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Da "Umanità Nova" n. 11 del 23 marzo 2003

Le armi di Mr. Bush
Superbomba, corruzione, tortura



Evidentemente ci eravamo sbagliati, non avevamo capito. Se da tempo, infatti, andavamo ripetendo che causa prima dell'imminente aggressione americana in Medio oriente era il controllo del petrolio iracheno, e causa seconda l'urgenza di dettare nuove regole nelle relazioni internazionali, oggi dobbiamo ammettere che ce l'avevano raccontata giusta loro: e cioè che la guerra che sta per scoppiare non è che un episodio del conflitto epocale fra civiltà e barbarie, fra principi democratici e principi autocratici, fra religioni tolleranti e religioni oscurantiste, fra libertà e tirannia. E soprattutto, come proclama ispirato il presidente degli Stati uniti, fra regno della vita e regno della morte. Insomma, fra il bene e il male.

D'accordo. Visto che sono in tanti ad asserirlo, e personaggi tanto autorevoli, dobbiamo prestarvi fede. Dato per scontato, infatti, che Saddam, il torturatore di bambini, il gasatore degli sciiti, l'asfissiatore dei curdi, è l'incarnazione del male, appena un gradino sotto ad Osama Bin Laden, allora ne consegue che il bene stia tutto al di là dell'atlantico; che il neo messianismo del presidente Bush e del suo staff, dediti alle mattutine letture della bibbia prima di far bombardare qualche villaggio afgano o iracheno, sia davvero roba seria e credibile; che questa guerra sarà scatenata, a malincuore ma in buona fede e con l'animo gonfio d'amore, solo per riportare la bontà, l'equità, la sicurezza, la giustizia e il timor di dio in tutto il mondo. E se dopo l'Afganistan oggi tocca all'Iraq, sfiga per gli iracheni.

E se poi gli strumenti di liberazione e di emancipazione di cui si serve il governo americano - e che il governo americano apertamente rivendica - non sono sempre coerenti con la grandiosa missione a stelle e strisce cui sono preposti, pazienza! Nessuno è perfetto.

Ben conosciamo con che riguardo gli Usa siano soliti trattare gli altri paesi, e come siano attenti a non far pesare il loro strapotere per non urtarne l'amor proprio. Anche in questo frangente è stata ammirevole, quindi, la delicatezza con la quale hanno cercato di portare dalla loro parte un grappolo di stati. Ad alcuni membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ad esempio, per comprarne il voto favorevole, questa volta sono state offerte mazzette dignitose e non i pochi spiccioli con i quali erano abituati a comprare le varie Santo Domingo o Isole Cayman. Ad altri paesi invece, e tra questi il nostro, è stata prospettata una fetta più che dignitosa nella torta della ricostruzione dell'Iraq. Almeno il 10%, infatti, delle migliaia di miliardi che saranno investiti per ripristinare le strutture produttive di Bagdad, saranno appaltati alle imprese delle nazioni che avranno garantito la loro collaborazione alla guerra. Bando alle spese, dunque, quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. E se qualche bastian contrario tirasse troppo la corda senza cedere alle lusinghe, ecco la minaccia dell'iscrizione al poco invitante club dell'asse del male.

Nell'ambito dell'umanitaria campagna di sensibilizzazione rivolta al popolo iracheno, e non solo iracheno, l'impressionante filmato prodotto dal Pentagono, sugli effetti della cosiddetta Moab (Mother Of All the Bombs), la superbomba paragonabile, come capacità distruttiva, alla bomba atomica. Ancora più potente della famigerata "Taglia margherite" già sperimentata contro le popolazioni afgane, questo ordigno di 9450 chili è in grado di produrre un cratere grande come tre campi di calcio (così informa orgoglioso l'ufficio stampa dell'esercito americano) e di distruggere ogni forma di vita in un raggio di parecchi chilometri. Anche se rispetto ai pericolosissimi missili iracheni con una gittata di ben 150 km, questo ordigno potrebbe risultare insufficiente, siamo comunque sicuri che gli amici americani, abbastanza esperti nell'uso delle armi di distruzione di massa, sapranno farla rendere al massimo. Come al solito!

È di questi giorni la notizia della cattura in Pakistan del "cervello operativo" di Al Qaeda. Portato immediatamente in un luogo segreto, è stato sottoposto, per tre giorni, a un interrogatorio che ricorda quelli che eravamo abituati a vedere nei film sui nazisti. Ogni forma di umiliazione, di violenza, di sopraffazione, addirittura la minaccia di rivalersi sui suoi figli ostaggi negli States, nulla gli è stato risparmiato del classico repertorio del buon torturatore. E non importa che sia fra i sospetti organizzatori dell'11 settembre.

Da tempo e da più parti, del resto, si vanno denunciando forme di detenzione e metodi di indagine investigativa utilizzati dal governo americano assimilabili, in tutto e per tutto, alla tortura fisica e psicologica. Della prigione di Guantanamo, dove sono detenuti i prigionieri fatti in Afganistan, si è già detto, e non occorre ricordare le brutalità gratuite e immotivate cui sono sottomessi quei disgraziati. La novità sta nel fatto che oggi gli Usa non si nascondono più dietro il dito di una impresentabile verginità negando le accuse cui sono sottoposti (ben sappiamo, del resto, che tutte le polizie di tutti gli stati usano, chi più chi meno, la violenza negli interrogatori), ma rivendicano apertamente il diritto di torturare i loro prigionieri. In nome di quel mostruoso stato etico che sempre più ne sta sradicando le migliori tradizioni (perché indubbiamente ce ne sono), in nome di una missione divina votata alla completa eliminazione dell'influenza del maligno sulla società, la più grande, se non l'unica potenza economica e militare rimasta, giustifica e legittima l'uso della tortura come imprescindibile strumento di autodifesa. C'è veramente di che preoccuparsi.

Massimo Ortalli

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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