Da "Umanità Nova"
n. 10 del 16 marzo 2003
Da Bush I a Bush II
Un decennio di guerra statunitense all'Iraq
"Non è una guerra ciò a cui stanno per dare inizio, è
un massacro. Sarà una catastrofe". Così Vincent Hubin, direttore
di Premiere Urgence, la più grande associazione estera di aiuti
umanitari attiva in Iraq, ha descritto la campagna di propaganda, da parte
della "gang" di Bush, per una nuova guerra all'Iraq.
Ma questo sarà soltanto l'ultimo stadio di un decennio di guerra
statunitense - militare ed economica - contro il popolo iracheno. Qui,
Anthony Arnove - editore del libro "Iraq under siege" (Iraq sotto assedio
- N.d.T.), ora ripubblicato in edizione aggiornata - descrive la scorsa
guerra del Golfo e le sue conseguenze.
La guerra del Golfo del 1991 contro l'Iraq non fu affatto una guerra.
Fu un massacro unilaterale in un paese che non poteva competere con le
massicce forze armate dell'esercito statunitense e dei suoi numerosi alleati.
Durante il mese e mezzo di guerra, l'esercito statunitense sganciò
88.500 tonnellate di bombe in Iraq ed in Kuwait - il bombardamento aereo
più concentrato della storia della guerra. Nonostante tutto il
parlare che si fece delle "bombe intelligenti", il 70% di tutte le bombe
statunitensi mancò il suo bersaglio. In realtà, "i missili
teleguidati di precisione, l'icona dei discorsi del Pentagono e l'immagine
preferita dall'esercito per la guerra del Golfo Persico, hanno costituito
appena il 7% delle tonnellate di bombe sganciate sui bersagli iracheni",
riportò in seguito il Washington Post.
Decine di migliaia di civili morirono nella guerra aerea. Più
di trecento civili furono uccisi in un solo attacco - quando due missili
Cruise colpirono il rifugio antiaereo Amiriya il 13 febbraio 1991. Molte
delle persone nel rifugio rimasero uccise dall'impatto diretto con il
missile. Ma altri morirono carbonizzati a causa sia del fuoco sia dell'acqua
bollente che fuoriusciva dalle tubature esplose. A tutt'oggi, il Pentagono
sostiene che il rifugio era un "bersaglio militare legittimo".
Le bombe statunitensi distrussero anche infrastrutture irachene essenziali
al fabbisogno civile, in particolare di acqua potabile ed elettricità
- non per incidente ma come parte di una strategia esplicita. "Con il
crescere dell'evidenza della distruzione di infrastrutture in Iraq e delle
penose conseguenze per i comuni cittadini iracheni, i funzionari del Pentagono
sono ora più propensi a riconoscere il duro impatto che i 43 giorni
di bombardamento aereo avranno sul futuro economico e sulla popolazione
civile irachena", scrisse Barton Gellmann del Washington Post pochi mesi
dopo la guerra.
"Anche se molti dettagli sono stati chiariti, le interviste a coloro
che sono stati coinvolti nella scelta dei bersagli, svelano tre principali
contrasti con la precedente posizione dell'amministrazione Bush, incentrata
su una campagna mirata unicamente alla distruzione delle forze armate
irachene, dei loro mezzi di rifornimento e del loro comando. Alcuni bersagli,
soprattutto nella fase finale della guerra, furono bombardati principalmente
per determinare degli effetti post bellici sull'Iraq, non per influenzare
il corso del conflitto in sé. Gli strateghi ora dicono che il loro
intento era distruggere o danneggiare strutture preziose che Baghdad non
avrebbe potuto riparare senza assistenza da parte di paesi stranieri...
A causa di questi obiettivi, i danni agli interessi e alle strutture civili,
invariabilmente descritti dai relatori durante la guerra come 'collaterali'
ed involontari, a volte non lo sono stati affatto".
Nessuno sa quanti iracheni in ritirata furono massacrati nell'infame
"autostrada della morte". Le forze statunitensi si vantarono apertamente
di una "caccia al tacchino" quando ripetutamente bombardarono la colonna
di persone e veicoli che viaggiava lungo l'autostrada dal Kuwait all'Iraq.
"Da terra sono stato testimone dei brutali risultati della superiorità
aerea americana; carri armati ed automezzi per il trasporto delle truppe
rovesciati e squarciati; corpi marci, carbonizzati, seppelliti per metà,
sparpagliati nel deserto come detriti lasciati da anni - anziché
settimane - di combattimento", ha recentemente scritto uno dei veterani
statunitensi della guerra del Golfo, a proposito delle conseguenze dell'attacco.
"Le parti posteriori delle bombe inesplose, seppellite più o meno
in profondità nel terreno, fungevano da pietre tombali di fortuna
e da agghiaccianti promemoria del fatto che in ogni momento avrebbe potuto
esplodere tutto.
I media mostrarono brevemente le terrificanti immagini del massacro.
Ma i resoconti furono insabbiati a causa delle pressioni da parte di funzionari
statunitensi.
