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Da "Umanità Nova"
n. 11 del 23 marzo 2003
L'imperatore e i vassalli
La guerra all'Iraq e lo scontro tra Europa ed USA
Ci sono periodi nella storia durante i quali situazioni che sembrano destinate
a durare per molti decenni vengono improvvisamente incrinate dall'azione
di uno o più attori presenti sulla scena le cui azioni, inizialmente
precise e controllate nei loro effetti, scatenano un insieme di conseguenze
che vanno di là di quanto inizialmente preventivato.
Lo scontro tra Europa ed USA
Lo scontro politico e diplomatico sulla prossima guerra di invasione
dell'Iraq sembra rispondere a queste caratteristiche, con un insieme di
potenze alleate e subordinate agli USA che hanno iniziato un'attività
di opposizione all'azione americana che oramai è andata di là
di quanto questi attori, principali ma non centrali nello scenario mondiale,
avevano inizialmente preventivato.
Quest'esito dipende da una serie di scelte compiute in primo luogo dalla
leadership USA e dai loro alleati inglesi. In primo luogo la scelta, fortemente
caldeggiata dalla leadership laburista inglese in crisi di legittimazione
presso la propria opinione pubblica e all'interno dello stesso Labour
party, di ricorrere all'ONU per ottenere la legittimazione all'intervento
ha da un lato consentito a Francia, Germania e Russia (con la Cina sullo
sfondo) di esprimere il proprio dissenso sulla guerra ai massimi livelli
globali; questo fatto ha permesso a questi paesi, e soprattutto alla Francia,
di proporsi come portavoce dell'esigenza mondiale di affermazione del
multilateralismo nella relazione tra gli stati mondiali in opposizione
all'unilateralismo USA praticato con circospezione dall'amministrazione
Clinton e proclamato senza veli da quella Bush. In secondo luogo, però,
questa scelta ha costretto i paesi che contestano la direzione mondiale
USA a evitare qualsiasi compromesso con Washington, pena la perdita della
faccia e con quest'ultima della speranza di proporsi come futuro centro
alternativo di potere mondiale. In queste ultime settimane, infatti, abbiamo
assistito a continui tentativi francesi, tedeschi e russi di ammorbidire
la propria posizione: i russi hanno lanciato segnali distensivi agli americani,
i francesi hanno prima finto di non appartenere alla struttura militare
integrata della NATO (nella quale sono rientrati nel 1998) per evitare
che la decisione di assistere la Turchia da parte dell'Alleanza fosse
impossibile da prendere ma fosse allo stesso tempo l'effetto di una decisione
tecnica e non politica, dieci giorni fa gli stessi francesi hanno inviato
la loro squadra navale mediterranea a svolgere esercitazioni congiunte
con gli americani nel Mediterraneo orientale, i tedeschi infine hanno
deciso di sobbarcarsi l'onere di sorvegliare con il proprio esercito le
basi americane in Germania liberando così personale specializzato
americano eventualmente utilizzabile nel Golfo.
Questi tentativi di mediazione, però, si sono infranti contro
una sempre maggiore mediatizzazione dello scontro e contro il rifiuto
americano di concedere alcunché agli alleati-vassalli riottosi.
Chirac, Schoedrer e Putin per riuscire ad allinearsi con Washington a
questo punto avrebbero dovuto innestare una retromarcia che gli avrebbe
privati di ogni credibilità internazionale. L'amministrazione Bush
ha deciso di tenere una linea durissima con questi paesi rifiutando di
concedere loro alcunché sul terreno degli interessi concreti in
gioco in Medio Oriente ma anche su quello del peso decisionale globale
riguardo ad argomenti come i corridoi energetici o lo sviluppo delle tecnologie
legate all'industria militare, a quella spaziale e a quella biologica.
In altre parole gli USA hanno lasciato a Francia e Germania la scelta
tra capitolare senza ottenere nulla in cambio o mantenere la loro posizione
venendo comunque escluse dai principali affari in gioco nei prossimi decenni.
Di fronte a questo vicolo cieco le due potenze europee hanno per ora deciso
di tenere duro aumentando la collaborazione reciproca e dando il via alla
costruzione di un polo finanziario e militare europeo sganciato dagli
infidi alleati italiani, inglesi e spagnoli. Se quest'intendimento riuscirà
a essere una modalità di costruzione di un'Europa ridotta nelle
dimensioni ma ampliata nelle sue determinazioni, o durerà lo spazio
di un mattino dipende da molte variabili. Il fatto stesso che i due principali
paesi europei si stiano ponendo il problema di superare la dimensione
del mercato europeo unificato e che lo facciano in aperta contrapposizione
a Stati Uniti e Gran Bretagna rilancia l'opzione di costruzione di un
polo di opposizione all'"Impero" americano. Non si tratta però
del polo imperialista europeo da molti previsto e da altri ancora auspicato.
Permangono tuttora chiari e precisi limiti all'azione delle sottopotenze
europee (per non parlare della Russia e della Cina) che impediscono loro
di porsi come alternativa globale al potere americano. L'intenzione della
coalizione eurorussa è quello di costringere gli americani a confrontarsi
con loro sulle scelte di gestione dell'economia-mondo, abbandonando l'unilateralismo
che ormai è diventata la filosofia ufficiale di Washington. In
qualche misura Francia, Germania e Russia richiedono di essere associate
agli USA nella gestione mondiale in un ruolo subordinato ma non inesistente.
