizia alla Lexington Avenue: alla gente era vietato dirigersi verso il concentramento.

Molti cominciavano ad essere incazzati, ma il clima generale era creativo e deciso. Qualcuno del gruppo è entrato in un negozio di Donuts per far pipì e si è accorto che bastava uscire dall'altra entrata per scavalcare le barricate. Abbiamo raggiunto la 3a Strada, strapiena di masse di gente che semplicemente manifestavano. Vi erano artisti di strada e acrobati che si esibivano, maschere giganti, gente in pigiama che raccomandava a Bush e Saddam di fare una battaglia a cuscinate invece che a testate nucleari. Dalle radio si riusciva ad avere notizie degli altri assembramenti, la gente ballava o andava su e giù godendosi la scena. Gente diversa, rappresentativa di molte razze, classi ed età. Giovani studenti e veterani delle marce del Vietnam dai capelli bianchi, punk e hippie e gente normale, gente vestita di stracci e perfino almeno una signora in pelliccia con un cartello: "Giustizia per la Palestina".

Siamo andati in Times Square, dove il concentramento era vietato, a battere tamburi e gridare slogan mentre la polizia erigeva rapidamente sbarramenti, comprimeva la folla, rifiutava di lasciar passare. Anche qui la gente si è resa conto della mano pesante della polizia. Una ragazzina singhozzava in un cellulare: i suoi erano rimasti di là, non li facevano passare né lei tornare. L'abbiamo assistita e calmata e poi aiutata a ritrovare la sua mamma.

Verso sera abbiamo rischiato di essere presi in una retata di gente che pur camminando regolarmente sul marciapiede è stata bloccata. Saranno stati duecento, intrappolati. In tutto nella giornata gli arresti dovrebbero ammontare a 350, la maggior parte senza che contravvenisse ad alcunché.

Starhawk, Trad. Aenne

Nota: l'avaro spazio del nostro giornale non ci consente di riprodurre per intero l'articolo, contentandoci di riportarne i fatti di cronaca.

 

 

 

 

 

 


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