I grandi media hanno anche trascurato di riportare il fatto che più
di un milione di bombe all'uranio impoverito (DU) furono usate dagli Stati
Uniti in Iraq ed in Kuwait. Il Pentagono usa queste atroci munizioni perché
riescono a penetrare i carri armati ed altre superfici spesse - ma queste
bombe si lasciano dietro un disastro tossico. "Oggi, quasi dodici anni
dopo l'uso di queste armi superviolente", ha riportato recentemente il
Settle Post-Intelligencer, "il campo di battaglia è un deserto
di scorie tossiche radioattive".
"I fisici iracheni dicono che l'uranio impoverito è responsabile
di un incremento significativo dei tumori e della sterilità nella
regione. Molti ricercatori fuori dall'Iraq e diverse associazioni di veterani
statunitensi sono d'accordo; anche loro sospettano che l'uranio impoverito
abbia giocato un ruolo nella sindrome della guerra del Golfo, la malattia
di cause ancora sconosciute che ha afflitto centinaia di migliaia di veterani".
Non c'è ragione per credere che la nuova guerra di Bush all'Iraq
non produrrebbe simili atrocità. Nel dicembre 1998, quando l'esercito
statunitense stava ancora una volta bombardando l'Iraq, la forza aerea
sganciò milioni di pamphlet di propaganda. Uno mostrava una foto
dell'"autostrada della morte" - cosparsa di veicoli carbonizzati e cadaveri
- e avvertiva: "Se minacciate il Kuwait, le forze della coalizione vi
distruggeranno di nuovo".
La guerra che non è mai finita
La guerra del Golfo ha lasciato l'Iraq a pezzi. Ma questo non ha impedito
che gli Stati Uniti mantenessero il severo embargo economico che fu imposto
dalle Nazioni Unite in seguito all'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq.
"Il conflitto recente ha portato a risultati quasi apocalittici sulle
infrastrutture economiche di quella che era stata, fino al gennaio 1991,
una società con un tasso piuttosto alto di urbanizzazione e industrializzazione",
hanno scritto i funzionari della missione ONU in Iraq. "Ora, gran parte
dei mezzi di supporto della vita moderna sono stati distrutti o impoveriti.
L'Iraq è stato da un po' di tempo a questa parte, relegato ad un'età
preindustriale, ma con tutte le penalizzazioni di una dipendenza post
industriale da un uso intensivo di energia e di tecnologia".
La verità è che la guerra all'Iraq non è mai finita.
Dodici anni più tardi il paese sta ancora subendo sanzioni devastanti.
Secondo l'UNICEF, tra il 1990 ed il 1998, il tasso di mortalità
iracheno dei bambini sotto i cinque anni è raddoppiato - portando
ad un aumento di mezzo milione di morti.
Molti altri sono morti per malattie, facilmente prevenibili, portate
dall'acqua inquinata, e per mancanza di adeguate cure mediche. Le sanzioni
non hanno lasciato entrare nel paese disinfettanti, fertilizzanti, vaccini,
ambulanze ed altri beni vitali di uso civile - con il pretesto che avrebbero
potuto avere un "doppio utilizzo" militare.
Ed i bombardamenti non sono mai cessati. Aerei statunitensi e inglesi
che decollavano dalla Turchia e dal Kuwait, hanno regolarmente bombardato
l'Iraq in una guerra che i grandi media hanno deliberatamente scelto di
ignorare. Mentre gli Stati Uniti sostengono che questo sia "far rispettare
le risoluzioni ONU", nessuna risoluzione ha mai autorizzato le cosiddette
"no-fly zone".
Ancora oggi gli Stati Uniti affermano che tutto ciò che viene
subito dall'Iraq è causato da Saddam Hussein, sia i bombardamenti
sia le sanzioni. Questo è assurdo. Come ha detto Tun Myat sul New
York Times, amministratore del programma delle Nazioni Unite di vendita
del petrolio in cambio di aiuti alimentari: "La gente è diventata
così povera che in alcuni casi non si può neppure permettere
di mangiare il cibo che gli viene fornito gratuitamente, perché
per molti di loro la razione di cibo rappresenta la parte principale del
loro reddito."
L'embargo ha creato una massiccia inflazione in Iraq, distruggendo risparmi
e guadagni della stragrande maggioranza degli iracheni. La disoccupazione
è salita alle stelle, e i bambini ora chiedono l'elemosina - o
si prostituiscono - per aiutare a sfamare i familiari.
Intanto, più di un quarto delle entrate statali irachene, provenienti
dalla vendita controllata del petrolio, è dirottato nel pagamento
di risarcimenti al governo del Kuwait ed a multinazionali petrolifere,
ed è utilizzato per finanziare le operazioni ONU in Iraq. Per usare
quel poco che rimane, l'Iraq deve fare richiesta all'ONU - dove gli Stati
Uniti usano il loro veto sul comitato per le sanzioni per bloccare regolarmente
richieste di importazioni.
