|
Da "Umanità Nova"
n. 10 del 16 marzo 2003
Il "diritto" del più
forte
Scontro sociale e guerra preventiva
L'attacco ai lavoratori da parte del governo di destra è stato
reso esplicito in questi giorni dall'approvazione della "Delega al Governo
in materia di occupazione e mercato del lavoro", legge 14.2.2003, n.30,
pubblicata nella G.U. 26.2.2003, n.47.: la cosiddetta "riforma Biagi"
è diventata legge dello stato. Se l'attacco all'art. 18 dello Statuto
dei lavoratori ha sollevano aspre polemiche e proteste di massa l'anno
passato, il cammino di questo insieme di norme oggi approvato definitivamente,
non ha causato reazioni altrettanto accese.
Sull'art. 18 e sulla valenza simbolica della sua modifica si sono spesi
la CGIL e una fetta significativa della sinistra istituzionale (Rifondazione
Comunista, sinistra DS, Verdi). La "battaglia per i diritti" di Cofferati
& co. vuole contrapporsi alla più generale politica governativa
di demolizione di reddito e diritti di lavoratori e pensionati messa in
atto da quando Berlusconi ha vinto le elezioni, raccogliendo firme e minacciando
referendum abrogativi delle controriforme della casa delle libertà.
Qualcuno a sinistra ha anche pensato di poter giocare da subito sul tavolo
della politica i diritti dei lavoratori, proponendo il referendum per
l'allargamento dell'articolo 18. Il problema è che tutta la sinistra
istituzionale e la CGIL scontano una profonda ambiguità di fondo
quando si affronta il problema del rapporto capitale/lavoro.
Le radici della vera e propria "macelleria sociale" che la destra sta
compiendo in materia di diritto del lavoro, pensioni e, prossimamente,
sicurezza sul lavoro (è in programma anche una "riforma" della
legge 626 che regola questa materia) affondano negli anni di governo dell'Ulivo
e in quell'idea di "governo della modernità" che la maggioranza
DS e la Margherita non hanno certo abbandonato (con più coerenza),
mentre altri (in primis Cofferati) sembrano dimenticare di aver sostenuto
fino a ieri. Il prodotto più vistoso di tale visione è costituito
dal "pacchetto Treu" del 1997 che introdusse il lavoro interinale.
Lo spostamento dal piano dello scontro capitale/lavoro e delle incompatibilità
tra i due soggetti a quello delle compatibilità e delle "regole"
ha indebolito i lavoratori davanti allo storico nemico. Il pensiero di
"ingabbiare" il capitale in "regole" è fallace, perché il
capitale in quanto tale è pura forza che capisce solo i rapporti
di forza, è puro stato di fatto che vive della violazione delle
regole, perché si alimenta della distruzione di tutto ciò
che lo circonda, persone e ambiente, che ai suoi occhi è semplice
materia viva da trasformare in profitto. Il capitale si serve della vita
estraendone tutte le energie che gli servono e poi la butta via: succede
per i lavoratori e succede per l'ambiente. Al capitale si possono solo
imporre rapporti di forza, non leggi. Tanto più che la produzione
di leggi, nelle nostre società, passa attraverso la produzione
di consenso con il lavoro sull'immaginario e quindi il controllo dell'informazione
fa sì che a posteriori si possano approvare norme che sono già
state accettate come necessarie dall'immaginario collettivo.
Ormai la produzione legislativa vive di "emergenze", che siano la sicurezza
(terrorismo, guerra, violenza negli stadi) o l'economia (in perenne "crisi")
o qualsiasi altra materia: si legifera solo dopo una "catastrofe" ambientale
o dopo l'improvviso "emergere di un fenomeno" (prendiamo ad esempio la
pedofilia). La produzione legislativa vive ormai molto più dell'occultamento
delle vere cause dei problemi sociali piuttosto che del tentativo di risolverli:
la normativa sui cittadini extracomunitari (compresa già quella
approvata) dall'Ulivo va nel senso di una soluzione dei problemi dell'immigrazione
o soddisfa altre pulsioni (la meschinità di una piccola borghesia
diffusa "spaventata"), altri interessi (come quello di avere manodopera
precaria e ricattabile all'infinito)? E la legislazione sulle droghe?
Si potrebbe continuare. Il conflitto capitale/lavoro è il tipico
esempio di occultamento. Per la destra non è mai esistito e per
la sinistra istituzionale non esiste più: per quest'ultima i rapporti
economici sono dati, si deve semplicemente far sì che si svolgano
in un ambito di "regole certe e uguali per tutti". Ma tutti chi? Quale
comunanza di regole ci può essere tra sfruttati e sfruttatori?
In tempi di guerra come questi, vale l'esempio degli USA: con o senza
il diritto internazionale, porteranno avanti la loro dottrina della guerra
preventiva "ovunque gli interessi americani saranno minacciati": e stabiliranno
loro di volta in volta in cosa consisterà la minaccia. Puro stato
di fatto, non c'è diritto che tenga di fronte alla forza. E il
tutto è condito da vera e propria disinformazione, creazione di
notizie false, propaganda quotidiana di giornali, televisioni, cinema.
Il movimento contro la guerra è composito (c'è chi prega,
chi disobbedisce, chi diserta), ma è comunque la prova che i nodi
stanno venendo al pettine: non c'è istituzione che tenga davanti
alla forza pura e semplice, solo un'altra forza le si può contrapporre.
Solo l'azione diretta e la diserzione sono strumenti efficaci contro il
militarismo. Così deve essere sul piano dello scontro capitale/lavoro.
Alla "macelleria sociale" della destra si deve rispondere con il faticoso
lavoro di tessitura di una solidarietà tra sfruttati che sola può
contrapporsi a chi vuole l'asservimento totale del lavoro al capitale.
Se il capitale vuole i lavoratori soli e con contratti "personalizzati"
per spersonalizzarli meglio, occorre costruire consenso su piattaforme
comuni ai tanti diversi (per tipologia contrattuale o anche per datore
di lavoro formale) che abitano i posti di lavoro e producono quotidianamente
ricchezza per altri. Bisogna proporre rappresentanze comuni sui luoghi
di lavoro e pari trattamenti economici e normativi. Ma bisogna ottenerlo
costruendo percorsi di lotta comuni e aggreganti, nella lucida critica
dell'avversario: chi vuol sfruttare gli esseri umani e il mondo per suo
profitto.
Simone Bisacca
|
|
|
 |
|
Redazione fat@inrete.it Web uenne@ecn.org Amministrazione
t.antonelli@tin.it
|