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Da "Umanità Nova"
n. 10 del 16 marzo 2003
Licenziare i licenziosi
La "giusta causa" della Chiesa (e dello Stato)
La Chiesa cattolica è un'azienda con più di 15 dipendenti,
ma può succedere che vi avvenga un licenziamento senza apparente
"giusta causa": è il caso dell'insegnante di religione fiorentina
licenziata perché ragazza madre.
Ora, aldilà del caso umano, il fatto che ci sia un'insegnante
di religione in meno non ci guasta sinceramente più di tanto il
sonno e l'appetito, ma l'evento stimola tuttavia alcune più generali,
ancorché ovvie, considerazioni.
Come è noto, la designazione degli insegnanti di religione cattolica
viene fatta dal vescovo, sulla base di una formazione curata dalla curia
vescovile e dell'accertamento di tre requisiti personali: 1) retta dottrina
2) abilità pedagogica 3) testimonianza di vita cristiana.
Sulla base di questi criteri, da anni la gerarchia clericale fornisce
i nominativi degli insegnanti di religione ai quali lo Stato italiano,
nelle sue articolazioni amministrative, stipula contratti di lavoro annuali
ed eroga regolare pagamento, consentendo una serie di benefici specifici
rispetto agli altri insegnanti precari (come il diritto alla conferma
annuale sulla stessa scuola). Non risulta che i criteri di cui sopra siano
stati mai contestati dagli interessati, che anzi hanno sempre difeso la
loro specificità, le modalità separate di reclutamento e
selezione, ivi incluso l'accertamento relativo allo stile di vita.
Nella fase attuale, è in via di cambiamento lo status giuridico
degli insegnanti di religione: è infatti imminente l'approvazione
della legge che immette nei ruoli dello stato questi insegnanti, con il
riconoscimento di tutti i benefici e l'esclusione di tutti gli oneri per
la gerarchia ecclesiastica. Non ci saranno più contratti annuali
a tempo determinato, ma contratti a tempo indeterminato. L'individuazione
degli insegnanti da immettere nei ruoli dello stato avverrà comunque
sempre tramite la curia vescovile, previo accertamento dei medesimi requisiti.
Non solo: la curia darà indicazioni allo stato per recedere dal
rapporto di lavoro nel caso in cui tali requisiti vengano meno. In altre
parole, lo Stato (altra azienda con più di 15 dipendenti) dovrà
licenziare un insegnante di religione alle sue dirette dipendenze che
non abbia tra i suoi requisiti la retta dottrina, l'attitudine alla relazione
e persino lo stile di vita. Ribadisco il concetto: non si tratterà
più di un vescovo che cesserà di indicare chi non gli è
più gradito, ma di un'amministrazione statale che, per ordine del
vescovo, procederà al licenziamento di un lavoratore a tempo indeterminato
che abbia uno stile di vita non in linea con la religione cattolica, anche
se conciliabile con le leggi dello stesso stato, che prevedono, ad esempio,
il divorzio e l'aborto e non considerano reato essere ragazza madre.
Non so se si nota il clamoroso paradosso. Certamente non lo hanno notato
i docenti di religione che, costituiti in associazione, rivendicano l'accelerazione
del loro inquadramento, ovvero il reclutamento clientelare clericale e
la tutela occupazionale statale.
Quindi al di là del caso individuale che ci ha sospinto alla
divagazione (caso verso il quale esprimiamo un autentico senso di compatimento,
non riuscendo, nonostante gli sforzi, a sconfinare sinceramente nella
solidarietà), c'è da chiedersi se, in questi casi, sia più
opportuno indignarsi per le motivazioni del licenziamento o per quelle
dell'assunzione.
Un dilemma che di certo ci sarebbe risparmiato se, come sarebbe doveroso,
nella scuola pubblica non si insegnasse la religione cattolica.
Patrizia
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