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Da "Umanità Nova"
n. 10 del 16 marzo 2003
Privata e di "classe"
L'affare scuola in Europa
"Portare la scuola e il mondo degli affari uno vicino all'altra"
(da "Libro Bianco su educazione e formazione", Commissione Europea,
UE)
Quando oggi si ragiona sulla riforma della scuola che il governo di
destra sta realizzando si rischia di dimenticare che misure analoghe sono
già state prese dai governi di sinistra e che, soprattutto, la
logica "nazionale" spiega molto imperfettamente quanto sta succedendo.
Per avere un'idea meno superficiale di quanto sta avvenendo, può
valere la pena di pubblicare alcuni brani che rendono conto della dinamica
internazionale che investe la scuola pubblica.
[1]
Alla base di tutto c'è il fatto
che la scuola "interessa": è un immenso mercato potenziale su cui
fare dei profitti.
Il concetto viene espresso molto bene
e senza equivoci nel "Libro Bianco su educazione e formazione" edito dalla
Commissione Europea (organo esecutivo dell'Unione Europea): "Portare la
scuola ed il settore degli affari una vicino all'altro (...) Trattare
su basi uguali gli investimenti in capitali e gli investimenti in formazione".
Lo stesso concetto viene ribadito in un
documento dell'ERT (European Round Table): "Lo sviluppo tecnico e industriale
delle industrie europee esige chiaramente un rinnovamento accelerato dei
sistemi d'insegnamento e dei programmi (...) Secondo il rapporto, gli
insegnanti avrebbero "una comprensione insufficiente delle nozioni economiche,
degli affari e della nozione di profitto"
Che cos'è questo ERT? Nel 1982
il capo della Volvo ebbe una brillante idea: creare un gruppo di pressione
sull'Unione Europea e in particolare sulla Commissione (organo decisionale
dell'UE, non eletto) perché la Commissione stessa adottasse le
direttive necessarie per aprire il campo dell'istruzione al mercato.
E così fu: un organismo venne creato
con il nome di ERT (European Round Table of Industrialist). Di questo
organismo fa parte un gruppo ristretto di "eletti": il proprietario della
Nestlè, della Gaveart, della PetrolFina, della Philips, della Renault,
della Ericsson... e naturalmente Cesare Romiti, Tronchetti Provera, Pietro
Marzotto, Carlo De Benedetti.
D'altra parte, in un documento della Banca
Mondiale del 1999 che esplicita i suoi orientamenti strategici, intitolato
"L'educazione nel mondo che cambia", si afferma: "La questione essenziale
non è di sapere se il peso degli attori extra-governamentali va
ad aumentare in materia di educazione - questo si farà - ma piuttosto
sapere come questo potrà integrarsi alle strategie globali dei
paesi. (...) Il capitale globale, suscettibile di essere piazzato in una
notte da un punto qualunque del pianeta ad un altro, è costantemente
alla ricerca delle opportunità le più favorevoli, inclusa
una forza di lavoro ben formata, produttiva e di basso prezzo, nei luoghi
favorevoli al mercato e politicamente stabili".
Per quello che riguarda l'Unione Europea,
va detto che essa ha pubblicato un intero Memorandum che riassume tutti
i suoi indirizzi in campo scolastico. Quello che emerge è che,
a partire dal vertice di Lisbona del marzo 2000, l'UE ha deciso di prendere
completamente in mano le politiche scolastiche degli stati membri.
Lo slogan di fondo è quello dell'
"educazione per tutta la vita". In un documento successivo al vertice
di Lisbona si legge comunque: "La sorte dell'insegnamento non è
oggetto di un intendimento unanime. Deve anch'esso essere oggetto di una
privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si
tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari
sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente
realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente
inscritta nelle politiche educative. (...) I sistemi di insegnamento primario
e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell'economia
di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di
messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono
presenti nei paesi toccati dallo studio"
"Dovrebbero essere istituite delle partnership
tra le scuole e il mondo delle aziende su base locale, e anche con le
organizzazioni sociali e culturali"[2]
"Le partnership esistenti tra i college
superiori/università e l'industria dovrebbero essere rafforzate.
A livello locale può essere fatto moltissimo"[3]
"Ci appelliamo ai governi perché
diano all'educazione un'alta priorità, perché invitino l'industria
al tavolo di discussione sulle materie educative, e perché rivoluzionino
i metodi di insegnamento con la tecnologia".[4]
Ma non è tutto. Poiché le
imprese intendono entrare nella scuola, sarà bene prevedere dei
vantaggi fiscali per questa loro opera "umanitaria": "In aggiunta, il
denaro speso per la riqualificazione o per l'apprendistato in azienda,
per esempio, costituisce un bene per l'azienda insieme agli altri beni
fissi, come le apparecchiature per la ricerca. Questo investimento dovrebbe
quindi essere trattato allo stesso modo ai fini fiscali senza pregiudicare
il libero spostamento dei lavoratori. [5]
"È specialmente desiderabile, come la Commissione ha proposto
nella sua Comunicazione su "Una politica di competitività industriale
per l'Unione Europea" (COM 94/319 finale), introdurre accordi in cui le
aziende che hanno effettuato uno speciale sforzo in formazione possano
inserire parte di questo investimento nel loro bilancio come parte dei
loro beni intangibili".[6]
Questo enorme mercato può essere quantificato. È quanto
fa un giornalista belga a commento dei documenti dell'ERT: "Il settore
dell'educazione è paragonabile a quello delle automobili. Il settore
dell'automobile genera ogni anni, nei 29 paesi dell'OCDE, un giro d'affari
di 1286 miliardi di dollari e impiega circa 5 milioni di lavoratori. Nella
stessa OCDE, i paesi membri spendono ogni anno 1000 miliardi di dollari
per i sistemi dell'educazione che impiegano circa 10 milioni di insegnanti.