Le bugie che dicono per giustificare la guerra
Il governo statunitense non dice mai che sta andando a fare la guerra
per il petrolio, per i profitti o per il potere. No, semplicemente fa
la guerra per la "democrazia", per "liberare" paesi, per "difendere i
diritti umani", e per "opporsi alle aggressioni".
Quando l'Iraq invase il Kuwait il 2 Agosto 1990, la reazione di Washington
fu di sdegno. "Una linea è stata tracciata sulla sabbia", dichiarò
George Bush senior. "Se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che
dobbiamo resistere alle aggressioni, altrimenti ci distruggeranno". Il
primo ministro britannico Margaret Thatcher, principale alleato di Bush,
aggiunse: "Se lasciamo che l'Iraq riesca nel suo intento, nessun piccolo
paese potrà mai più sentirsi sicuro. La legge della giungla
avrà il sopravvento."
Ma Bush e la Thatcher avevano un punto di vista differente sull'aggressione
dell'Iraq prima del 2 Agosto. Entrambi i paesi armarono e sostennero l'Iraq
e supportarono Saddam Hussein quando era un fedele alleato ed era utile
ai loro interessi strategici sull'area mediorientale ricca di petrolio.
Gli Stati Uniti supportarono l'Iraq durante la brutale guerra con l'Iran
negli anni '80 - al prezzo di un milione di vite umane. Washington aumentò
i suoi aiuti all'Iraq dopo che il governo usò gas avvelenato contro
le truppe iraniane - ed in seguito contro la minoranza curda che vive
in Iraq - uccidendo migliaia di persone.
Quando l'ambasciatore statunitense in Iraq, April Glaspie, incontrò
Saddam a Baghdad il 25 luglio 1990, solo una settimana prima dell'invasione,
"disse che il presidente Bush avrebbe voluto relazioni migliori con Saddam
e che gli Stati Uniti non avevano nessuna opinione sulla questione di
Saddam sui confini con il Kuwait", riportò il Washington Post.
Sia che questa fosse una trappola oppure no, è chiaro che il
presidente iracheno si sentì incoraggiato dal sostegno di Washington
e pensò che avrebbe potuto farla franca attaccando il Kuwait. Dopo
tutto, gli stessi Stati Uniti avevano appena invaso Panama e progettato
un "cambiamento di regime", ritirando fuori il vecchio alleato Manuel
Noriega e uccidendo migliaia di panamensi - senza che nessuno facesse
tanto chiasso a proposito della "legge della giungla" e del fatto di "resistere
alle aggressioni".
Fu anche pura ipocrisia da parte dei funzionari statunitensi parlare
di protezione dei confini con il Kuwait - si tratta infatti di una creazione
artificiosa degli imperialisti britannici che definirono i confini dei
due paesi negli anni '20 per meglio controllare il petrolio della regione.
Il Kuwait era - ed è - un feudo per una ristretta élite
privilegiata alleata con l'occidente. Ma Bush lo chiamò orgogliosamente
un paese "amico".
Quindi lui, ed i suoi amici intimi - molti dei quali sono tornati sulla
scena con nuovi ruoli nell'amministrazione Bush - lanciarono un'inesorabile
campagna pubblicitaria per forzare una guerra all'Iraq. Il Pentagono annunciò
nel settembre 1990 che l'Iraq stava schierando centinaia di migliaia di
militari sul confine con l'Arabia Saudita. Ma quando il Petersburg Times
in Florida indagò e comprò immagini satellitari commerciali
della zona, non trovò nulla. "Questa (intensificazione da parte
dell'Iraq) era l'unica giustificazione per Bush per mandare là
le sue truppe e semplicemente era priva di fondamento", scrive Jean Heller,
la giornalista che per prima riportò la notizia.
In seguito gli Stati Uniti, prima che si riunisse il Congresso, portarono
una "profuga" del Kuwait di quindici anni, chiamata Nayirah, a deporre
su ciò di cui era stata testimone, cioè del fatto che le
truppe irachene avevano rubato incubatrici da un ospedale, lasciando 312
neonati "a morire sul freddo pavimento". Quando il Senato votò
a favore della guerra di Bush senior con un margine di soli cinque voti,
sette senatori fecero una relazione dettagliata della storia di Nayirah
per giustificare il loro voto a favore.
Ma questa storia era una truffa. La falsa testimonianza di Nayirah è
stata parte di una campagna di propaganda del valore di dieci milioni
di dollari da parte del governo del Kuwait organizzata dalla società
di pubbliche relazioni Hill and Knowlton. Nayirah non era una volontaria
dell'ospedale, ma la figlia dell'ambasciatore del Kuwait a Washington.
"Non sapevamo che non era vero in quel momento", sostiene Brent Scowcroft,
consigliere di Bush per la sicurezza nazionale. Ma, ha ammesso, "è
stato utile per mobilitare l'opinione pubblica".
Anthony Arnove
Da z-mag
Documento originale A Decade Of US War On Iraq
Traduzione di Barbara
Cerboni
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