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Da "Umanità Nova" n. 11 del 23 marzo 2003

Corsa all'"Oro Blu"
Kyoto dal 16 al 23: III Forum mondiale sull'Acqua



La settimana in corso ospita tre avvenimenti cruciali per quel che riguarda la gestione delle risorse idriche a livello mondiale. A Kyoto si terrà dal 16 al 23 marzo il terzo Forum mondiale sull'Acqua, organizzato, con l'avallo dell'ONU, dal World Water Council e dal Global Water Partnership, organizzazioni internazionali create dalla Banca Mondiale con il sostegno dei principali governi dell'Occidente e presiedute da alcuni tra i massimi dirigenti di multinazionali del settore. Ad esso risponderà il primo Forum alternativo mondiale sull'acqua, organizzato a Firenze il 21 e 22 marzo dal comitato internazionale del contratto mondiale sull'acqua, aperto a varie associazioni, movimenti e organizzazioni di diversi paesi del mondo che si battono contro la mercificazione e la privatizzazione del bene acqua. A conclusione, il 22 marzo, si celebrerà la Giornata mondiale dell'acqua. Questi tre avvenimenti hanno in comune il punto di partenza: la scarsità delle risorse idriche, accentuatasi negli ultimi vent'anni a causa delle scelte economiche e ambientali dissennate operate dalle multinazionali e dai governi che le sostengono. Divergono invece (o, meglio, divergeranno) sui rimedi.

Per il Forum dei neo-liberisti di Kyoto (e del codazzo di ONG che vi partecipa, in fregola di futuri riconoscimenti e di mediazioni istituzionali), il rimedio consiste nella mercificazione progressiva dell'acqua e dei servizi connessi, nella credenza che sarà il mercato, attraverso la legge della domanda e dell'offerta, a calmierare e regolare l'accesso all'"oro blu". L'idea che trasformando l'acqua in un bene commerciale se ne potrà fare un uso più razionale ed equo, anche grazie al rispetto delle carte di servizio e dei "codici" proposti dalle ONG, è molto curiosa. Significa ammettere l'esistenza di privati che vogliano diminuire i consumi idrici - perché di questo in definitiva si tratta - e rinunciare ad una parte di profitto, anziché vendere, consumare, inquinare e quindi depurare più acqua a prezzi sempre più elevati. A meno che non vogliano contribuire in tal modo a costruire ulteriore "scarsità" della risorsa, sottraendo al mercato una quota di acqua - quella qualitativamente migliore, poniamo - per rivenderla a prezzi esorbitanti e ancor più escludenti per i cittadini (è quanto già avviene con la cosiddetta "acqua in bottiglia", non acqua minerale ma acqua comune di qualità, sottratta al consumo e venduta da alcune aziende italiane sui mercati esteri).

Faccio notare che qui parliamo di mercificazione e non di privatizzazione, perché il pubblico usa gli stessi criteri del privato quando partecipa alle logiche del profitto, che nello specifico sono quelle di una rapida remunerazione degli investimenti, del taglio alle condotte improduttive anche se d'uso sociale, dello sfruttamento eccessivo del personale e degli impianti, della mancata manutenzione degli stessi, delle carenze nella qualità del servizio e dell'acqua erogata, dell'aleatorietà dei controlli, ecc. È il caso, ad esempio, del pubblico rappresentato in Italia dalle ex municipalizzate, l'A.C.E.A. di Roma in testa, che pur controllate nominalmente da giunte "di sinistra", in attesa della completa privatizzazione che il governo Berlusconi ha imposto con l'art. 35 della nuova Finanziaria, si sono da tempo lanciate alla conquista di nuovi mercati del terzo mondo, provocando aumenti vertiginosi delle tariffe, scompensi economici e finanziari in paesi già sull'orlo del collasso, corruzione politica, ingiustizie sociali e persino rivolte con morti e feriti (come recentemente a Lima in Perù). È ancora il caso dello scandalo delle concessioni per le acque minerali, i cui canoni irrisori fruttano alle aziende del settore fino a 600 volte il costo di produzione, a scapito delle comunità locali proprietarie nominativamente delle fonti. La proprietà pubblica degli impianti, su cui insiste la legge Galli n. 36/94 che istituiva gli Ambiti Territroiali Ottimali, non costituisce quindi un contrappeso alla mercificazione, ma al contrario la favorisce. In Sicilia, dove predomina il sistema clientelare-mafioso della gestione e distribuzione dell'acqua e il fenomeno appare in tutta la sua evidenza, il pubblico - costituito dai clan politici che detengono il potere decisionale degli A.T.O. - si appresta a svendere le risorse idriche dell'isola a favore dei monopolisti privati - i cosiddetti gestori tecnici - con la mediazione delle organizzazioni criminali, oggi come in passato.