Se eliminate la metà dei 4 milioni di insegnanti dei 15 paesi dell'Unione
Europea, le cui spese per il salario vanno oltre l'80% delle spese complessive
per l'istruzione, questo libererà milioni di dollari per una guerra
competitiva" (Gerard de Selys, "Education: a new area for colonisation?",
in documenti di "Education International", tavola rotonda sull'educazione,
Helsinky, ottobre 2000)
Come si vede, il taglio dell'organico nella scuola non è un fatto
"nazionale.
Nel Memorandum dell'Unione Europea della primavera scorsa si può
leggere che esistono tre tipi di educazione: "L'educazione formale, che
si svolge negli istituti di insegnamento e di formazione e porta al conseguimento
di diplomi e di qualifiche riconosciute; l'educazione non formale, fuori
dagli istituti di formazione, e che non porta a certificati ufficiali".
L'educazione informale, che è un corollario della vita quotidiana".
L'Unione Europea non si nasconde dietro il suo obiettivo: "Fino ad oggi
è stata l'educazione formale che ha dominato la riflessione politica
(...) L'insieme dell'educazione informale rappresenta una riserva considerevole
di sapere e potrebbe essere una grande sorgente d'innovazione per i metodi
d'insegnamento e di apprendimento". E per quelli che non avessero compreso
il memorandum precisa: "Nel circondario urbano abbondano le possibilità
le più diverse di formarsi, attraverso la vita della strada...."
Per formarsi "a contatto con la vita della strada" le scuole sono di troppo.
L'Unione Europea ci ha pensato e suggerisce ben altri luoghi in cui si
può apprendere in modo "informale": "Per avvicinare l'offerta di
formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire
le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione
delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono
i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali,
i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto,
i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali,
i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro".
Per comprendere la portata e l'incidenza di queste frasi sui governi
basta leggere alcuni passaggi del documento Bertagna che è alla
base della "riforma" Moratti: "In genere, si distingue tra sistema educativo
informale, non formale e formale. Il primo è rappresentato dalla
vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche potenzialità
formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera anche
irreversibile. Il secondo riguarda quell'insieme di istituzioni che, pur
non essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità
e sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione,
tuttavia esprime intenzionalità in questa direzione in un territorio
e lungo l'intero arco della vita dei soggetti. L'ultimo si riferisce specificatamente
al sistema educativo di istruzione e di formazione istituito e strutturato
dalla Repubblica (Stato, regioni, Enti Locali) per i minori e per le giovani
generazioni.
L'ipotesi di riforma che si presenta vuole essere attenta all'integrazione
tra questi diversi sistemi"
Ma d'altra parte già Berlinguer scriveva, nel 1997 (primo documento
sulla "Riforma dei cicli": "Gli obiettivi generalmente condivisi sono
stati: (...) avvicinare i luoghi dell'istruzione alla realtà sociale,
culturale, produttiva, occupazionale del territorio"
"L'istruzione ed il tirocinio, sia che siano acquisiti nel sistema formale
dell'istruzione, sul lavoro od in un modo più informale, sono la
chiave per ognuno per controllare il proprio futuro ed il proprio sviluppo
personale". (2) "Sia che essi..." Non sembra molto simile al brano seguente,
tratto dal documento Bertagna?: " (...) L'attenzione si sposta, dunque,
dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie,
servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono
e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (...) certificazione
delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività
di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un
indirizzo e l'altro del sistema educativo di istruzione e formazione (non
ricorda vagamente le "passerelle" di Berlinguer-De Mauro?) (...) Le tradizionali
alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale
(regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola
perdono, perciò, la loro drammaticità (...) Si aprono, al
contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte
le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli
di maturazione educativa, culturale e professionale, (...) indipendentemente
dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)".
Cosimo Scarinzi
Note
[1]Molte delle informazioni che pubblichiamo sono tratte
da un più ampio dossier editato dal "Manifesto dei 500" di Torino.
[2]"Education for Europeans - Towards the Learning Society",
ERT.
[3]"Education for..." , già cit.
[4]"Education for..." , già cit.
[5]"Libro bianco su educazione e formazione", Commissione
Europea, UE.
[6]"Libro bianco su...", già cit.
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