| 
       
       Da "Umanità Nova" 
        n. 10 del 16 marzo 2003  
        Il mercato delle vacche 
        La guerra sta iniziando con o senza l'ONU
        
         
        Che sarebbe andata a finire così, lo si andava ripetendo da mesi. 
        Che la ragion di stato e la logica del potere avrebbero prevalso su ogni 
        altra considerazione, era nell'ordine delle cose. Che ancora una volta, 
        e ancora più spudoratamente, il terreno della "politica" sarebbe 
        diventato quello delle armi, neanche fossimo ai tempi della guerra dei 
        trent'anni o delle due rose, non c'era davvero motivo per dubitarne.
        Quello che invece è abbastanza sorprendente e molto significativo, 
        è il modo in cui si è arrivati a dare questo schiaffo mortale 
        alle regole e alle istituzioni sulle quali gli stati e i poteri politici 
        hanno fondato il loro sistema di relazioni. Ma indubbiamente la partita 
        è talmente grossa da giustificare lo sbeffeggio delle convenzioni 
        internazionali e delle istituzioni sovranazionali. Talmente grossa da 
        fare dell'Onu, la massima organizzazione mondiale, il palcoscenico di 
        una pessima farsa, e delle sue austere assemblee l'equivalente del rimpianto 
        mercato del bestiame che ogni mercoledì animava con coloritissime 
        espressioni la cittadina di Lugo di Romagna. Neanche la Guinea fosse la 
        Bianchina, il Camerun Stellina e George daboliù Frazcôn 
        d'e sass.
        È evidente che al Palazzo di vetro, comunque vadano le cose, 
        si sta celebrando un vero e proprio de profundis. Un de profundis 
        non solo per le Nazioni Unite, che ne escono con le ossa fracassate, 
        ma anche per quel rispetto delle forme che in questi ultimi sessant'anni 
        aveva fatto sì che ogni grande decisione internazionale, per quanto 
        bastarda potesse essere, conservasse tuttavia un'aura di legittimità. 
        Che il cosiddetto Diritto internazionale, insomma, fosse un concetto un 
        po' meno vuoto di tanti altri.
        Ma quello che sta succedendo - quindi la partita è ancora più 
        grossa di come ce la raccontano - dimostra che il disegno strategico dell'imperialismo 
        americano, per il momento l'unico vero imperialismo presente sulla scena, 
        è di riscrivere per intero, e a suo esclusivo vantaggio, tutto 
        il sistema delle regole internazionali. In modo da legittimarne, se necessario, 
        il diritto ad usare la forza militare come e quando vuole. E questo spiegherebbe 
        tutto il resto: il susseguirsi di richieste all'Iraq sempre più 
        inaccettabili, le dichiarazioni di ultimatum al di là di ogni logica 
        razionale, l'umiliazione del consiglio di sicurezza, del suo ruolo e della 
        dignità dei suoi membri, la necessità di riformularne struttura 
        e funzioni, la non affidabilità del diritto di veto (riecheggiando 
        uno dei più fortunati slogan del Maggio parigino, ora gli americani 
        rinfacciano ai francesi che è v(i)etato v(i)etare), il bisogno 
        di riadattare le regole della democrazia alle esigenze degli Usa e dei 
        suoi alleati.
        Le decisioni di Yalta, la spartizione del mondo, il concetto di zone 
        d'influenza, hanno fatto il loro uso. Anche se ci sono voluti dodici anni 
        per arrivarne a capo, un'epoca è definitivamente tramontata. E 
        ne comincia una nuova. Una nuova Yalta, di cui non sappiamo ancora molto 
        ma delle cui conseguenze avremo tempo e modo per accorgercene. E della 
        quale i prodromi non potrebbero essere peggiori.
        Oggi la storia riparte con una guerra. Una guerra assurda, ingiustificabile 
        sul piano del diritto, incomprensibile sul piano delle forme, ma comprensibilissima 
        su quello del dominio. Una guerra della quale non siamo in grado di calcolare 
        le conseguenze, sia per la popolazione irachena, tragicamente rassegnata 
        al dolore e alla morte, sia per i riflessi che avrà nelle opulente 
        società occidentali. Una guerra che segna l'epilogo di una lunga 
        crisi internazionale nella quale tutti gli stati, tutti i poteri, sia 
        quelli "guerrafondai" sia quelli "pacifisti", ci hanno dimostrato, se 
        mai ce ne fosse stato bisogno, che non esistono stati o poteri buoni. 
        E che dietro a parole di facciata più o meno "democratiche", ci 
        si è veramente battuti solo per conservare o aumentare il proprio 
        potere. Alla faccia dei popoli! Alla faccia della pace! Alla faccia di 
        un pugno di morti in più o in meno!
        Ma oggi la storia non riparte solo con una guerra. E finalmente, ci 
        sentiamo di dire!
        Finalmente, in tutto il mondo, è ripartito anche un movimento 
        di popoli, è ripartita anche una coscienza. A tutte le latitudini, 
        in tutti i continenti, non si sono rimesse in movimento solo masse non 
        più disposte ad appoggiare chi vorrebbe trasformarle, prima o poi, 
        in carne da cannone. Si è rimessa in movimento anche un'idea: quella 
        che solo agendo in prima persona, senza deleghe e senza cedimenti, è 
        possibile prendere in mano la propria vita. Un'idea formulata ancora con 
        molti difetti, contraddizioni, debolezze. Ma un'idea forte, alla quale 
        gli anarchici sono da sempre fedeli, e alla quale dovranno contribuire 
        con tutta la loro lucidità.
        Massimo Ortalli
        
       
         
       
         
        
         
        
       
         
        
       
         
       
         
         
        
        
       
    | 
   | 
   
     
       
     | 
  
 
      | 
  
 
    |  
      
     | 
  
 
     
       
       
        Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  
        t.antonelli@tin.it 
     |