Il Forum alternativo di Firenze del 21-22 marzo afferma (affermerà) come principale rimedio alla scarsità di acqua, e in contrapposizione alla sua mercificazione, il suo riconoscimento come "diritto umano e sociale" e come "bene comune collettivo", con la conseguenza di ricondurre la copertura dei costi del servizio idrico a carico della fiscalità pubblica ed i processi decisionali, legati alla gestione dell'acqua, direttamente ai cittadini (punti cardine, questi, del manifesto dell'acqua di Lisbona del 1998). Per fare ciò, ed ecco qui emergere una visione che alla lunga ne porterebbe i promotori a convergere con le frazioni moderate e con le ONG che partecipano d'altronde sia a questo che al Forum di Kyoto, essi intendono principalmente "elaborare e proporre una serie di azioni, sul piano legislativo, politico-istituzionale, economico-finanziario, sociale e culturale, da realizzare a livello mondiale, continentale, nazionale e locale, al fine di assicurare il diritto all'Acqua per tutti"; "promuovere Campagne specifiche a sostegno degli obiettivi del Diritto all'Acqua per tutti e del riconoscimento dell'Acqua come Bene comune in un dialogo e confronto con le comunità locali e le istituzioni internazionali" (leggi ONU nella cui Carta dei diritti andrebbe inserito il nuovo diritto all'acqua); "favorire .... una partecipazione consapevole dei cittadini alla definizione delle regole di gestione dell'acqua ed al loro rispetto" (le sottolineature sono mie). Ci troviamo insomma sotto l'influsso del portoalegrismo, cioè di una democrazia partecipata dal basso, svuotata di reali contenuti decisionali, da attivare accanto o sarebbe meglio dire a sostegno di una democrazia rappresentativa calata dall'alto, espressa gerarchicamente ai vari livelli territoriali, e che avrebbe una sua traduzione nell'istituzione di un Parlamento mondiale dell'acqua e di una Autorità Mondiale dell'Acqua dotata di poteri giurisdizionali, legislativi e di sanzione. Non per nulla un ruolo di rilievo nel comitato internazionale per il contratto dell'acqua hanno gli alfieri di Attac, specializzati in logiche "contrattualiste" appunto e paraistituzionali del genere sopra indicato. Naturalmente la visione neoriformista - poco chiara a molti tra i suoi stessi propugnatori, che talvolta hanno slanci idealistici e propositi ben più avanzati - non deve precludere ai compagni libertari un'opera di approfondimento e di critica all'interno dei comitati di lotta per l'acqua che cominciano a sorgere un po' ovunque a livello locale anche in Italia, e che tentano di collegarsi col comitato per il contratto dell'acqua. Le stesse parole d'ordine del manifesto di Lisbona (acqua come diritto e bene comune, costi a carico della fiscalità generale e gestione diretta dei cittadini) sono più che condivisibili in un'ottica libertaria.