Dalla Guerra alla Federazione Jugoslava a quella all'Iraq
La differenza con la precedente crisi jugoslava quando anche i riottosi
francesi si integrarono all'interno dell'Alleanza antiserba non potrebbe
essere più evidente: in quel caso l'amministrazione Clinton garantì
alla Francia l'internità alla coalizione e la presenza militare
(e quindi politica ed economica) nello scenario balcanico mentre in questo
caso richiede ai paesi europei di limitarsi a fungere da spettatori dell'impresa
bellica angloamericana e di accettare di essere espulsi dallo scenario
mediorientale.
È del tutto evidente che un profilo basso da parte di Francia
e Germania avrebbe comportato la loro esclusione definitiva da un'area
di vitale importanza per i loro interessi, mentre per quanto riguarda
i russi questi ultimi avrebbero accettato senza colpo ferire non solo
l'espulsione dall'Iraq ma anche un nuovo accerchiamento del proprio territorio
da parte USA.
Uno degli obiettivi fondamentali di questa guerra è, infatti,
la ricostruzione di una cintura eurasiatica di stati vassalli USA che
garantisca la via commerciale Adriatico-Oceano Indiano, mettendo al sicuro
i traffici tra Europa e Asia, e nel contempo funga da contenimento della
Russia. Quest'ultima è stata accerchiata, grazie alla guerra in
Afganistan, in Asia Centrale, viene controllata in Europa e nel Caucaso
grazie alla cintura degli stati ex comunisti dall'Estonia alla Bulgaria
e alla Turchia; agli Stati Uniti mancava l'ultimo tassello di questo cordone
costituito dalla pedina mediorientale. Quest'area è garantita nel
suo servaggio dalla presenza delle due portaerei USA, la Turchia e Israele,
ma continua a costituire un problema a causa della penetrazione russa
(ed europea) in Iraq e dei tentativi di alleanza di questi paesi con l'Iran.
Non bisogna sottovalutare la perdita subita dagli americani nel 1978 a
causa della rivoluzione iraniana che privò gli Stati Uniti del
fedele vassallo Rezha Pahlevi, sostituito da un regime altrettanto antisovietico
ma nemico giurato degli americani. Oggi il regime iraniano nel suo tentativo
di avvicinamento all'occidente e alla Russia sta giocando una partita
complicata che lo vede servirsi di paesi come Francia, Germania e Russia
per rientrare nel gioco mondiale senza dovere fare atto di sottomissione
a Washington. Questo ruolo ne fa una presenza scomoda e un intoppo nella
ricostituzione della cintura di sicurezza mediorientale, e questo per
gli USA è intollerabile. L'abbattimento di Saddam Hussein e la
sua sostituzione con un governo di vassalli americani porterebbe agli
USA il vantaggio di poter contare su di un alleato certo nell'area e di
ottenere il controllo assoluto del corridoio eurasiatico. Ottenuto questo
successo gli Stati Uniti si confermerebbero come potenza egemone sia in
Europa che in Asia costringendo europei e russi a un nuovo atto di sottomissione
nei loro confronti e alla loro integrazione subordinata nell'economia-mondo
a guida americana.
Un altro secolo americano?
Questo passaggio è chiaro a tutti gli attori in gioco, così
come è chiaro che gli USA, giocando sulle gelosie intereuropee
e su scelte precise di schieramento attuate da paesi fondamentali per
l'Europa come l'Italia e la Spagna, hanno ottenuto un primo risultato
riducendo nuovamente l'Europa al nanismo e condannando gli stati più
rappresentativi del Vecchio Continente a giocare in perfetta solitudine
la loro partita. Non si tratta di mere scelte economiche, il capitalismo
italiano e quello spagnolo sono più profondamente integrati con
quelli tedesco e francese soprattutto nelle loro componenti più
sviluppate, ossia in quel reticolo di medie imprese che trainano lo sviluppo
di questi paesi avendo l'Europa come mercato principale di riferimento.
Nonostante questo l'unica grande impresa italiana e i governi italiano
e spagnolo hanno deciso di allinearsi con gli USA, cercando alleanze economiche
con le imprese americane e trasformando il loro ruolo politico in mero
governatorato americano dei loro paesi. Questo tipo di scelta è
profondamente politico e deriva dalla composizione delle classi dominanti
della maggioranza dei paesi europei, convinte di dover orientare su Washington
la propria bussola per stare comunque dalla parte del più forte
e per evitare che l'integrazione economica con l'Europa si trasformi in
subordinazione verso Parigi e Berlino. La differenza tra le classi dominanti
franco-tedesche e quelle degli altri paesi europei è questa: le
prime cercano disperatamente di ritagliarsi uno spazio di trattativa con
Washington per affermare un loro ruolo mondiale subordinato a quello americano
ma pienamente riconosciuto, le seconde hanno strategicamente scelto di
giocare il ruolo di governatori provinciali dei loro paesi per conto dell'Imperatore,
abdicando a ogni indipendenza di giudizio e di azione. La loro è
una scommessa sul fatto che il XXI secolo sia ancora un secolo "americano"
e sulla vanità di ogni sforzo per cercare di riequilibrare lo squilibrio
di potenza tra le due rive dell'Atlantico. Una scommessa che, comunque
finirà la vicenda irakena, pagheranno comunque caro sul terreno
di relazioni intereuropee che sono destinate a diventare sempre più
tese nel futuro immediato e che potrebbero portare anche a rotture clamorose
come quella riguardante lo spazio economico comune garantito dall'Euro.
Giacomo Catrame
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