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       Da "Umanità Nova" 
        n. 9 del 9 marzo 2003  
        RAI: partita di potere 
        Il re è più nudo che mai
        
         
        Se ne sono viste di tutte i colori, e mai come in questi giorni istituzioni, 
        governo e partiti di maggioranza hanno fatto una simile figura del cavolo. 
        Del resto la posta è grossa, più di quanto si possa credere, 
        e allora, che importa una figuraccia in più? Naturalmente stiamo 
        parlando della Rai, di quel che ne resta e del poco che, andando così 
        le cose, ne avanzerà a breve. La storia è troppo nota per 
        ripeterla: un Consiglio di Amministrazione decimato e al limite dell'interdizione, 
        una indecorosa lite fra domestici che si contendono il privilegio di lustrare 
        gli stivali del cavaliere, una qualità dei programmi indecente, 
        una informazione politica da denuncia alla Corte dell'Aja, un pullulare 
        di madonne e papi, preti e suore, vescovi e cardinali, sacrestani e frati, 
        santi guaritori e sante inguaribili (ma il miracolo della qualità 
        non avviene), i servizi sulle esternazioni del Gasparri di turno e l'assenza 
        dai grandi appuntamenti sociali, un declino inarrestabile negli ascolti 
        con conseguente travaso di pubblicità a Mediaset, un progetto di 
        risanamento, dialettale e in camicia verde, che farà rimpiangere 
        le televisioni commerciali degli anni ottanta, un fiorire di culi, per 
        par condicio maschili e femminili, collocati a volte, come da tradizione, 
        nel fondo schiena, ma più spesso, e più appropriatamente, 
        fra collo e cuoio capelluto...
        È bastato poco più di un anno di governo berlusconiano 
        per dare il colpo di grazia, definitivo e irreversibile, a una struttura 
        già duramente provata da decenni di gestioni prima democristiane 
        e poi uliviste. E, viste le condizioni, si stenterebbe a capire come mai, 
        sulle spoglie di questo "morto che cammina", ci si continui a scannare 
        più che si trattasse di muovere guerra all'Iraq o approvare la 
        prossima finanziaria. Eppure, se in questi giorni nugoli di potenti, orgogliosi 
        e consapevoli delle proprie funzioni, hanno buttato nel canale la loro 
        dignità, accapigliandosi con pari loro altrettanto orgogliosi e 
        consapevoli, se le più importanti figure istituzionali sono scese 
        in cortile per litigare come polli da batteria, un qualche motivo, allora, 
        ci deve essere.
        La Rai, infatti, nonostante tutto, resta pur sempre una grossa realtà. 
        È la "più grande industria culturale del paese", il luogo 
        in cui si produce la maggiore quantità di informazione politica, 
        il pulpito dal quale si influenza la formazione di gusti e tendenze degli 
        italiani (l'ha detto la televisione!), la struttura più capillare 
        e invasiva del sistema mediatico. Se si aggiunge che è anche un 
        formidabile carrozzone, inesauribile nel produrre posti e poltrone di 
        prestigio, si capisce come il gioco valga lo squallido spettacolo che 
        ha visto a congresso, l'un contro l'altro armati, i moralistici antilottizzatori 
        di ieri (quando ne erano esclusi), i duri e puri di Roma ladrona e di 
        Milano capitale morale del regno delle fate, i professionisti del manuale 
        Cencelli, i silenti vassalli del Leader. Tutti, alla fine, accucciati 
        davanti al grammofono, consapevoli che l'unica voce che conta è 
        quella del padrone. A quindici giorni dalla invasione anglo-americana 
        dell'Iraq, nel pieno di una drammatica situazione politica ed economica! 
        Non c'è che dire, un'occasione offerta all'opposizione su un piatto 
        d'argento per permetterle di affermare, con un minimo di credibilità: 
        vedete che cialtroni ci governano, noi sì che saremmo seri e coscienziosi, 
        e per consolarla del fatto che, sulla futura spartizione del CdA, il loro 
        parere varrà meno del due di coppe.
        E in questa sceneggiata, che stimeremmo indecorosa se ritenessimo decorosa 
        la classe politica che l'interpreta, anche l'altra parte dell'informazione 
        ha fatto la sua parte. Tralasciando, infatti, il "servizio" televisivo, 
        che ha fatto il suo mestiere dedicando il minimo indispensabile e il massimo 
        incomprensibile alla faccenda, nella stampa "indipendente", che pure ha 
        stigmatizzato la caduta di stile (ma non la sostanza dei fatti) parlando 
        di mercato delle vacche e di vulnus istituzionale, si è finto di 
        non vedere che il re è più nudo che mai, e che sul controllo 
        dell'informazione si sta giocando una importantissima partita di potere. 
        Così importante da giustificare lo spregio delle più elementari 
        regole di una democrazia sbandierata a comando per l'opinione pubblica, 
        ma ignorata, quando non beffeggiata, nei palazzi che contano.
        Il famoso conflitto di interessi, per il quale si era pronti alla rivoluzione, 
        risvegliando masse di militanti assopite dalle bicamerali di dalemiana 
        memoria, è dato ormai come un fatto acquisito, passibile, tutt'al 
        più, di marginali contrattazioni e meschini patteggiamenti. Ma 
        non di reali cambiamenti. E infatti il padrone del vapore, talmente esaltato 
        da scordarsi di spalmare la nutella sulla pelata, si è esibito 
        in un arrogante sproloquio, offensivo non solo delle "più alte 
        cariche dello stato" ma anche, e soprattutto, della più elementare 
        decenza. Rivendicando il padronale jus primae noctis nei confronti dei 
        suoi sudditi e la legittimità per la maggioranza "democraticamente 
        eletta" di prevaricare, dimostra, ancora una volta, che la legge è 
        uno strumento in mano al potente di turno, cioè a lui, e chi non 
        è d'accordo si attacchi. I suoi interessi materiali valgono più 
        del "bene pubblico", l'opera di smantellamento della televisione di stato 
        non è che agli inizi e la determinazione a concludere è 
        più forte che mai. Con buona pace delle anime belle della "rivoluzione" 
        neoliberista e del pluralismo dell'informazione.
        
        Massimo Ortalli
        
        
         
        
         
        
       
         
        
       
         
       
         
         
        
        
       
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