Il nostro impegno potrebbe contribuire a colmare la divaricazione esistente tra il comitato per il contratto dell'acqua e le lotte sparse sul territorio, tra la sua pretesa di essere il rappresentante, autonominatosi, dei diseredati dell'acqua, e le indicazioni reali che vengono dalle popolazioni in lotta. Il comitato scambia la funzione di spinta, propulsiva, di stimolo, che finora ha avuto, in una funzione di direzione destinata a imbrigliare ogni autonoma pulsione alle lotte e all'azione diretta. Questo antico vizietto di formulare i rimedi ai mali del mondo elaborandoli all'interno di una ristretta cerchia di esperti politici e tecnici, trasferendoli in un secondo tempo e strumentalmente alle popolazioni, trova anch'esso una sua giustificazione nella pretesa "scarsità" del bene acqua. Per ovviare ad essa, infatti, si invocano poteri eccezionali, autorità tecnocratiche e imbonimenti mass-mediologici, in collaborazione con varie istituzioni. Non è un caso se negli ultimi tre anni, alla ricerca e all'individuazione di obiettivi unificanti dal basso (che pure emergono prepotentemente dalle lotte in corso) sia stata privilegiata e addirittura sostituita la lotta politico-mediatica per l'inserimento in qualche carta costituzionale o statuto comunale della formula del diritto all'acqua, quasi fosse una panacea dalla quale far discendere conseguenze decisive. Come se i "diritti di carta" finora rivendicati non siano ugualmente rimasti lettera morta in assenza di forti movimenti dal basso che riescano a farli rispettare e a renderne partecipe l'intera società.

La Giornata mondiale dell'acqua del 22 marzo, nata per sensibilizzare i cittadini sullo spreco e il riuso d'acqua potabile, costituisce il principale trait d'union tra la visione neoliberista e quella contrattualista (o neoriformista), concordando entrambe a scaricare sui cittadini, colpevoli di comportamenti dilapidatori, una buona dose di responsabilità sulla grande penuria del prezioso liquido. Peccato che questo obiettivo "culturale", per quanto lodevole, porterebbe a un risparmio irrisorio se consideriamo che il consumo d'acqua per uso domestico è di appena il 10% del totale (il 70% dell'acqua potabile essendo riservato all'agricoltura e il 20% all'industria), e che le acque reflue e depurate da esso prodotte non vengono generalmente riutilizzate.

Nelle tre posizioni, quelle opposte dei due Forum e quella intermedia della Giornata dell'acqua, trapela ciò che Serge Latouche con felice espressione ha definito come la "costruzione della scarsità" dell'acqua. In realtà il bene acqua scarseggia solo in maniera relativa al tipo di sviluppo, indotto dai processi di globalizzazione, che si intende imporre e far prevalere sui reali bisogni delle comunità locali. Non è la scarsità in sé (peraltro in questo caso continuamente rinnovabile) ma il suo accaparramento, la sua mercificazione, privatizzazione, cattiva distribuzione, burocratizzazione, centralizzazione pianificatoria, e loro derivati, che pongono il problema dell'esauribilità delle risorse idriche. L'accettazione della scarsità, pur arrivando a denunciarlo formalmente, non pone mai veramente in discussione il modello di sviluppo che essa sottende. Finisce anzi con l'accentuarlo: se un bene viene considerato scarso, diventa oggetto di conquista, di maggior sfruttamento economico ma anche di potere e di controllo sociale. Quella che in ogni caso si trova negata è la partecipazione diretta, dal basso, "consapevole", dei cittadini alla sua gestione. In essa risiede invece l'alternativa reale ai processi di mercificazione dell'acqua. Lo sviluppo che essa innesca, fondato sull'individuazione, la valorizzazione e la ridistribuzione delle risorse idriche, presuppone la necessità di preservare l'equilibrio ecologico, di modo che tali risorse non vadano esaurite o sfruttate intensivamente ma possano costantemente rinnovarsi e adattarsi allo stile di vita, ai bisogni essenziali e ai desideri delle comunità di riferimento. Il che non preclude ma presuppone un'organizzazione sociale in cui le varie comunità si collegheranno tra loro federativamente o in rete mediante accordi (= contratti) di reciprocità e di sostegno solidale, e saranno gli stessi individui che le compongono, divenuti protagonisti e padroni della loro esistenza, a decidere cosa fare e verso quale orizzonte incamminarsi.

Natale Musarra

 

 

 

 

 

 

 

 


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